“Ci troviamo in un mondo che è diventato ancora più complesso negli ultimi decenni e i bam- bini ora si pongono domande ed esigono risposte su temi davvero complicati. Le loro emo- zioni sono complesse. È evidente che sia necessario parlare di ciò che è vero e falso, di quali legami tengono insieme una famiglia e del significato dell’essere umani e vivi. Questi sono temi, emozioni e idee importanti che al momento attraversano la mente di ogni bambino. Penso che questa favola sia ottimista, frizzante, divertente e commovente, ma che consenta comunque di affrontare quel tipo di dialogo”.
Gulliermo del Toro
Il cinema (non solo quello di animazione) è spesso al servizio di potenze mercantili destituenti che depongono poteri e istituzioni, chiese o partiti, mercati o pedagogie in dispositivi che pretendono di rappresentarli. Il cinema non sa più annunciare né configurare l’apostrofe del sogno, del gioco o del dissidio… né trascolorare il fantastico, il surreale, il magico in regno della poesia senza cadere nel formalismo tecnologico… il significante ha preso il posto del significato in perfetto accordo con la merce che definisce la coscienza ammutolita dell’artista. Restano solo gli autori ragguardevoli a esprimere giudizi etici-estetici su qualcosa e contro qualcuno. Testimoni di una fattualità linguistica che diventa verità o verificazione o alterità radicale della conoscenza-coscienza non scolarca dell’immaginario liberato. Ci ha pensato il regista messicano Guillermo del Toro a rivisitare le avventure di Pinocchio in maniera del tutto personale e farne un antifascista nel suo film visionario, forse il più bello tra quanti hanno trattato la favola di Collodi, Pinocchio (2022), per il quale ha ricevuto l’Oscar (con Mark Gustafson) per miglior film d’animazione (2023).
Pinocchio è un burattino ironico che ridicolizza Mussolini, rifiuta di fare la guerra, sbeffeggia i gerarchi, disobbedisce alla brutalità dell’autoritarismo… è portatore di una irriducibile dissidenza libertaria. “La disobbedienza è urgente nel mondo adesso. Ci aiuta a capire come possiamo amarci l’un l’altro nei nostri fallimenti, nei nostri difetti, nella nostra umanità” (Guillermo del Toro). La disobbedienza tocca gli estremi di una coscienza che si chiama fuori da tutti i totalitarismi. La disobbedienza è la crescita impudente della vitalità che disconosce tirannie, politiche, dottrine e si colloca fuori dalle prerogative degli apparati che umiliano, reprimono, violentano da secoli il destino degli uomini. A ragione, la disobbedienza contrasta tutto ciò che la reprime e con tutti gli strumenti necessari fa del colpo di grazia alla scuola dei tiranni, la coscienza ridestata di un’altra umanità.
Il Pinocchio di del Toro è del tutto singolare… la costruzione narrativa è in netta opposizione alle convenzioni dell’industria cinematografica del film d’animazione… i pupazzi sono elaborati con la tecnica del Passo uno, quelli che parlano bene dicono stop-motion… cioè i fotogrammi sono impressionati uno per volta… 24 fotogrammi al secondo… come è noto l’immagine televisiva europea (PAL) ne usa 25, mentre l’immagine televisiva americana (NTSC) ne impiega 29,97 al secondo. A partire da Jurassic Park (1993) di Steven Spielberg, gli effetti speciali nel cinema sono stati quasi completamente sostituiti dalla grafica computerizzata che ha distrutto il fascino “artigianale”del cinema d’animazione e ha fondato un nuovo linguaggio adeguato alle richieste dei mercati. L’analfabetizzazione veniente dei social-network, del resto, è pertinenza di coloro che fanno dell’imbecillità una lingua. La tecnica a Passo uno era già conosciuta alla nascita del cinematografo (1895, per convenzione), quando Emil Cohl, nel 1908, la applica a Fantasmagorie… il primo cartone animato della storia del cinema.
