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Tatami Una donna in lotta per la libertà (2023), di Guy Nattiv e Za Amir Ebrahimi

Inserito da serrilux

Tatami Una donna in lotta per la libertà (2023), di Guy Nattiv e Za Amir Ebrahimi

a Mahsa Amini,
arrestata e uccisa dalla polizia religiosa a Teheran il 16 settembre 2022, per la mancata osservanza delle legge sull’obbligo del velo (hijab)…

“Se le donne cambieranno, gli uomini saranno costretti a cambiare. Ma non lo faranno senza opporre una considerevole resistenza.
Nessuna classe dominante ha mai abdicato ai propri privilegi senza lottare”.
Susan Sontag

I regimi autoritari religiosi, razzisti, antisemiti, discriminatori verso tutte le minoranze che si perpetuano anche nella società dello spettacolo con i medesimi mezzi repressivi per chi alza il capo e apre gli occhi, sono la peste che va combattuta… e tutti gli strumenti sono buoni per defenestrare l’origine del male. I totalitarismi distruggono la libertà, impoveriscono la lingua, aboliscono la verità, propagandano l’odio, detengono il monopolio culturale e attraverso il silenzio dei popoli, cortigiani striscianti, esperti delle guerre, terroristi della Borsa internazionale… decretano i fasti dell’Impero della violenza… la merce è la preghiera per l’asservimento delle masse e la scheda elettorale l’obbedienza alla corruzione politica implicata con mafie, genocidi, distruzione dell’ecosistema del pianeta… l’aspersorio e il fucile sono i maggiori responsabili di una civiltà che finisce.

A volte basta un primo passo, armato d’ogni critica radicale al presente, per trascolorarsi in una buriana di passi e mettere fine ai sagrati dell’autoritarismo… lo scriveva un ragazzo di poco più vent’anni, Étienne de La Boétie (1530-1563): “Siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi”… si tratta di fare dell’immaginazione l’epifania più autentica, compresa quella di uscire dal teatro ridendo e far saltare le luci… niente più pubblico, niente più teatro… fine di tutte le rappresentazioni… niente più linguaggio degli affari… la saggezza dell’asino della fattoria degli animali di Orwell — che non rideva mai perché non c’era proprio nulla per cui ridere — non vuole la frusta ed è l’unico a saper leggere e riconoscere che un mondo popolato da cani, maiali, pecore, capre, piccioni, corvi… non merita essere salvato ma fatto crollare.

Al fondo del film Tatami Una donna in lotta per la libertà co-diretto dall’israeliano Guy Nattiv e dall’iraniana Zar Amir Ebrahimi, c’è il deciso rifiuto del regime islamico (tutti gli attori di nazionalità iraniana vivono in esilio, Arienne Mandi, l’interprete principale è americana con ramificazioni cilene e iraniane)… è la storia di donne temerarie che prendono coscienza della propria condizione di sudditanza e si ribellano al regime iraniano durante il campionato del mondo di Judo a Tbilisi (Georgia). L’iraniana Leile Husseini (Arienne Mandi ) è la judoka che vince tutte le avversarie e si avvia ad affrontare un’atleta israeliana per aggiudicarsi la medaglia d’oro… Maryam (Zar Amir Ebrahimi) è l’allenatrice… i despoti della repubblica islamica intimano Leile a fingere un infortunio e abbandonare la competizione… la polizia religiosa imprigiona il padre di Leile… attraverso lo smartphone dei torturatori le fanno chiedere di lasciare il tatami… anche la famiglia di Maryam è minacciata ed è costretta a convincere Leile a rinunciare alle gare. Il marito dell’atleta, in una toccante telefonata mentre con il loro bambino oltrepassano la frontiera, la incoraggia a continuare… Leila perde l’incontro per la finale ma vince la medaglia più alta, quella della libertà… con Maryan, protette dal comitato olimpico internazionale, riescono a fuggire a Parigi… Leila si congiunge con il marito e il figlio e seguita a combattere nella squadra di Judo dei rifugiati politici.

