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Passannante (2011), di Sergio Colabona

Inserito da serrilux

Passannante (2011), di Sergio Colabona

“(…) Urlan l’odio, la fame ed il dolore
da mille e mille facce ischeletriti
ed urla col suo schianto redentore
la dinamite.
Siam pronti e dal selciato d’ogni via,
spettri macàbri del momento estremo,
sul labbro il nome santo d’Anarchia,
Insorgeremo.
Per le vittime tutte invendicate,
là nel fragor dell’epico rimbombo,
compenseremo sulle barricate
piombo con piombo…)”.
Luigi Molinari, Inno della rivolta, 1893

Si può avere una sorta di pietà per gli uomini, le chiese e gli stati, ma amarli è impossibile. Non vogliamo convincere né essere convinti, tantomeno convertire né essere convertiti… lasciamolo fare ai politici e ai preti… per artisti, intellettuali e professori basta un po’ di stupida gloria… hanno la sfortuna di aver letto molto (forse) e non aver capito niente della vita quotidiana degli ultimi, specie i più accreditati. Rammento un incontro con un famoso scrittore di notevole consenso librario che parlava di mafie come si disserta sulla coltivazione dei carciofi in serra… i mafiosi erano tutti noti! I politici che ne determinano la spietatezza, inconosciuti! Dopo cinque minuti mi sono rifiutato d’intervistare questo minorato mentale (per la rivista di critica radicale Tracce) e inserito il pezzo — “Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie” — a firma Spartaco1. Cèline aveva chiaro che cosa sono gli editori di vaglio: “Senza i miei sogni non sarebbe nessuno! né lei né la sua cricca di poveri dementi”, scrive a Gaston Gallimard… e dei giornalisti poi, sempre a servizio di tutti i poteri: “Tutti a spompinare i vostri padroni sanguisuga”2. I bambini che non rompono niente né rubano la marmellata vengono premiati e finiscono in politica, come i baristi e gli imbecilli, e lì continuano la loro carriera di farabutti e saltimbanchi del trasformismo parlamentare.
Nel cinema vi è qualcosa d’indecente che definisce un’aggregazione spontanea o indotta che ha a che fare con formule e ricette culturali… il cinema ha influenzato intere generazioni a confessioni in pubblico o all’insignificanza da centro commerciale, senza (quasi) mai passare al regolamento di conti (se non quelli del botteghino) con l’origine della sua disfatta artistica. Il cinema quando “parla” di sovversivi colora molto il tutto e qualche volta magari riesce a “dire” qualcosa su qualcosa e possibilmente contro qualcuno… allora subentra la censura del mercimonio che destina il film a festival, rassegne, circuiti “minori”… naturalmente con il lasciapassare dei cani da guardia del mercato cinematografico (produttori, critici, esercenti, registi, attori, e persino la donna delle pulizie degli studi è d’accordo su tutto…). Il cinema,  in generale, è il marciapiede! Puttanate! “Il cinema, questo nuovo piccolo stipendiato dei nostri sogni, te lo puoi comperare quello, procurartelo per un’ora o due, come una prostituta” (Louis-Ferdinand Céline). Quando il cinema dice di amare il pubblico, vuol dire che lo sta circuendo o violentarlo… è il segnale, l’infallibilità della merce! è sempre con l’amore che si comincia! Il ribelle finisce di solito al muro, in galera o in manicomio, se non è ammazzato sul posto dove ha attentato, a ragione, all’ordine costituito.
Per tutto questo vogliamo riprendere la forza eversiva di un docu-film dimenticato (o espulso dal mercato), Passannante (2011), di Sergio Colabona (autore di cose televisive di bassa levatura, qui mette i panni dello storico e dello sdegnato)… il suo film è stato considerato dalla critica con le solite “buone intenzioni”, per non dire del “filmetto a basso costo”, poco più che amatoriale… ignorato dagli esercenti e quindi dal pubblico… l’incasso al tempo è stato di 22.056 Euro… che è la colazione mattutina a Hollywood del cane di Quentin Tarantino, l’ultimo pallone gonfiato al seguito della macchina delle illusioni o dell’ebetismo dei biglietti strappati. I suoi film, uno in fila all’altro, sono una roba da mortificare anche le comiche di Stanlio e Ollio, che almeno un fondo artistico, mai volgare, ce l’avevano. Tuttavia i padroni dell’immaginario possono dormire sonni tranquilli, anche per l’infamia dei loro dipendenti e l’applauso ilota delle platee globali. Dell’arte ne ha detto con lucidità lo scultore Alberto Giacometti: “In un incendio, tra Rembrandt e un gatto, io salverei il gatto” e lo lascerei libero
