“Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia
del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare
l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro.
Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente
a pregare per te davanti al mio signore crocifisso…
Don Lorenzo Milani
I. La rivoluzione della gioia nel ’68
Il ’68 è stato un’eruzione libertaria generazionale che ha infranto l’ingiustizia che governava l’universo. Uno dei libri che hanno annunciato la rivoluzione della gioia nel ’68 in Italia, Lettere a una professoressa1, è opera di un prete un po’ burbero, un po’ diverso, un po’ sovversivo, don Lorenzo Milani (e dei ragazzi della scuola di Barbiana), esce nel maggio 1967 (don Milani muore per un linfoma a 44 anni nel giugno 1967), e da quella canonica sperduta nell’Appennino toscano, senza acqua, né corrente elettrica, né una strada per arrivarci (ci vivono nemmeno quaranta persone), il grido del parroco contro l’autoritarismo nella scuola è diretto, qualche volta feroce… è un testo scritto per i figli dei lavoratori, di fatto esclusi dall’università (che in massima parte accoglie i figli dei ricchi), e alla solerte professoressa fiorentina (non voleva i pidocchiosi in classe che non parlavano correttamente l’italiano, anche per la fame che avevano addosso) scrive: “Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia la lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro… Che siete colti ve lo dite da voi. Avete letto tutti gli stessi libri. Non c’è nessuno che vi chieda qualcosa di diverso… Solo i figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. E neppure svogliati. O per lo meno sentiamo che sarà un momento, che gli passerà, che ci deve essere un rimedio. Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare… La lotta di classe quando la fanno i signori è signorile. Non scandalizza né i preti né i professori che leggono l’Espresso… Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti che siete voi, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali”2. Tutto vero. Don Milani tocca qui le tematiche del proprio tempo e lo fa con la forza della sfrontatezza o dell’utopia, e affermava: «Io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi»3. Si capisce perché il Sant’Uffizio ordina la censura del suo primo libro, Esperienze pastorali4 e, successivamente, il prete di Barbiana viene più volte minacciato di sospensione a divinis… la seminagione dei suoi scritti tra i ragazzi del ’68 fu esplosiva, dilagante, atonale a quanto correva nella sinistra comunista e nei beghini democristiani… le parole di don Milani rinnegavano i titoli risolutivi della civiltà moderna e mostravano anche possibilità e disobbedienze contro tutto ciò che rappresentava l’assoluto della chiesa e dei partiti. Sotto ogni formula giace un’oppressione secolare e i politici, insieme alle gerarchie ecclesiastiche, sono gli assassini gentili di vittime predestinate.
Una delle letture più attente di Lettera a una professoressa è quella di Pier Paolo Pasolini, il libro lo impressiona, scrive che il «contenuto ideale violentissimo, addirittura, in certi momenti, meravigliosamente terroristico, dei ragazzi di Barbiana, si immerge però, prende forma, dentro uno schema, che è lo stesso schema della moralità contadina diventata piccolo-borghese della professoressa»… dice anche che si è trovato tra le mani uno dei più bei libri che abbia letto negli ultimi anni5. Pasolini aveva avvertito nella filosofia educatrice di don Milani quella fierezza delle sconvenienze che non s’impara a scuola ma nella strada… l’ostilità appassionata di una folgorazione del giusto, del buono, del bello che farà saltare in aria le illusioni degli dèi e le mediocrità delle caste istituzionali… i giovani irrequieti del ’68, e per un certo tempo, riusciranno a far provare la paura a chi l’aveva sempre inflitta e nella creatività dei loro eccessi, dismisure e sregolatezze, mostrare di che nullità erano fatti i partiti6. L’ostilità delle giovani generazioni verso coloro che sono ossessionati dal peggio incarnato dai politici… è frutto di una lucidità culturale e passionale che porta all’insubordinazione, e l’abdicazione — anche estrema — di qualsiasi tirannia, verrà sempre troppo tardi.