Tatami è il racconto sofferto di una scelta, non solo per le donne, a rifuggire la rassegnazione e alzare la testa contro ogni forma di sottomissione… è la figurazione del coraggio femminile in paesi dove la donna è cancellata dal dispotismo familiaree dello Stato… un film sulla dissidenza, sull’odio cieco di sistemi e governi che pretendono di decidere della vita e dei sogni dei cittadini… “ è l’odio che guida gli omicidi, i massacri, le stragi, i genocidi ed è l’odio che arma la mano dei criminali, dei dittatori, dei tiranni e degli assassini” (Michel Onfray) che si celano sotto un Dio, uno Stato o un Emirato… il mercato delle armi è il loro credo e la guerra la loro profezia, e tutti gli impiccatori di professione s’abbeverano al patibolo di Wall Street.

Di Tatami Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi, dicono: « Gli artisti israeliani e iraniani hanno  trovato i loro fratelli e sorelle incontrandosi nell’arte e hanno scoperto di essere in realtà molto vicini e di avere tantissime cose in comune, condividendo l’arte stessa, l’estetica, il cinema… In definitiva, speriamo di aver fatto un film che mostri al mondo che l’umanità e la fratellanza vincono sempre». Le idee più pericolose sono eresie… l’indecenza della donna in libertà è quella di essere indiscreta, disobbediente, insorgente contro sessismi, razzismi, repressioni che appartengono alla rapacità del potere maschile, fino all’idiozia delle uccisioni di Stato. Non si tratta di facile femminismo né di rivendicazioni pietistiche della condizione femminile nel mondo… solo le donne che combattono per i loro diritti, anche con le armi più estreme, possono riuscire a cambiare i privilegi della signoria maschilista… compresi, va detto, anche quelli delle donne abbrancate nei massimi luoghi della politica internazionale.La critica al potere della donna libera da ogni dogma è vivere la propria vita più feconda, più libera e più immaginativa possibile… l’emancipazione della donna contiene quella carica rivoluzionaria che infrange le mitologie sul buon governo e insorge contro il predominio degli uomini e la segregazione femminile verniciata dalla falsa idea “progressista” di parità. “Ci sono uomini (e donne) oppressi da altri uomini. Ma tutte le donne sono appresse da tutti gli uomini” (Susan Sontag). Non ci può essere nessuna indipendenza femminile se non si passa alla riduzione, fino alla cancellazione del possesso degli uomini.

L’architettura filmica di Tatami è sviscerata nel formato 4:3, in un bianco e nero asciutto, essenziale e circoscrive un luogo-tempo dell’azione in maniera fulgida… rimanda a un certo cinema di denuncia americano sulla boxe… vedi — Anima e corpo (1947) di Robert Rossen, con John Garfield, fotografia di James Wong Howe, scritto da Abraham Polonsky (incriminato come comunista dalla Commissione per le attività antiamericane e impedito di lavorare a Hollywood), Stasera ho vinto anch’io (1949) di Robert Wise, con Robert Ryan, fotografia di Milton R. Krasner, Il grande campione (1949) di Mark Robson, con Kirk Douglas, fotografia di Frank Planer o Lassù qualcuno di ama (1956) di Robert Wise, con Paul Newman, fotografia di Joseph Ruttenberg —. Come in Anima e corpo e Stasera ho vinto anch’io… specialmente… il bianco e nero di Tod Martin incornicia l’ambiente (il Palazzo dello sport di Tbilisi), in una possanza figurativa quasi documentaria… ma anche i pochi esterni o interni sono avvolti nella medesima atmosfera di minaccia… non siamo su un palcoscenico o in una saga televisiva per brave famiglie cresciute tra un vestito Armani, Internet o la Coop… è un film che ci porta dentro il tragico della vita di due donne che rifiutano l’umiliazione e scelgono la libertà, costi quel che costi.La poetica filmica di Tatami — specie nell’uso leggero/poetico della macchina da presa correlata con i primi piani degli attori — ricorda lo straordinario documentario di Forugh Farrokhzad, poetessa, regista e scrittrice femminista girato in un lebbrosario in Iran, La casa è nera (1963), realizzato con l’aiuto tecnico del documentarista iraniano Forugh Farrokhzad. Girato in 12 giorni, montato dalla Farrokhzad, voce fuori campo di Ebrahim Golestan (che legge pezzi del Corano e della Bibbia). Dura 21 minuti. Un’accusa forte sull’indigenza, l’abbandono, l’inumanità nella quale sono tenuti gli ultimi della catena sociale di un regime che dice di osservare i precetti d’amore del Corano con l’impiccagione, il taglio delle mani e la lapidazione.