Il film di del Toro si basa sui disegni di Pinocchio(2002) dell’illustratore e regista Gris Grimly. Il talento creativo di Grimly è pervaso da una malinconia dark che del Toro riporta nel suo lavoro e non è un caso se Grimly ha rivisitato molti classici per bambini in maniera per così dire, magica, come Raccontidimorteedemenza(2009) di Edgar Allan Poe, Frankenstein (2011) di Mary Shelley o I racconti dei fratelli Grimm (2016)… la sua figurazione dell’immaginale dell’infanzia poggia sui lati oscuri, le ombre, i contorni sempre evitati nelle pubblicazioni per i lettori-ragazzi. Un cercare l’innocenza del vedere-leggere più in ciò che non sa che in quello che conosce. Un dispiegarsi sul dimenticato o il rimosso nel conflitto come padre di tutte le cose. L’essenza del vivere quotidiano che passa nell’esistenza delle proprie pene d’amore o nelle proprie paure… l’armonia nascosta dell’identità che frattura la superficie e va a scavare nel profondo di qua o di là dell’impensabile… l’eterno ritorno all’uguale che è all’origine di ogni verità mancata, perduta o conquistata.
Del Toro scrive la sceneggiatura di Pinocchio con Patrick McHale… i capitoli sono bene intrecciati e tutto il film è quasi una rapsodia figurale che dà un senso d’infinitezza… 121 minuti d’inflorescenza visiva sostenuta dalla magnifica fotografia di Frank Passingham e dal montaggio tambureggiante di Ken Schretzmann… le musiche del compositore francese Alexandre Desplat (peraltro pluripremiato con Oscar in precedenza) sono davvero scarse… da dimenticare. Il burattino senza fili incarna qui un inno libertario alla vita senza maestri né profeti, né guardiani e la sua divergenza estetica-etica si alza a rango di alta poesia.
Cerchiamo di ripercorrere la cartografia del Pinocchio di Del Toro. Nel corso della prima guerra mondiale, le bombe degli aerei austro-ungarici cadono sulla chiesa di un paesino italiano e uccidono Carlo, il figlio del falegname vedovo Geppetto… il ragazzo aveva trovato una pigna e il vecchio la seppellisce accanto alla tomba del figlio… passano venti anni, la pigna è diventata un albero dove ha preso residenza il Grillo parlante Sebastian, un intellettuale scribacchino. Geppetto è sempre ubriaco, non riesce a superare la perdita di Carlo… dopo una solenne sbronza taglia l’albero, lo porta nella sua casa e abbozza una marionetta. La notte appare lo Spirito del bosco che dona la vita al burattino, lo chiama Pinocchio… chiede a Sebastian di fargli da guida in cambio di un desiderio e gli farà scrivere la sua autobiografia.
Sui muri del paesino impera la scritta: “Credere, obbedire, combattere”. Il Podestà è il padrone del paese e impone a Geppetto di mandare Pinocchio a scuola… ma il burattino incontra il Conte Volpe e la sua scimmietta, Spazzatura, che lo convincono a firmare un contratto come attrazione principale del loro circo. Geppetto interrompe lo spettacolo… nel trambusto tra Geppetto e il Conte Volpe, Pinocchio cade nella strada e muore investito dal furgone del Podestà.
Nell’Oltretomba Pinocchio incontra la Morte (è la sorella dello Spirito del Bosco) e gli dice che non è un essere umano, quindi è immortale e destinato a tornare nel regno dei viventi ogni volta che morirà, attraverso lo scorrimento del tempo di una clessidra. Quando torna in vita il Podestà lo vuole far arruolare nell’esercito fascista in vista della guerra. Geppetto dice a Pinocchio che non è un bravo bambino come era Carlo ed è un peso per lui… Pinocchio scappa e raggiunge il circo del Conte Volpe. Geppetto e Sebastian attraversano lo stretto di Messina per raggiungere il circo e riportare a casa Pinocchio ma vengono inghiottiti dal Pesce-cane.