Nel disordine delle idee, la fotografia ereticale di Oliviero Toscani riporta allo stupore del cuore e dentro la pratica di una fenomenologia dei sentimenti struccati, insegna a decostruire l’ordine del discorso fotografico imperante e disseminare la felicità possibile nel rovesciamento di prospettiva di un destino imposto che non va aiutato a sopravvivere ma a crollare.
Etty Hillesum, prima di passare per i forni crematori di Auschwitz, appuntava sul suo diario: “Anche oggi il mio cuore è morto più volte, ma ogni volta ha ripreso a vivere. Io dico addio di minuto in minuto e mi libero da ogni esteriorità. Recido le funi che mi tengono ancora legata, imbarco tutto quel che mi serve per intraprendere il viaggio. Ora sono seduta sulla sponda di un canale silenzioso, le gambe penzolanti dal muro di pietra, e mi chiedo se il mio cuore non diventerà così sfinito e consunto da non poter più volare liberamente come un uccello”7. Ecco, la fotografia di Toscani è come un volo d’uccello che s’innalza ai quattro venti della Terra (o nelle strade del mondo) e libera il piacere di esistere fuori dalle devastazioni culturali, politiche, religiose sulle quali regna la disumanità dominante.
È lo stile di un’infanzia interminabile quello che Toscani affabula nel suo fare-fotografia… nelle sue immagini, anche quelle più criticate o censurate (o celebrate) fiorisce la bellezza di tutto ciò che è giusto e la poesia a venire che si fa storia… la felicità, come la libertà, non si concede, ci si prende. “Non c’è dubbio che oggi è soprattutto di questo che avremmo bisogno: di un po’ di luce sopra la nostra frammentaria esperienza morale, ma anche di un po’ di voce articolata o di ragione da dare alla meraviglia, allo sgomento e alla pietà” (Roberta De Monticelli)8. Tutto vero. I servi contenti, come i fotografi del mondano, non sembrano capire che il bisogno più importante e più disconosciuto è quello dell’anima bella o dell’angelo necessario che si oppone alla dissipazione della bellezza, tanto del passato quanto del futuro. “La perdita del passato — ci ricorda Simone Weil —, collettivo o individuale, è la grande tragedia umana, e noi abbiamo gettato via il nostro come un bambino strappa una rosa”9. L’immaginario fotografico di Toscani, appunto, riprende un passato disconosciuto e lo dissemina in un futuro dell’accoglienza, rispetto, condivisione… contrasta il brutto e l’osceno nell’elevazione delle forme, nella sapienza delle luci, nel coraggio di fotografare l’indicibile… non alimenta il marketing internazionale della moda, ma lo denuda e restituisce le sue spoglie all’autodistruzione della coscienza personale e collettiva.
La fotografia di Toscani architetta una filosofia del risveglio, una catenaria del dolore o dell’amore che, incidentalmente, è anche una grande espressione comunicativa, e al di là dalla campagna pubblicitaria (ma non solo) dalla quale parte, passa dal disagio sociale alla disobbedienza civile. Ci ricorda che morale, giustizia, politica, religione si rinnovano a partire dalla coscienza verso la bellezza, vista come fondamento di valori e giustizia sui quali si poggia. La conquista di una società libera è giusta sbaraglia tutte le banalità del male e rivendica lo spirito pubblico di una pubblica felicità. “Noi siamo liberi di cambiare il mondo e di introdurvi il nuovo. Senza questa libertà mentale di riconoscere o negare l’esistenza, di dire sì o no, non ci sarebbe alcuna possibilità di azione; e l’azione è, evidentemente, la sostanza stessa di cui è fatta la vita politica (Hannah Arendt)10 e sociale. La cultura non è pane ma lo difende o lo toglie dalla bocca degli esclusi nel gioco delle parti. Il turbamento della legalità imposta, fuoriesce dall’azione culturale libera, innovativa del fare-fotografia di Toscani e alla pratica dell’ingiustizia risponde con la violazione dell’ordine costituito (non solo dei mercati), sa che l’arte fine a se stessa è il marchio di cui si servono i codardi e gli artisti falliti. La sola obbligazione che incombe a un artista è di fare sempre quello che crede sia bene, bello e giusto, e tutto ciò che fa non può mai essere genuflesso a nessun potere.
