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Steve McCurry – Sulla fotografia della fascinazione

Inserito da serrilux

Steve McCurry – Sulla fotografia della fascinazione

“Perché questi predicatori di così grande ragionevolezza,
che ostacolano in ogni modo la nostra tendenza al fascino delle voglie e a tutte le Seduzioni,
sono poi i più inclini a pascersene loro stessi nel mentre ingannano noi?
Costoro tentano in ogni modo di intrufolarsi fino alle più alte cariche governative dello Stato
[della cultura, dell’arte, dell’economia], per potersi dedicare, autorevolmente, a nessun’altra attività
che non sia quella di illudere il popolo con una pletora di fandonie, per poi pretendere
che esso trovi delle Seduzioni in quelle privazioni che loro stessi dicono di apprezzare
ma praticano pochissimo”.

Charles Fourier

 

I Sulla fotografia dei non riconciliati

Prologo ereticale sulla fotografia dei non riconciliati. Violenza aiuta, dove violenza regna, annotava. Si “tira” una fotografia come si tira uno schiaffo… i surrealisti lo sapevano… i situazionisti anche… consideravano, a ragione, che la critica della vita quotidiana non può essere separata dalla critica dell’arte (o viceversa)… l’attività culturale comincia con il progetto di rivisitazione dell’ordinamento sociale e la messa in discussione degli strumenti del comunicare della società contemporanea. Il compito dell’artista, dovunque si trovi, è quello di delegittimare il pensiero dominante attraverso nuove forme e nuovi contenuti, chiamarsi fuori dalle subordinazioni dell’arte alla politica e denunciare le falsità del potere senza mezzi termini. Non si può capire la fotografia senza una critica radicale che si ispiri a un progetto di opposizione della società spettacolare, senza una critica radicale della creatività liberata.

Il capitalismo parassitario è responsabile della crescita delle disuguaglianze ed è la più seria minaccia per la libertà. “Proprio come i parassiti, la grande forza del capitalismo sta nella straordinaria ingegnosità con la quale esso cerca e scopre specie ospitanti nuove ogni volta che quelle sfruttate in precedenza si estinguono” (Zygmunt Bauman)1… i crimini di guerra non sono frutto di errori o peccati dei popoli, sono sempre il risultato di saprofagi della finanza, della politica e dei governi… le chiese monoteiste sono stupendamente tolleranti (almeno quanto il boia di Londra), perdonano tutto, tranne la disobbedienza civile.

Se davvero il “capitalismo parassitario” è all’origine di ogni cattività, perché non incitare a demolirlo attraverso forme concrete di disobbedienza civile? I filosofi si sono limitati a interpretare il mondo, ora tocca ai popoli impoveriti e alle giovani generazioni cambiarlo! La pace, come la libertà o l’amore, non si concede, ci si prende! Indignatevi! La concezione di democrazia partecipativa che passa attraverso convegni federali, cooperative, consigli di fabbrica ecc., è una forma di opposizione alla sovranità (che proviene dall’alto) sancita dal consenso elettorale, ed è una necessità per arrestare il potere coercitivo dello Stato, della Chiesa e della Finanza. Le concentrazioni dei saperi detengono l’imperio dell’immaginario e attraverso i media (cinema, fotografia, televisione, carta stampata, telefonia, internet…) educano gli uomini alla sottomissione, alla paura, alla mediocrità… violenze, distruzioni, vigliaccherie sono legati alle grandi dichiarazioni dei governi… le forze dominanti della società globale non fanno sconti… i carri armati sono il linguaggio primario del potere e i partiti rappresentano gli interessi fondamentali dei potenti… solo i popoli falcidiati dalla guerra la piangeranno, perché solo dei massacrati è il lutto.
La fotografia corrente è una forma normale di delirio… c’è qualcosa di marcio nell’idea di fotografia che circola nei luoghi deputati alla sua mercificazione… nell’immaginale fotografico più consumato, la fattività e la stupidità sono un’unica cosa… una fotografia che lascia il lettore uguale a com’era prima di vederla è una fotografia sbagliata. Chi parla di fotografia senza pensare al vissuto quotidiano ha un cadavere in bocca. L’indice storico delle immagini figura, infatti, un’epoca determinata dall’indifferenza o, per alcuni fotografi, un presente che non ha bisogno di infingimenti e diviene strumento di disvelamento del dominio reale. La fotografia così fatta racchiude l’intero esistente, sia in superficie che in profondità, e sottende il desiderio di una storia dell’umano tutta da costruire.

