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Everything Everywhere All at Once (2023), di Daniel Kwan e Daniel Scheinert

Inserito da serrilux

Everything Everywhere All at Once (2023), di Daniel Kwan e Daniel Scheinert

“Classe e casta (sia laica che ecclesiastica) furono gli istituti sociali che permisero un flusso costante di persone stupide in posizioni di potere nella maggior parte delle società preindustriali. Nel mondo industriale moderno, classe e casta vanno perdendo sempre più di rilievo.

Ma, al posto di classe e casta ci sono partiti politici, burocrazia e democrazia (…) La persona intelligente sa di essere intelligente. Il bandito è cosciente di essere un bandito. Lo sprovveduto è penosamente pervaso dal senso della propria sprovvedutezza.

Al contrario di tutti questi personaggi, lo stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce potentemente a dare maggior forza, incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice”.

Carlo. M. Cipolla

Sul cinema della stupidità. La macchina/cinema è un affare serio, molto spesso tragico, qualche volta comico, sovente infinitamente stupido. Sempre e inevitabilmente ognuno di noi non tiene di conto di individui stupidi in circolazione. La quota di persone stupide nel cinema sembra proporzionata al successo e al consenso che certi film ottengono, specie se questi film sono blasonati da premi Oscar. La grande maggioranza dei produttori, dei registi, degli attori, dei fotografi, degli scenografi, dei costumisti, degli attrezzisti, degli elettricisti e anche di quelli che spazzano gli studi cinematografici… persevera nel causare danni all’intelligenza, poiché la stupidità, la vera stupidità, influisce sulle persone facendo credere loro di essere meno stupide di quello che sono.

L’altra natura della stupidità deriva dalla posizione di potere, di autorità e di censo che la persona occupa nella società. Tra burocrati, generali, politici, capi di stato, papi, intellettuali, artisti, la percentuale di individui fondamentalmente stupidi non ha mai visto recessi… il potere politico, economico, burocratico, sindacale o poliziesco accresce notevolmente il comportamento della persona stupida: “Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra un costosissimo errore (…) la persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista” (Carlo M.Cipolla). Ne consegue che l’elevato numero di stupidi di un Paese non può che portare il Paese alla rovina, ma nessuno se ne accorge poiché la grande maggioranza degli stupidi si ritrovano nell’unanime consenso della società organizzata nello sfruttamento, nell’oppressione, nelle guerre che sono alle radici della civiltà dello spettacolo.

Una delle massime fonti della moderna stupidità è il cinema. Non solo quello americano ma tutto il cinema mercatale. Ci sono poi le serie-tv, forse la più alta stupidità mai raggiunta nella storia delle immagini in movimento… qui la percentuale della stupidi aumenta vorticosamente in base al consenso che danno alla stupidità ricevuta… che si consideri gli stupori del cinema muto, i clamori del cinema sonoro o l’effluvio di stupidità del cinema contemporaneo, si rimane colpiti dal fatto che da oltre cento anni dalla nascita del cinematografo, la percentuale di persone stupide è sempre stata insolitamente alta… ciò che sorprende è che il potere devastante e distruttore della stupidità trapassa caste, classi e profezie, e contribuisce in maniera corposa al sistema elettorale predominante e al mantenimento del livello di stupidi tra le persone al potere.

Di Everything Everywhere All at Once. Un film che non si può raccontare in una mezza pagina è un brutto film, Orson Welles, diceva, mi pare. Il film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert comprende tutti i generi: commedia, avventura, azione, fantastico, fantascienza, horror, kung fu… racchiusi in una sorta di videogioco che solletica gli sguardi addomesticati dei social network. Gli scolarca del linguaggio digitale enunciano imposture ed elucubrazioni alla medesima maniera e sollecitano il fruitore passivo e attivo a identificarsi nella fattualità dell’enunciato… ma è un linguaggio senza più mondo, poiché si aggrappa al pensiero solitario che connette tutti al giuramento assertorio della dottrina digitale. I poeti maledetti e le persone ragguardevoli sono i soli che hanno compreso che la bellezza, la giustizia e la verità appartengono al dissidio, all’azione o alla “parola veniente di là dove non è scrittura né grammatica (…) Il campo del linguaggio è sempre stato il luogo di un conflitto incessante tra parola e lingua” (Giorgio Agamben), e non l’appannaggio di potenze che cercano di travestirlo, celarlo o trasformarlo a favore di istituti saprofiti e tirannici.