La radicalità visuale di Toscani ha pochi eguali nel gazebo culturale di questo Paese (e oltre)… in questa landa di abusi e soprusi impuniti, le immagini storiche di Toscani contengono il giusto e l’onesto a molti fotografi sconosciuto… al fondo di quel fare-fotografia c’è lo splendore del vero, del nobile, dell’autentico, che sono poi aspetti importanti della giustizia. Toscani combatte l’osceno, la bruttezza, la volgarità attraverso le sue fotografie (interviste, articoli, saggi, video, incursioni televisive) e ovunque dice che l’idiozia, la violenza e la domesticazione sociale sono parte della vita totalmente svalorizzata. Insegna, in qualche modo, a fare buon uso del mezzo fotografico a fianco della sofferenza, dell’indignazione, della diversità… denuda l’irresponsabilità e l’impotenza della politica di fronte ai calcoli gelidi della finanza e fa dell’eccellenza estetica/etica il principio libertario della sua poetica.
La fotografia ereticale dello stupore (come quella di Toscani) infrange la comunicazione della lusinga, mette in discussione il concetto stesso di progresso ormai divenuto inseparabile da quello di epilogo: lo stupore deriva da un desiderio d’eresia, quella della disgregazione o squartamento del pensiero codificato e ne suscita la bellezza che fruga nelle ferite della vita quotidiana… e non importa essere perfetti in nessun campo, perché il gusto dell’artista di corte è il carattere della mediocrità… la perfezione, in ogni opera d’arte, è il lavatoio dove tutti i talenti mancati si danno convegno… l’imperfezione il terreno della resistenza e dell’insubordinazione dove il temperamento dei poeti maledetti si forgia e rompe i vertici artistici dell’infamia. Non riesco ad immaginare la Fotografia senza pensare che è meglio un fotografo da scoop al quale hanno spaccato la testa con un tomahawk, che le lacrime secche di un bambino violato dalla guerra. Forse per questo ci siamo sempre trovati dalla parte sbagliata, ma in questo non abbiamo sbagliato mai, forse… che bello! C’è chi ancora crede che un manipolo di politici, affaristi, criminali in formato grande, arroccati agli scranni dei parlamenti, possa davvero fare gli interessi del popolo e non occuparsi dei loro privilegi… l’appannaggio dei tarati risplende nella servitù volontaria.
L’iconografia (tutta) di Toscani, se guardata fuori dalle categorie e classificazioni, desta meraviglie e interrogazioni… i contenuti oltrepassano i contenitori dai quali parte e si porta dietro il romanzo autobiografico dello stupore… ma è uno stupore che non stupisce affatto, anzi, rivela il mistero dello stupore… è il risultato di una cosmogonia sovversiva che attraverso la fotografia infonde un’idea del mondo. La storia delle democrazie spettacolari e dei regimi comunisti smentisce i loro princìpi… l’omologazione delle folle in atto, orchestra politiche, guerre e merci… l’accumulazione, il possesso, la discriminazione sono gli strumenti adeguati sulla passività generalizzata… i poveri non hanno diritto che alla loro miseria e alle speranze elettorali che li mantengono in questa miseria… solo una società partecipata da tutti i cittadini può rimuovere l’indegnità della politica, distruggere l’incompetenza e l’arroganza della ragione imposta e farle precipitare nella storia di un nuovo umanesimo.