Per gli antichi greci la bellezza è intimamente legata con la giustizia, sono due diverse facce della stessa qualità: la virtù e l’eccellenza. La bellezza è uno stile, la giustizia è il florilegio della sua poetica clandestina. Qualsiasi imbecille può fabbricare una “buona opera”, ma solo un poeta senza guinzagli può comprendere e cogliere l’immagine della bellezza e della giustizia come testimonianza eversiva del proprio tempo… di nessuna chiesa è l’arte liberata da tutte le strutture dello spettacolo mercantile. Ci viene da ridere o sobbalzare quando leggiamo o ascoltiamo (assaliti da conati di vomito), certi fotografi affermare — “La mia arte fotografica” — (!?)… davanti a un tribunale degli angeli sarebbero condannati per insignificanza universale e allontanati dal cielo, come dalla volgarità, senza remissione dei peccati! W. Eugene Smith o Henri Carter-Bresson o Diane Arbus si sarebbero lavati la lingua col sapone prima di dispensare tanta stupidità! In ogni millantatore coesistono l’idolatra e il portinaio in cerca della deificazione, foss’anche quella dell’entusiasta inchiodato sulla croce del riconoscimento mercatale. Sputeremo sulle vostre tombe!

Steve McCurry è un grande fotografo, abilissimo nel colore, fermo nell’inquadratura, forte nelle proprie scelte espressive… le sue immagini però ci sembrano avvolte in una fascinazione quasi sacrale, che difficilmente contiene il letto di pulci dove prende i suoi ritrattati… lo sguardo del lettore gode di tanta bellezza espositiva ma la povertà pare restare a margine dell’insieme affabulativo. Certo è che il suo fare-fotografia è stato emulato da intere generazioni di fotoamatori ricompensati di magie, incantamenti, meraviglie del colore di McCurry, ma ad andare a fondo della sua perfezione estetica si resta contaminati più dal santo bacio della vostra santa bocca (Salomone diceva nel Cantico dei cantici) che dal piacere materiale che ne consegue… è difficile elogiare una patria o un profeta, quale che sia, quando manca il pane.

Di Steve McCurry in Rete si legge: «È un fotoreporter statunitense. Nasce in un sobborgo di Philadelphia (Pennsylvania) il 24 febbraio 1950. Frequenta la High School Marple Newtown nella Contea di Delaware e poi si iscrive alle Penn State University per studiare fotografia e cinema. Si laurea in teatro nel 1974. Inizia ad interessarsi di fotografia e collabora con il quotidiano Today’s Post. Poi parte per l’India come fotografo freelance e lì dice McCurry — “ho imparato a guardare e aspettare la vita: Se sai aspettare, le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto” —. Una filosofia e teoria della scrittura fotografica della quale diffidiamo, perché è dietro il sagrato dell’oggettività che si sono sempre celati i tenutari delle forche e del plotone d’esecuzione… in nome della ragione imposta hanno educato alla soggezione i popoli impoveriti e li hanno gratificati con la pubblicazione colorata (o bianco e nero fa lo stesso) dei loro volti violati in libri, giornali, riviste, televisione, film… perfino nella cartellonistica pubblicitaria di profumi, mutande, vestiti griffati,… e spesso nel cambio di un premio internazionale si è giustificato un crimine contro l’umanità.

La carriera fotografica di McCurry salta all’attenzione dei media, quando, travestito con abiti tradizionali, attraversa il confine tra il Pakistan e l’Afghanistan… territorio controllato dai ribelli, poco prima dell’invasione russa… alla maniera di un immortale della fotografia sociale, Roman Vischniac, e della talentuosa allieva di Walter Benjamin, Gisèle Freund, si cuce nei vestiti i rullini di pellicola e le sue immagini vengono pubblicate nei quotidiani internazionali… sono le prime fotografie che documentano un conflitto mai finito. C’è da dire che le forze armate dei paesi comunisti (si fa per dire) e delle democrazia occidentali, mai hanno gettato una sola bomba nei campi di papaveri afghani… l’oppio dei popoli non è solo la religione, la politica, la finanza… la droga, si sa, è un deterrente importante per i saprofiti del potere e uno strumento di abbrutimento e sconfitta delle turbolenze generazionali (come è stato per la soppressione della rivolta libertaria del ’68). Il papavero è anche un fiore. Il suo reportage vince il Robert Capa Gold Medal for Best Photographic Reporting from Abroad, assegnato ai fotografi che si sono distinti per eccezionale coraggio e per le loro imprese.