La sceneggiatura di Elham Erfani e Nattiv non ha niente del thriller politico, come è stato scritto da più parti, è invece una fine intelaiatura di quadri-scene disseminate all’interno di uno spazio-specchio (il Palazzo dello sport di Tbilisi), collegati alle imposizioni del regime iraniano (le stanze dei potenti, la casa di Leile dove il marito, loro figlio e degli amici seguono per televisione il campionato di Judo, e irrompe la polizia religiosa)… i pochi esterni trasmettono la repulsione claustrofobica del regime… le torture del padre di Leila, la fuga del marito con il figlio verso il confine, le minacce della polizia politica iraniana rivolte all’atleta e alla allenatrice disvelano l’idiozia dell’oppressione religiosa e statuale, e conferiscono a Tatami lo statuto di cinema eversivo.Arienne Mandi interpreta Leila con notevole forza… è commovente, appassionante, testarda e vera… non abbassa il capo alla malvagità… incarna non solo la judoka che rigetta il disprezzo del regime iraniano verso le donne ma rivendica anche il diritto di donna in lotta per la propria autodeterminazione… la dignità, il rispetto e il riscatto sono le chiavi di lettura di questo film palpitante di bellezza e giustizia a fianco di ogni donna alla quale è stata mortificata la propria presenza da un uomo, un marito o uno Stato… la scuola dei cadaveri del regime iraniano (come di tutti i regimi assolutisti) insegna l’arroganza maschile e l’eterna martirologia persecutoria inducono alla paura come genesi della sudditanza.

Zar Amir Ebrahimi (co-regista del film) è l’immagine-corpo del panico indotto del regime iraniano su donne e uomini che accettano o subiscono le sue iniquità… impersona l’allenatrice di Leila con sguardi penetranti, emozioni raggelate, comportamenti ambigui e sofferenti al contempo… è il simbolo di un’ecolalia femminile che infrange tutte le pantomime della soggezione per rivendicare la bellezza e la giustizia di ogni donna.

Il montaggio ritmato di Yuval Orr, la fotografia intarsiata nel bianco e nero di Tod Martin e l’uso sapiente della macchina da presa sono gli architravi di un film che fa dell’emozione/ compassione uno stile o viceversa… Tatami è una sorta di manifesto delle proteste delle donne, dei giovani, degli insorti, dei massacrati dal regime iraniano che lottano per una vita più giusta e più umana… darei tutti i film di Steven Spielberg e dell’altro… per un paio di schiaffi a Masoud Pezeshkian, presidente della Repubblica Islamica… perché so che tutti i carnefici hanno lo stesso lezzo dei salvatori della Patria e dei Profeti dell’intolleranza e della crudeltà… nessuna tirannia resisterebbe a un paio di mesi di verità dette sulle barricate della storia… poi tutto è da vedere!… intanto alle fogne!… ai lupanari!… bagatelle per una liquidazione della stupidità. Per la fraternità, la solidarietà e la giustizia non ci sono catene, la libertà non si concede, ci si prende.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 14 volte settembre, 2024

La libertà non si concede, ci si prende!…
e tutti i mezzi sono buoni!… e senza nessun rimorso!…

 

 

 

 

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