II. Sulla fotografia sovversiva della bellezza
La perfezione dell’incompiutezza della fotografia di Oliviero Toscani, non infeuda menzogne né persevera nella volgarità o nell’apoteosi della necessità… rifiuta come accessorio il futile e l’entusiasmo degli stolti… libera la giovinezza sopra i tabernacoli dei potenti e si abbevera alla generosità della commedia umana… s’accosta a un’idea, spesso contro controcorrente, e la rende contagiosa… liquida le ossessioni dell’artista inafferrabile e sceglie la diversità contro l’indecenza… Toscani è un intruso nella fotografia che conta, sconfina nelle grammatiche del linguaggio definito e non teme sconfitte né adulazioni… è un incursore nella saga generale della fotografia come mito realizzato e decreta morte tutte le formule di salvezza e cristologie d’illuminazione… è fotografo nella presenza dei suoi atti, più corrosivo di un barattolo di acido solforico… sempre in lotta contro i dispotismi o le nullità del pensiero dominante e, più ancora, è un incendiario dell’immaginario! Un capitano Achab11 sempre in cerca della balena bianca, del mostro da rigettare negli abissi… impugna la fotocamera come un arpione e imbarca nel Pequod della fotografia del disinganno, una ciurma di passatori di confine che alla dissolutezza dell’arte, preferiscono l’arte di gioire della vita.
Appena ventunenne (1963), Toscani sale sui monti del Mugello insieme al giornalista Giorgio Pecorini, per insegnare ai ragazzi di don Milani la macchina fotografica… su una parete della scuola c’è scritto grande, “I CARE”… è il motto intraducibile dei giovani americani migliori, dice il priore: “Me ne importa, mi sta a cuore. È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”. Il pensiero disarmato di Don Milani ricongiunge le sue origini ebraiche con il cristianesimo12, ma a noi importa poco… quello che conta è il valore pedagogico che il curato infonde ai suoi ragazzi, la forza emotiva con la quale opera uno spaesamento della mendicità professorale, della creazione raffazzonata di una vita senza amore di una società che ha costruito le cattedrali come i campi di sterminio e si è emancipata con gli orrori delle bombe.
Come diceva uno sciamano cieco del deserto del Mali: — “Quando un solo bambino piange per la fame, altre migliaia sono già morti perché qualcuno possa avere uno smartphone di ultima generazione e ascoltare la musica dei neri d’Africa” —. Misero quel popolo che ha bisogno di genocidi o di altre porcherie per parlare — solo parlare — di libertà e diritti dell’uomo. Il priore di Barbiana aveva le idee chiare su molte cose… aveva compreso che l’intelligenza, una volta diventata sovrana, si erge contro tutti i condizionamenti della società istituita e non offre nessun appiglio o speranza ai bastonatori della storia: “Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”, diceva13 … è il viatico della conoscenza che soppianta tutte le attività sospette dei governi… un principio di elevatezza che si accompagna al tramonto delle belle glorie dei partiti e delle fedi che ammaestrano le genti alla sottomissione… giacché non è la politica che rende liberi, ma il desiderio di rivolta per la conquista di un mondo più giusto e più umano.
Toscani scatta alcune fotografie a Barbiana… fissa nella pellicola lo sguardo del prete che fa
lezione all’aperto… si vede don Milani che pensa o legge il giornale, attorniato da ragazzi impegnati nello studio… le immagini esprimono un senso di serenità e di spiritualità, anche, ma non come predica della gerarchia cattolica, piuttosto come maestro di vita che lotta e invita a lottare per un divenire migliore. I ragazzi sono educati alla fatica della conoscenza e più di ogni cosa avviati a una ricerca della verità come congedo dal dolore di vivere… di più… nella scuola di Barbiana, l’idea-esperienza del bene comune non è una religione ma il suo contrario, un legame profondo tra la vita dello spirito e il raggiungimento della libertà: “Concepire il mondo nella luce dell’idea di creazione è concepirlo come continua genesi del nuovo” (Roberta De Monticelli)14. La scienza, l’arte, la filosofia, la letteratura, la politica… sono trattate da don Milani come forme di sviluppo della persona, sostengono e rimandano alla felicità personale e collettiva, che è autentica solo se condivisa. Ogni ragazzo è più del libro che ha nelle mani e la somma dei monologhi è nulla rispetto a un abbraccio, una carezza, un atto d’amore fra chi non ne ha mai ricevuti.