McCurry continua a fotografare i conflitti della modernità (Iraq, Libano, Cambogia, Filippine)… pubblica nelle riviste di tutto il mondo e ha grande rilievo nel National Geographic Magazin… diventa membro della Magnum Photo dal 1986. Gli conferiscono riconoscimenti importanti come il Magazine Photographer of the Year della National Press Photographers’ Association… per quattro anni consecutivi vince il World Press Photo Contest e per due volte l’Olivier Rebbot Memorial Award. Il successo del fotografo è travolgente, anche meritato.

McCurry, dicono, “si concentra sulle conseguenze umane della guerra, mostrando non solo quello che la guerra imprime al paesaggio ma, piuttosto, sul volto umano. Egli è guidato da una curiosità innata e dal senso di meraviglia circa il mondo e tutti coloro che lo abitano, ed ha una straordinaria capacità di attraversare i confini della lingua e della cultura per catturare storie di esperienza umana. «La maggior parte delle mie foto – dice McCurry – è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità»”2. McCurry è protagonista un documentario televisivo dal titolo Il volto della condizione umana (2003), realizzato dal pluripremiato regista francese Denis Delestrac. Nel 2013 è autore del “prestigioso” calendario Pirelli, fotografa 11 donne impegnate nel sostegno di Fondazioni, organizzazioni non governative e progetti umanitari. I suoi workshop fotografici, della durata di un fine settimana a New York, che si possono estendere a due settimane in Asia, sono molto seguiti. L’eco del suo insegnamento è planetario. Per un autore di successo, la cosa peggiore è essere compreso.

Il fascino indiscreto della fotografia però è altra cosa… la feticizzazione della fotografia come merce lavora per conto dell’organizzazione dell’immaginario assoggettato e sotto il controllo dei dispensatori dei saperi, il linguaggio di ogni arte designa sempre altro dal vissuto reale. Il linguaggio della critica o è la critica dei linguaggi dominanti o è poca cosa… dove c’è poesia dell’autentico non c’è Stato. Non si tratta di mettere la fotografia al servizio della verità, ma piuttosto di mettere la verità al servizio della fotografia. Le immagini sono prigioniere dei linguaggi codificati ed è impossibile sbarazzarsi di un mondo in decomposizione senza sbarazzarsi dei linguaggi che lo nascondono o lo garantiscono. Il fatto è che ogni linguaggio è la dimora del potere e il rifugio della violenza accettata. I linguaggi dell’adulazione, della conciliazione, del cattivo edonismo perfezionano la reificazione di ogni forma di comunicazione e sostituiscono un’idea vera con un’idea falsa. I vocabolari del dissidio non smetteranno di lavorare finché i poeti della bellezza e della giustizia non avranno smesso di usarli e inventare il divenire dell’innocenza.

II Sulla fotografia della fascinazione

Nella fotografia non c’è più nulla da leggere, se non l’odore di carogna che si porta dietro. “La mia fotografia è onesta!” — diceva il fotoreporter mentre fotografava il bambino morente e l’uccellaccio affamato in attesa di mangiarlo (l’immagine avrà poi un prestigioso premio). — “Purtroppo le mie fotografie lo sono meno “ —, forse pensava. Qualche tempo dopo si è tolto la vita. Un fotografo di meno. Meglio un bambino vivo.