Il circo raggiunge Catania e nello spettacolo finale arriva Mussolini… Pinocchio e Spazzatura decidono di deridere il dittatore nel loro numero musicale… Mussolini fa bruciare il circo e un ufficiale fascista spara a Pinocchio. La Morte lo riporta in vita ancora una volta. Il Podestà conduce il burattino in un campo di addestramento fascista dove stringe amicizia con Lucignolo, il figlio del Podestà… che il padre ritene un pavido. Il campo viene bombardato dagli Alleati… il Podestà maltratta Pinocchio, Lucignolo lo difende e il Podestà viene ucciso da una bomba. Il Conte Volpe vuole bruciare Pinocchio per vendicarsi del suo circo perduto… Spazzatura si ribella al suo padrone e lo spinge sulla scogliera dove cade e muore. Pinocchio e Spazzatura finiscono in mare e si ritrovano nella pancia del Pesce-cane con Geppetto e Sebastian. Per liberare Geppetto e i suoi amici, Pinocchio si fa saltare con una mina navale e uccide il Pesce-cane.
Nell’Oltretomba, quando Pinocchio viene a sapere che Geppetto sta annegando in mare, frantuma la clessidra per tornare subito in vita e salvarlo, anche se la Morte lo avverte che perderà l’immortalità. Geppetto viene tratto in salvo e Pinocchio muore. Lo Spirito del bosco riappare e dice a Pinocchio che il suo gesto d’amore lo ha reso un bambino vero ma non può più tornare in vita. Sebastian, allora, utilizza il proprio desiderio e chiede allo Spirito del bosco un’ultima resurrezione di Pinocchio. Il burattino torna a casa con la sua famiglia-comune e vivono in felicità finché Geppetto, Sebastian e Spazzatura muoiono di vecchiaia. Pinocchio decide di partire verso un non-dove immaginario e Sebastian dice ai Conigli Neri, i servitori della Morte, che forse un giorno Pinocchio potrebbe morire e dimostrare ancora una volta di essere un bambino vero, concludendo: “Quel che accade accade, e infine ce ne andiamo”.
Le avventure del burattino di legno di Collodi hanno ispirato autori differenti tra loro… Tolstoj, Disney, Spielberg, Comencini, Benigni, Garrone, Trevi, Zemeckis, del Toro… Pinocchio è stato definito cristiano, fascista, post-capitalista, anarchico… ma Pinocchio è comunque inconciliabile con le potenze che cercano di travestirlo, nasconderlo o imbrigliarlo nelle definizioni… Pinocchio è testimone di un mondo sempre reinventato e riempito di vie di fuga dal Paese dei balocchi che al fondo respinge e si ribella a tutto ciò che conformismo e omologazione. Pinocchio è un burattino che vuole diventare un bambino — che Collodi non dice come gli altri —… un bambino che vuole essere solo se stesso! La costruzione di una propria personalità che rigetta le norme del sapere, l’autorità, le mitologie, gli insegnamenti, il comandare, l’obbedire… la disumanità è l’obbedienza a tutto, l’umanità è la ribellione a tutto quanto nega la propria soggettività!
Il Pinocchio di del Toro rigetta le leggende storiche dei condottieri, dei vigliacchi, degli eroi, dei martiri, dei santi… la sua favola fa a pezzi tutte le morali pedagogiche hollywoodiane e giapponesi tese ad assoggettare e condizionare la meraviglia e lo stupore dell’immaginario infantile… le monellerie di Pinocchio suscitano il bisogno di radici, il bisogno di riconoscersi ed essere riconosciuti. Pinocchio è un costruttore di situazioni che toccano il cuore del silenzio o della riprovazione… non teme di vedere ciò che teme, lo combatte, lo contrasta, lo affronta e c’è voluta tutta la genialità di Collodi-del Toro per cercare di far comprendere che è l’intelligenza del cuore l’unica ferita che porta a distinguere il Bene dal Male.
Del Toro assegna a Pinocchio il luogo-spazio dell’Io-Anima e dice che non c’è nessuna ideologia all’infuori della ricerca del sé… ciascuno può trovare il suo Pinocchio, non perché c’è un Pinocchio in ciascuno, ma perché Pinocchio è una pagina sgualcita nella profondità dello sguardo che accompagna il proprio cammino nella vita liberata da tutte le concessioni, sottomissioni e sofferenze scolari. Meglio essere mille volte un Pinocchio calpestato che un bambino trapiantato nelle serre dell’educazione addomesticata di un’epoca che sarà stata tutto, tranne che intelligente.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 21 volte aprile, 2023