La scuola di Barbiana è una comunità inclusiva fondata sul dialogo… sulla disobbedienza civile, anche, che si prende cura del destino degli ultimi… se c’è tanta miseria nel mondo, vuol dire che ci sono dei responsabili di questa miseria e vanno smascherati o detronizzati… il male non è mai stato raffinato… va combattuto con il sapere, la conoscenza, la radicalità di persone aiutate a pensare… non è il voto o la delega che trasforma le cose, ma il gesto, l’azione, il disinganno che si fa desiderio, passione, eresia o fuoco di mutamento sociale… migliore è la conoscenza, migliore sarà la persona in cammino per la conquista di una vita sganciata da ogni forma di autoritarismo.
La fotografia non è una dottrina o una merce soltanto… ma un’attività culturale che filosofa col martello di Nietzsche15 e opera nella “trasvalutazione” di tutti i valori, il rovesciamento degli “idoli” che impongono la storia del più forte. Il mondo vero diviene favola quando la favola impedisce di vedere la realtà… Hannah Arendt, Edith Stein, Simone Weil, Michel Foucault, Carl G. Jung, Martin Buber, Hans Jonas, Buenaventura Durruti… ci hanno fatto comprendere che una serie di colpi ben assestati contro gli archivi della mediocrità politica liberano i pregiudizi e con questi franano anche i simulacri… fuori dalle semplificazioni sommarie, don Milani insegnava che uno spirito rassegnato non può che insegnare la rassegnazione, uno spirito libero, la ricerca della verità. “La forza è ciò che trasforma in cosa chiunque le sia sottomesso. Quando viene esercitata fino in fondo, tramuta l’uomo in un cosa nel senso letterale del termine, perché ne fa un cadavere” (Simone Weil)16. I servi non hanno diritto di esprimere niente, tranne ciò che può compiacere il padrone ed è il capovolgimento di questa regola che don Milani ha lasciato in sorte a quanti vogliono spezzare i guinzagli (etici, estetici e morali) che li tengono a catena… i padroni tremano quanto gli schiavi davanti all’insurrezione dell’intelligenza e nessuno mai può fare violenza senza pensare che un giorno non sarà pagato con lo stesso sale.
Le fotografie di Toscani figurano l’agorà della scuola di Barbiana… don Milani osserva attentamente i cuccioli… i ragazzi sono chini sui quaderni, sui libri, discutono, leggono, scrivono… qualcuno guarda il fotografo in macchina, altri affondano la curiosità nelle pagine di chissà quale testo… l’impronta di Toscani è rigorosa, spuria dal reportage occasionale… c’è un’immagine (corale) importante… si vede don Milani che legge il giornale in fondo allo spiazzo bianco davanti alla scuola… al suo fianco alcuni allievi, dietro una piccola cattedra un po’ rotta, un altro ragazzo guarda nel giornale del priore… in primo piano, alla sinistra della fotografia alcuni ragazzi sono seduti sulle panche, parlano, prendono appunti, qualcuno (in piedi) si guarda intorno svagato… alla destra dell’immagine due ragazzi su una panchinetta sono immersi nello studio, uno si tiene la testa con una mano… l’insieme visuale ha la forza di un film western di John Ford o la filosofia libertaria dei ragazzi felici di Summerhill17 … la composizione istintiva di Toscani è subito bruciante… mostra una realtà che supera e recupera la meraviglia del vero per definirla come presenza del giusto… è una fotografia del profondo, quella di Toscani, che non si rifugia nel tasso giornalistico né in forme raffinate della nostalgia… coglie alla radice l’agire di anime sensibili che nulla hanno a che vedere con i parametri consueti della scuola dell’ordine.