La menzogna della fotografia sacralizzata è pura impostura… la menzogna, talvolta ha la limpidezza della verità… ma troppo spesso viene confusa con la legittimazione del falso contrabbandato come arte. A ciascuno la sua fotografia… una volta che un’immagine strappa un pezzo di vita quotidiana all’oblìo, del reale non resta niente se non la sua miseria e la verità sui responsabili della rovina. Stare accanto alla verità, così come si è vicini alla fotografia, significa entrare a volto scoperto a fianco della povertà, e poiché la fotografia non è se non l’assalto al cielo del dominio, non resta che leggerla (anche nelle sue espressioni più estreme) come superamento dell’arte realizzata. Fotografare il vero, il giusto, il buono è forse comunicare, per la prima volta, l’eredità avvelenata del dolore e riprendere il lascito sovversivo dei ribelli senza causa, che non sia quella dell’amore dell’uomo per l’uomo. La sola fotografia che lascia un segno nella storia è quella che invita a scoprire le diversi voci della coscienza, quella maltrattata e quella che insorge e chiede il rispetto dei diritti umani.

La fotografia della fascinazione di McCurry è abbagliante, di una bellezza rilucente… seduce ma lascia addosso qualcosa di compiuto che è sospetto di estetismo… ha poco a che fare con la filosofia della seduzione di Nietzsche o Baudrillard… per il primo la seduzione contiene la magia dell’estremo e coincide con la trasvalutazuone di tutti i valori3, per il secondo la seduzione è sempre all’erta, pronta a distruggere ogni ordine divino, foss’anche quello della produzione o del desiderio4. La seduzione fotografica di McCurry s’accorda al romanzo autobio- grafico che l’accompagna ed esorta a godere e a far godere, senza procurare danno né a se né ad altri… è di una forza estetica incline alla pregevolezza e si definisce in rapporto alla costru- zione etica che l’autorizza. McCurry è sensibile, a tratti commuove anche, l’insieme del suo immaginario a colori è una casistica di belle povertà e molto altro ancora… attraversa inferni reali e riesce in qualche modo a portare una scheggia di dignità nel corpo sociale che tratteg- gia all’incrocio di sofferenze secolari. Non è poco. Il suo armamentario estetico però non sembra essere fornito dell’indignazione necessaria che aderisce al negativo che la abita. La fotografia che ha cessato di resistere si svilisce nei suoi contenuti e sarà sostituita da un’altra che resisterà.

A noi, va detto, interessa riflettere sulla maestria del colore di McCurry… a sfogliare le sue immagini più famose (la ragazza afghana con gli occhi blu, volti di donne, uomini, bambini… fotografati in uno splendido Kodachrome, restituiscono appieno la gamma cromatica della pellicola e forse nessuno mai è riuscito a tanto… ad andare in profondità delle fotografie ciò che più emerge dalla loro straordinaria compiutezza formale, non è il dolore o la gioia di un’epoca, ma lo splendore dei rossi, dei verdi, dei marroni, dei blu, dei neri… che operano una trasfigurazione dei soggetti e li depositano nel casellario dell’arte museale… che è un merito, anche… ma poco riguarda le Istorie emarginate dalle quali parte. Le inquadrature di McCurry sono sapienti, mai liquide, anzi piuttosto elaborate… le linee, gli sfondi, la compo- sizione generale non è esente da un certa mistica dell’immagine bella, e palazzi bombardati, navi arenate sulla spiaggia, morti e carri armati che si stagliano su fondali di guerra… includono forse vittime e carnefici, ma basta vedere un affresco di Paolo Uccello per comprendere le atrocità di un conflitto e gli esecutori della barbarie.

Una ragazza sfigurata, un bambino che abbraccia il fucile, rottamatori di navi, danzatori indiani affogati nella tinta rossa, donne velate di nero vestite… stupendamente presi nell’ascesi di una edificazione dell’arte figurativa, esaltano il gesto virtuoso e i soggetti si trascolorano in maschere e non metafore del mondo degli oppressi. Lo sguardo di McCurry è elegante, è vero, mai severo con i fotografati… anche appassionato della materia che tratta… ma nella fotografia (e dappertutto) tra il significante e il significato, bisogna mettere il primo al servizio del secondo. L’esistenza del vero è subordinata a quella del senso che gli corrisponde. Nulla mai al di sopra o al di sotto delle schegge di verità che non siano egualitarie. L’eccezione affascina, la differenza include il bastone che la produce.