Il film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert ha confezionato sette Oscar (miglior film, miglior regista, miglior attrice, miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura, miglior montaggio), due Golden Globe e un Premio BAFTA… uscito nel marzo 2022 negli Stati Uniti, al marzo 2023 ha incassato 112,7 milioni di dollari nel mondo. Nella maggior parte del Medio Oriente non è stato distribuito, compresi il Regno dell’Arabia Saudita e Kuwait, perché tratta di lesbiche… le monarchie islamiche sono più inclini a gestire petrolio e traffico d’armi che rispettare i diritti umani. La critica planetaria comunque ne ha parlato alla stregua di un capolavoro. La comunità LGBT (acronimo italiano: Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender) vi ha riscontrato un forte afflato di genere… la filosofia dei multiversi sembra aver fatto breccia nelle platee e registrato consensi smisurati nelle piattaforme televisive… a noi ci sono voluti tre tentativi per riuscire a vedere questo film… tanto l’abbiamo trovato non solo sgangherato e mediocre, ma stupido, profondamente stupido, da cadere nel ridicolo involontario.

Everything Everywhere All at Once (tradotto alla buona: Tutto ovunque in una volta sola) racconta, si fa per dire, le vicende di una famiglia cinese-americana che gestisce una lavanderia a gettoni sull’orlo del fallimento e il loro viaggio avventuroso-kafkiano nel palazzo dell’agenzie delle tasse. C’è anche l’intermezzo della figlia lesbica incompresa dalla madre e alla fine tutto va a posto, la “diversità” della ragazza viene accettata e vissero tutti felici e contenti, appassionatamente in America. Un cortometraggio di cinque minuti sarebbe bastato per narrare la storia, ai registi di Everything Everywhere All at Once ci sono voluti 140 minuti… nemmeno l’agonia di un innocente condannato alla sedia elettrica per noi è stata tanto feroce. Il film è fabbricato in tre parti:

  1. Everything. Evelyn Quan Wang (Michelle Yeoh) è un’immigrata cinese in procinto di divorziare, il marito Waymond Wang (Ke Huy Quan) è un mite allegrone che si trasmuta in Alpha Waymond, proveniente da un universo chiamato “Alphaverse”. La defunta Alpha Evelyn e tutte le persone dell’Alphaverse hanno sviluppato la tecnologia del “salto-verso” che consente di tornare indietro nei ricordi e acquisire fantastiche abilità guerresche. Il multiversoè minacciato dalla figlia Joy (Stephanie Hsu) che si trasforma nella cattiva Jobu Tupaki… il padre Gong Gong (James Hong) è un vecchio con l’alzheimer sulla sedia a rotelle che diventa anche un potente uomo d’affari… per finire il condimento di tante sciocchezze visuali-connettive, c’è l’impiegata delle tasse Deirdre Beaubeirdra (Jamie Lee Curtis), una sorta di Frankenstein-donna che invece di far paura suscita impietose ilarità.
  2. Everywhere. Evelyn attraversa bizzarri universi… i registi ci dicono che Evelyn è stata una star del cinema, una maestra di kung fu e ha avuto anche una relazione lesbica con Deirdre… in questo universo tutti gli umani hanno degli hot dog al posto delle dita (?!)… c’è anche un procione in testa a un giovane chef e due grosse pietre con gli occhi per parlano in cima a una montagna. Evelyn dice a Joy (la malvagia Jobu Tupaki) di non sentirsi più sola, lei è sua madre e sceglierà sempre di stare al suo fianco, in qualunque universo possa essere. Evelyn ricorda al padre di quando l’ha cacciata di casa perché si era innamorata un ragazzo povero e lo fa riconciliare col marito… Waymond convince Deirdre a lasciare più tempo per presentare i documenti fiscali e salvare la lavanderia. Joy/Jobu Tupaki inizialmente rifiuta la madre, ma dopo un tormentato litigio si abbracciano in un ritrovato amore.
  3. All at Once. È arrivata la felicità nella lavanderia e anche l’ufficio delle tasse sembra avere un cuore. La ragazza di Joy, Becky (Tallie Medel) è ora considerata parte della famiglia… Waymond ed Evelyn sorridono di nuovo e tornano all’edificio delle tasse… Deirdre questa volta è cortese con Evelyn ma lei è ormai attratta dai suoi multiversie sembra involarsi in un nuovo universo. Ci fermiamo qui. Ma non per rassegnazione né per noia… non siamo inclini a ossessioni deliranti né ostili a disturbi dell’immaginario addomesticato… tuttavia sappiamo che una favoletta come questa, truccata sotto un armamentario tecnologico da videogioco, è una furbata mercantile di bassa levatura che può solleticare soltanto gli sguardi ammaestrati dell’apparenza.