Il fine della fotografia qui non è la tirannia della ragione, ma la seminagione della libertà! Toscani privilegia l’insieme e all’interno dell’immagine architetta frammenti di verità… i neri i bianchi s’intrecciano a figure dell’innocenza e non includono l’oscuro, ma la luce del divenire… l’originalità è il principio di ogni fotografia, è il desiderio di fare dell’immagine una fonte di bellezza. Per conoscere la fotografia non basta conoscere la storia e una fotografia è importante quando comincia a splendere di verità e di bellezza non compromesse con i luoghi comuni… ogni fotografia che obbliga a prendere coscienza di una società dell’inganno e del dolore, è un atto rivoluzionario.
A ragione James Hillman scrive: “Sono fermamente convinto che se i cittadini si rendessero conto della loro fame di bellezza, ci sarebbe ribellione per le strade. Non è stata forse l’estetica ad abbattere il Muro di Berlino ed aprire la Cina? Non il consumismo e i gadget dell’Occidente, come ci viene raccontato, ma la musica, il colore, la moda, le scarpe, le stoffe, i film, il ballo, le parole delle canzoni, la forma delle automobili. La risposta estetica conduce all’azione politica, diventa azione politica, è azione politica”18. Tutto vero. È la bellezza che fa la politica, ecco perché è il brutto che domina il mondo. Il brutto è conseguente al successo che lo incensa come bello e nei governi, come nei musei, il regime del brutto s’accorda al lezzo del potere che lo smercia… la forza del potere è l’arte di modificare la realtà e mortificare la conoscenza… solo alcuni bombaroli del bello piazzano ovunque interrogazioni… non basta che una fotografia sia pericolosa, più importante è che il pensiero che l’ha affabulata sia sovversivo quanto basta per far crollare il mondo apparente.
Un giorno un Maestro di Bellezza incontrò un grande artista della fotografia e lo salutò con amorevolezza. “Io non so nulla della Bellezza, Maestro”, disse il fotografo. “Ma io vedo che tu conosci il segreto della fotografia”, rispose il Maestro. “So solo fare fotografie. Non so nulla, se non che morirò e non m’importa di essere consacrato da nessuno”, disse il fotografo. “Allora conosci il segreto della Bellezza”, disse il Maestro, sorridendo.
Ogni fotografia è condannata prima di nascere… non si comprende nulla della fotografia se non si ha il coraggio del fallimento o dell’eversione contro i vincitori o quelli che detestiamo: “Cari ragazzi, ho voluto più bene a voi che a Dio, ma sono sicuro che non baderà a queste piccolezze”, il priore di Barbiana, diceva… e queste parole riverberano nell’intimità alchemica delle fotografie di Toscani… quei volti, quei gesti, quel modo di accogliere del precettore e dei ragazzi di Barbiana, travalicano il momento fotografico… Toscani non scippa niente all’evento, né rende eccezionale qualcosa o qualcuno che lo è già… il fotografo — ma è solo un esempio fatturale — s’accosta a quella fragilità e al contempo risolutezza infantile, in eguale misura di Pier Paolo Pasolini, quando errabondava nelle periferie di Roma e per mano a ragazzini scalzi nel fango cercava quella “straziante meravigliosa bellezza del creato”19. Il realismo nudo delle immagini di Toscani, raccontano una vivenza senza vergogna, un risveglio spirituale, culturale, ben più importante delle affermazioni politiche che cadono nel vuoto di sentenze sommarie… il giovane fotografo non lascia niente all’improvvisazione, semmai aderisce alla passionalità di una fotografia che è coscienza della coscienza… si tiene in disparte e mostra che non c’è storia autentica che non sia dell’anima liberata.