La fotografia della fascinazione di McCurry è generosa di ammiccamenti, giustapposizioni, quadrature formali… ma il sublime fuoriesce da chi pratica il dissidio e la sovranità, la sfida e l’ironia, lo stile e la seduzione con tutta la regalità di chi pratica l’arte di dispiacere: “Io non concepisco forza senza eleganza, volontà senza tripudio o determinazione senza attenzione per una pienezza estetica. L’artista è una figura che mi riposa nel filosofo quando quest’ulti- mo è divenuto una caricatura di se stesso” (Michel Onfray)5. La fotografia ascetica sa di pol- vere, e molto spesso non è altro che l’arte di sistemare i resti o i vecchi avanzi lasciati dalle religioni, dai partiti, dai saperi, all’utilitarismo della società mercantista.

Qualsiasi fotografo sa indicare la via verso il sublime… ma laddove non c’è volontà di rottura col modello di società esistente, non c’è via. Più vedo gli sforzi compiuti da critici, storici, galleristi, mecenati, fotografi per elevare la cultura fotografica al rango di arte per tutti… più sono convinto che il mio amico finito in manicomio per aver sputato contro la Madonna in processione, aveva ragione: “Vale solo la rivolta, il resto è menzogna”. Ossequiosità, servili- smo, cupidigia, provocati dalla politica consumerista e dalle bassezze elettorali sono i legacci dei privilegiati, e l’unico modo per distruggere questo stato di cose è la diserzione o la resi- stenza sociale. Insegnare agli uomini a non più guardare ma a vedere, è sempre stato perico- loso.

Se si cominciasse col sopprimere tutti quelli che stanno aggrappati agli scranni del dominio come ratti su cumuli di spazzatura, si potrebbe intravedere la seduzione composta della socie- tà di armonia (sognata da Charles Fourier), dove anche i cani randagi hanno una qualche im- portanza nella dismisura delle passioni liberate e l’Utopia della felicità umana che verrà di- venta storia7.

Le verità ultime si dicono sulla soglia del vero che si trascina irreversibilmente all’interno della bellezza che si morde (e c’impara a vivere e morire insieme alla leggibilità e illeggibilità di fotografare ciò che non si valuta in base ai suoi successi, ma alla resistenza sociale). Dare su qualsiasi cosa, compresa la disperazione, giudizi irreconciliabili contro i possessori d’illu- sioni, è l’unica maniera di non tradire la fame degli impoveriti. Se mi chiedessero qual è, di tutti i misteri, quel che resta più difficile a conoscere, risponderei senza esitare, la fotografia in amore verso gli ultimi… la fotografia pensa e invita a pensare intorno a se stessa… un’im- magine è centro di un evento o è solo banalità patinata… il cuore profondo della fotografia è nella vita trasfigurata che desidera raggiungere ciò che gli manca. Ciò che non uccide la foto- grafia, la fortifica.

Un’annotazione fuori margine7

La nostra epoca ha nutrito la propria disperazione nella bruttezza e nelle convinzioni, nei miti e nei mercati, nelle bombe e negli accordi internazionali… ma solo il bello come manife- stazione del bene, del vero, del giusto è il viatico per il raggiungimento del bene comune. Bellezza e verità sono la stessa cosa! La giustizia non è separabile dalla bellezza. La bellezza si vive, non si dimostra! Quando i popoli si accorgeranno della fame di bellezza che c’è nei loro cuori, ci sarà la rivoluzione della gioia nelle strade della Terra.

 

1 Zygmunt Bauman, Il capitalismo parassitario, Laterza, 2009
2 http://it.wikipedia.org/wiki/Steve_McCurry
3 Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1986
4 Jean Baudrillard, Della seduzione, ES, 1995
5 Michel Onfray, La scultura di sé. Per una morale estetica, Fazi Editore, 2007
6 Charles Fourier, La seduzione composta. Il fascino indiscreto dell’utopia, Stampa Alternativa, 2006
7 Pino Bertelli, alcuni frammenti inseriti in questo articolo sono tratti da Disobbedienza civile e l’iconologia del- la violenza, dattiloscritto inedito

Manifesto per una fotografia dei diritti umani resistenza sociale, disobbedienza civile e poetica dell’immagine

Manifesto diritti umani