Nostra bambina delle lacrime è il ritratto fotografico di un’orfana del Burkina Faso (i genitori erano morti per fame, sete e malaria, in un posto dove il chinino costava un dollaro), e rifiutava di cantare la messa in una chiesa nel deserto… forse era stonata!, pensavo!… forse le piaceva cantare sola e non in coro!…
Teneva nelle mani un po’ di caramelle che le avevano “gettato” dal pullman alcuni “fedeli” e che non mangiava… stava schiacciata dietro il muro della chiesa… sul rosso del tramonto e un cane rognoso le leccava le croste dei “ginocchi”.
Le ho parlato in toscano stretto e lei mi ha risposto qualche cosa in swahili… ci siamo compresi subito… e ci siamo allontanati dall’odore dell’incenso.
Le chiese quando sono gremite di persone dabbene che pregano la salvezza dell’umanità in cambio del paradiso per loro anime morte… possono fare paura (proprio come le sedi dei partiti e la corda del boia di Londra) … così le ho dato un sorso d’acqua del pozzo con le mani, le ho accarezzato i capelli sporchi di polvere e fango, ho alzato la fotocmera verso la sua perduta infanzia e due lente lacrime le hanno rigato il viso di bellezza… poi mi ha abbracciato e regalato una caramella… di quelle alla menta… ho acceso il sigaro all’anice, l’ho presa in braccio e all’ombra di un cespuglio di acacia le ho intonato malamente “Bellaciao”… le ho detto (sempre in dialetto toscano) che mia madre mi cantava questa canzone per farmi addormentare… si è messa a ridere… mi ha tirato un po’ la barba ed è scappata con il cane verso la savana… là dove finisce il deserto e comincia il cielo… si chiamava Alma… forse un giorno la ritroverò da qualche parte (o solo in sogno) che grida: “l’amore, come la libertà, non si concede, ci si prende!”