C’è una fotografia (che configura Toscani già come artista fuori dagli schemi e dai vezzi del-
l’elogio interessato) dove si vede il priore attorniato da quattro ragazzi che cammina in una strada sterrata con dietro un casolare… don Milani guarda in macchina, sicuro, bello, con il corpo e il passo del giusto… i ragazzi camminano ciascuno per proprio conto e se ne fregano della fotocamera… tre hanno gli ombrelli, l’altro, più grande, è accanto al padre… sembra di “toccare” l’atmosfera di alcune fotografie fatte proprio a Pasolini tra le baracche di Roma, quando cercava i luoghi dove girare Accattone. Il giovane fotografo interroga la storia di un prete inviso alle gerarchie della chiesa e raccoglie il romanzo della sua vita… in quell’immagine c’è un’evidente linea di confine che separa chi ha potere e chi non ne ha… ma c’è anche altro… la bellezza della dignità di una geografia umana che non vuole essere condannata all’invisibilità, alla paura, alla solitudine, al silenzio e si prende il diritto all’istruzione, alla bellezza e alla libertà… a fare della propria vita un’opera d’arte… che “cos’è l’arte — don Milani, diceva — se non “una mano tesa al nemico perché cambi”. Quando raggiungono il limite estremo della povertà gli esseri umani trovano il servaggio, oppure sfuggono ad ogni controllo istituzionale e cominciano a scavare alle fondamenta del Palazzo, per minarlo alle radici e farlo crollare.
Ci piace pensare anche che la fotografia di don Milani con i ragazzi seduti nei banchi disposti a cerchio nella scuola di Barbiana (un ragazzino più piccolo è al centro della stanza, accanto alla stufa) l’abbia scattata Toscani… ma questo importa poco… contiene la medesima bellezza creativa/sovversiva di molte immagini d’impianto sociale del fotografo milanese, come quelle, ad esempio, fatte nella metropolitana di New York (o davanti a Wall Street), i pretini che sorridono alla fotocamera nelle strade di Palermo, i bambini morenti per la carestia in Somalia20 o il cieco con la fisarmonica in Oxford Street a Londra che risplende di dignità (1962)… qui, come altrove, Toscani mostra che l’atto creativo non è un elemento di fuga o di elusione dei problemi trattati, ma è una condizione mentale, culturale, politica che profana le speranze istituzionalizzate, banalizzate al rango di pretesti e in più, deterge le giustificazioni, le definizioni, gli inganni che contribuiscono a mantenere la magnificenza dei privilegiati sulla disperazione degli ultimi. La verità della fotografia (non solo di Toscani) vive nobilmente negli avvenimenti che la negano.
Nel 2017, al salone del libro di Torino, Toscani ricorda don Milani con affetto e acutezza
critica: « Don Milani era un uomo di grandissima intelligenza che capì subito i meccanismi della comunicazione di massa; comprese che per far passare il suo messaggio doveva implicarsi in prima persona. E così fece… non solo quelli di Barbiana, ma tutti coloro che lo hanno conosciuto, letto o studiato sono suoi allievi. Don Milani è un patrimonio degli italiani »21. E poi, don Milani è « un irriducibile sovversivo e anche una prima donna nel senso che era primo », continua Toscani, « un sovversivo che vedeva in anticipo, un “beginner”, come scriveva Walt Whitman: “Appaiono raramente sulla terra, sono cari e pericolosi/si mettono a repentaglio…”. Anche io mi sento un “beginner”, un iniziatore »22. Toscani è davvero un iniziatore, ma spesso viene male copiato e peggio compreso… chiunque non parla il linguaggio dell’utopia non può capire la visione profonda dell’esistenza che Toscani sparge sulle strade della Terra… sono atti di coraggio che appartengono solo a coloro che sfidano l’illusione che sostiene il mondo e lavorano alla caduta dei suoi miti. “Se un fiore cade è un fiore completo, ha detto un giapponese. Si è tentati di dire altrettanto di una civiltà” (E.M. Cioran)23. Le immagini ereticali di Toscani, come certi fiori di Maggio, rifiutano la rassegnazione e nell’indignazione estetica/etica si trascolorano in segni di vita autentica.
