di Don Andrea Gallo con Loris Mazzetti, Aliberti Editore, 2010, pp. 171, € 17,00
Sono venuto per servire è una conversazione etica, anche politica, tra Don Andrea Gallo e Loris Mazzetti… diciamolo subito… non è la solita autocelebrazione né apologia di sé alle quali ci hanno abituato politici, artisti, scrittori senza talento… avvezzi agli incensamenti e ai consensi della società dello spettacolo… le domande intriganti, pertinenti, maliziose di Mazzetti sono colte al volo da Don Gallo che le allarga, le rovescia o le attraversa con l’ironia salace e l’intelligenza belligerante che gli è propria e, più di ogni altra cosa, è l’esistenza straordinaria di un prete scomodo, un prete partigiano, un prete da marciapiede che ha fatto del vangelo degli ultimi il suo viatico o la sua deriva con i dannati della terra per la conquista di un mondo più giusto e più umano. Don Gallo ripercorre la sua vita, ricorda la famiglia, il fratello partigiano, la partecipazione alla guerra di liberazione, l’illuminazione della fede in Don Bosco, le difficoltà avute con i cardinali (cinque) che hanno ostacolato la sua particolare missione di stare accanto alle persone in difficoltà… a chi non ha voce… non importa se sono drogati, travestiti, prostitute, rapinatori, svantaggiati… sono tutti la sua gente, perché lui è “venuto a servire” — dice — e tra cielo e terra ciò che conta è l’amore dell’uomo per l’uomo.
Il libro è corso da invettive contro il potere, anche contro i burocrati della sinistra, ed è una coraggiosa esposizione di idee a favore della pace, della libertà e la rivendicazione dei diritti umani più elementari… se per Don Franzoni il “Diavolo è suo fratello”, per don Gallo il Diavolo è tutto ciò il potere del male rende la vita degli uomini, delle donne, delle giovani generazioni… un inferno sulla terra. La sua visione del colonialismo è feroce e sempre attuale: “I padroni cristiani — scrive — arrivano in Africa e caricano le navi di schiavi che poi vendono ad altri padroni cristiani. Per decenni e decenni i teologi si sono domandati se gli esseri umani dalla pelle nera avessero un’anima”, poi afferrando le parole di un papa, aggiunge: “Adesso basta siamo tutti, indistintamente figli di Dio… L’omosessualità? Un dono di Dio”. Di più. Fa proprie le affermazioni di libertà, non violenza, educazione degli oppressi di Giorgio Bocca, Fabrizio De André, Albert Einstein o Paulo Freire e contrasta anche le autorità ecclesiastiche per la loro indifferenza ai reali problemi di sopravvivenza (e genocidio da parte dei paesi ricchi) dei popoli impoveriti.
Le parole di Don Gallo sono pietre… “Siamo di fronte, nel nostro bel Paese, a una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. La mia coscienza di uomo e di prete che intende coniugare fede e impegno civile è in difficoltà a prendere la parola. Dov’è la fede? Nelle crociate moralistiche? Dov’è la politica? Nei palazzi? Dove sono i partiti? Sempre più lontani. È una vera eutanasia della democrazia, siamo tutti corresponsabili, anche le istituzioni religiose”. Don, come lo chiamano gli amici — non distingue tra credenti e non credenti… è il prete degli invisibili — sostiene — e lo è davvero… un prete angelicamente anarchico… quando ricorda De André si commuove e ci commuove… “L’anarchia — sottolinea — è un modo di essere. È sufficiente leggere i testi delle sue canzoni [di De André] per capirlo: prostitute, zingari, storie di ultimi, di suicidi. Il suo spirito era anarchico e libertario. È stato il fratello, il poeta, il cantautore, il compagno di strada per il riscatto dei miei ragazzi”. Don e De André hanno raccontato la libertà dei senza storia e impersonato i momenti più alti della coscienza civile buttata nelle piazze in quei giorni formidabili del 1968… è la storia dei vinti, dei perdenti, dei fragili quella che fuoriesce dalla scrittura orale/epica di Don Gallo… le sue lacrime autentiche sono sparse là dove regna l’impostura e la falsità e i corpi in amore che accoglie nella Comunità di San Benedetto al porto di Genova sono l’effigie del dolore, della sofferenza, dell’impossibilità di essere normali… le sue metafore, i suoi canti, le sue gesta sono immagini di ciò che ha costruito in oltre quaranta anni di appartenenza alle schiere di “angeli perduti” e sotto ogni aspetto la sua voce si trascolora in voce degli umiliati e degli offesi del mondo
Sono venuto per servire contiene una cartografia dell’umano che racchiude il bello, il vero il giusto e dalle parole, anche infuocate, di resistenza sociale del Don… sembra emergere il cappello nero che incornicia la sua faccia di antico mariano, e tra una fumata di sigaro toscano, una risata ironica e un abbraccio fraterno… e lì dove finisce il mare e comincia il cielo dice: “Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei!”. Mazzetti e Don Gallo si confidano i loro eroi con la grazia di un’eterna infanzia… Don Milani, Che Guevara, i ragazzi della guerra partigiana… fuoriescono da una teologia dell’amore amato che brilla di luce propria, e non c’è nulla al mondo che brilli più di una vita autentica… “Peccato che Don sia un prete — scrive Mazzetti —, se fosse un politico, avremmo trovato il nostro leader”. È vero. I politici non sono fatti per la libertà, perché non ne sono all’altezza.
L’universo di bellezza che tracima dalle pagine di Sono venuto per servire contiene il temperamento, l’immaginazione e anche la gioia di Don Gallo verso una giustizia sociale primitiva, anche sconosciuta a quanti fanno professione di pensare… quel senso libertario del percepire che rinnova la coscienza di sé e di coloro che incrociano la sua singolare capacità di amare senza nulla chiedere in cambio… per Don vestire gli ignudi, spezzare il pane con chi ha fame o accogliere lo straniero corrisponde alla felicità possibile… Don semina i valori della differenza oltre il ricatto del presente… evoca una società libera dai ceppi dell’indifferenza e della genuflessione… fratello tra fratelli e sorelle ci ricorda che di fronte all’estremo c’è sempre stato qualcuno che ha saputo rappresentare, anche con il sacrificio o dono suntuario della propria vita, la dignità dell’uomo… il viaggio nelle periferie invisibili di Don (delle quali parlava anche Pier Paolo Pasolini) è un invito a sognare il magico, il meraviglioso che s’involano tra memoria e immaginazione dei poveri, degli sfruttati, degli oppressi e attraverso una luce di fraternità, solidarietà, condivisione con gli ultimi semina un cantico delle passioni che coincide con l’incantamento della vita di un sognatore, e il sognatore possiede realmente i mondi che sogna. Ciascuno è fatto della materia di cui sono fatti i propri sogni.
18 volte marzo 2011