La regia, la sceneggiatura, le inquadrature di Daniel Kwan e Daniel Scheinert sono estratti dai più bassi b-movie di Hong Kong… piccoli demiurgi di un falansterio di banalità che umiliano anche la curiosità dello spettatore più incredulo e lo invitano allo sbadiglio universale. La fotografia di Larkin Seiple è una sommatoria di grigi, gialli, rossi, più sbiadita dei cartelloni pubblicitari dei centri commerciali e insieme al montaggio frastagliato di Paul Rogers ci obbliga a riconsiderare l’opera di demolizione dei palazzi fatti saltare in aria con la dinamite, che almeno un certo fascino dell’estremo ce l’hanno. Le musiche di Son Lux alternano itinerari dell’odio, del disastro e financo dell’amore, risciacquate in un’acquasantiera compiacente che rivaleggiano solo con l’inutilità degli inni nazionali. La gloria per eccellenza della propria sterilità. L’attorialità è tutta una casistica circense o da cabaret provinciale… gli interpreti restano legati tanto alla farsa quanto all’estrema unzione della narrazione… mettono sullo stesso piano la comparsata con la tragedia e falliscono in entrambi i modi… mancano di raffinatezza, autorevolezza, credibilità e ciò che gronda dallo schermo/video è un formulario di alfabeti visuali-linguistici o sofismi d’entusiasmo che non escono dalla dimensione premonitrice di mancanza di talento… un film che non esprime l’essenza di ciò che non si riesce a comprendere né porta a riflettere sull’idiozia della propria epoca, non è solo un film sbagliato, è un film stupido.

Il crepuscolo del cinema mercatale (non solo) hollywoodiano… è fabbricato su innumerevoli stereotipi e innalzato dappertutto a oracolo… gli inginocchiati delle platee (e dei divani) lo accolgono nelle sue malcelate ambizioni culturali e ingoiano il prodotto come marchio di un avvenimento, senza accorgersi mai di essere di fronte a una quantità di adulazioni, frodi, contraffazioni che continuano a riprodurre bacini di allarmante stupidità. Il cinema (come ogni forma espressiva) muore quando non ha più la forza d’abbattere gli dèi che lo erigono a opera d’arte. Solo nelle epoche in cui i padroni dell’immaginario sono destituiti dai poeti della sovversione non sospetta, creatori e servi si disgregano, perché gli viene tolto l’imprimatur delle loro certezze. Nel cinema della stupidità tutto invecchia, perfino l’infelicità. Nel cinema di poesia l’emozione si trascolora in bellezza e giustizia e nega l’eternità del dolore. Non è facile distruggere un qualsiasi Mito, giacché non basta annientare la sua lusinga e la sua vocazione municipale al crimine costituito, si devono anche annientare le radici della sua idolatria.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 30 volte marzo, 2023

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