La fotografia sovversiva della bellezza è un rivolgersi, cambiare prospettiva, vedere la realtà con altri occhi… il vuoto alle mie spalle, il vero accanto a me, diceva… la pratica della fotografia d’impegno civile è una filosofia al servizio degli esclusi, lavora al divenire dell’insieme sociale che si libera della sopraffazione dei pochi a danno del maggior numero… si porta dietro cambiamenti epocali di cui ancora molti non comprendono ma, anzi, che vorrebbero impedire… e forse a ragione, perché quando gli uomini conosceranno la forza della bellezza, i responsabili di tanta sofferenza si pisceranno addosso dalla paura di ricevere quello che loro stessi hanno dispensato… nessuno può governare innocentemente, il male si subisce o si serve… non vogliamo condannare un padrone, vogliamo ucciderlo, diceva (con un certo garbo) di Luigi XVI, Danton. Il terrore riproduce le forche che voleva abbattere. La pace armata presuppone il mantenimento indefinito del capitalismo parassitario e solo la sua soppressione può mettere fine all’impero delle disuguaglianze. “Mi rivolto dunque siamo, ma al siamo soli della rivolta metafisica, la rivolta alle prese con la storia aggiunge che invece di uccidere e morire per produrre l’essere che non siamo, dobbiamo vivere a far vivere per creare quello che siamo” (Albert Camus)24. Va detto. Considerare la storia degli uomini come strettamente legata all’impostura delle religioni monoteiste, significa svuotare l’uomo della sua intelligenza e la storia della sua sostanza… nelle simbologie terroriste delle religioni solo gli angeli sono innocenti e i santi, come i martiri, sono avvolti nella beatitudine della stupidità celeste… la speranza è la sola condizione che i padroni dello spirito concedono volentieri agli schiavi, e agli uomini senza dio basta solo un colpo di fucile… la paura è l’ostia di tutti i regimi che fanno della distruzione del diverso da sé, il consolidamento dei propri terrori. Se un dio esistesse veramente, andrebbe avvolto a una croce di sputi, per cosa ha rappresentato e rappresenta sulla Terra… non deploreremo mai abbastanza le morali da ghigliottina che le religioni impongono al genere umano. Il cammino dell’umanità passa dalla liberazione dell’uomo sull’uomo. E comunque vada, senza nessun rimorso.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 28 volte febbraio, 2018
1 Lorenzo Milani (e la scuola di Barbiana), Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967
2 Don Lorenzo Milani (Scuola di Barbiana), Lettera a una professoressa, come Scuola di Barbiana, Libreria Editrice Fiorentina, 1967
3 Don Lorenzo Milani, L’obbedienza non è più una virtù. Documenti del processo di Don Milani, Libreria Editrice Fiorentina, 1965
4 Don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1957
5 Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, 1999
6 Pino Bertelli, Guy Debord, l’Internazionale Situazionista e la rivoluzione della gioia nel ’68, Interno4, 2018
7 Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, 1998
8 Roberta De Monticelli, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, 2003
9 Simone Weil, La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, SE, 1990
10 Hannah Arendt, La disobbedienza civile e altri saggi, Giuffrè, 1985
11 Herman Melville, Moby Dick, BUR, 2015
12 Paolo Levrero, L’ebreo don Milani, il Nuovo Melangolo, 2013
13 Don Lorenzo Milani, L’obbedienza non è più una virtù. Documenti del processo di don Milani, Libreria Editrice Fiorentina, 1996
14 Roberta De Monticelli, Sullo spirito e l’ideologia. Lettera ai cristiani, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2007
15 Friedrich Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello, Adelphi, 1983
16 Simone Weil, Il libro del potere, Chiarelettere, 2016
17 Alexander S. Neill, I ragazzi felici di Summerhill, Red Edizioni, 1990
18 James Hillman, Politica e bellezza, Moretti & Vitali, 2002
19 Pier Paolo Pasolini, Che cosa sono le nuvole?, episodio di Capriccio all’italiana, 1968. Gli altri autori erano Mario Monicelli, Steno, Mauro Bolognini, Franco Rossi e Pino Zac.
20 Oliviero Toscani, Più di 50 anni di magnifici fallimenti, Electa, 2015
23 E.M. Cioran, Squartamento, Adelphi, 1981
24 Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 1981