sembra abbia aggiunto3. Forse è anche per questo che Shakespeare amava i buffoni come i manicomi… aveva una passione spiccata per tutto ciò che è estremo, diceva… che si chiama fuori dal destino comune. Ai margini si elude la saggezza per precipitare nella conoscenza del mondo.
Giovanni Passannante, i fatti: « Giovanni nasce a Salvia di Lucania (poi rinominata Savoia di Lucania) il 18 febbraio 1849 in una famiglia poverissima, situazione comune a tutto il Sud… lo chiamano « Cambio »… ancora ragazzo, si procura una grave scottatura con l’acqua bollente che gli rende una mano storpia. Per l’estrema miseria è costretto a elemosinare… frequenta solo la prima elementare, impara a leggere e scrivere per proprio conto. Lavora come pastore, sguattero, guardiano, ecc., ma il suo carattere ribelle lo porta a scontri coi padroni. Il proprietario dell’albergo Croce di Savoia lo licenzierà perché il giovane sembrava più interessato alla lettura che al lavoro. A Potenza conosce un compaesano, l’ex capitano dell’esercito napoleonico Giovanni Agoglia, che lo assume come domestico e gli offre la possibilità di continuare gli studi… legge la Bibbia… gli scritti di Mazzini e Garibaldi gli fanno acquisire una coscienza sociale libertaria. Frequenta i circoli mazziniani, conosce l’internazionalista Matteo Melillo e intraprende l’attività rivoluzionaria in favore del mazzianesimo, che gli costa un arresto a tre mesi per aver incitato i calabresi all’insurrezione (e pensato di uccidere Napoleone III, il vero ostacolo alla nascita della Repubblica Universale). Mentre s’informa sulle vicende dell’Internazionale e la Comune di Parigi, lavora nella sua regione come cuoco, prima di aprire una trattoria dove spesso elargiva pasti gratuiti alle persone in difficoltà.
Si avvicina alle idee anarchiche, diventa membro della Società Operaia di Pellezzano e della Società di Mutuo Soccorso degli Operai, che abbandona per contrasti con gli amministratori. La Campania è un covo di ferventi rivoluzionari internazionalisti, quindi non è difficile trovare compagni meglio in linea con le sue idee che via via si fanno più radicali. È in questi ambienti che cova un odio profondo per i reali che sguazzano nella ricchezza mentre la maggior parte del popolo vive in condizioni miserevoli. Giovanni intende richiamare l’attenzione sulle disastrose condizioni di vita degli italiani ed è pronto a compiere un gesto estremo: attentare alla vita del re! ma non è uno sprovveduto, è consapevole di ciò che vuole fare… il 16 novembre vende la sua giacca e acquista un temperino di 8 centimetri [ altri dicono 12 ], poi scrive sul fazzoletto rosso «A morte il re! Viva la Repubblica Universale». Il 17 novembre 1878 la carrozza di Umberto I° di Savoia e la regina Margherita percorre le strade d’una Napoli accorsa a festeggiare il passaggio della coppia reale. Giovanni estrae dalla tasca il fazzoletto dov’è nascosto il piccolo coltellino, si avvicina alla carrozza e colpisce il re. Margherita riesce a urtare l’attentatore con un mazzo di fiori e devia il colpo sul primo ministro Cairoli (che subisce una lieve lesione a una gamba)… Umberto I° è ferito solo di striscio (quel poco sangue che esce non è nemmeno blu).

Gli anarchici napoletani Matteo Maria Melillo, Tommaso Schettino, Elviro Ciccarese e Felice D’Amato sono arrestati il 18 novembre 1878 con l’accusa di aver ordito l’attentato… dopo un anno saranno definitivamente scagionati. Si celebra il processo a Passannante. Durerà due giorni (6-7 marzo 1879)4, davanti a un pubblico elegante seduto in posti numerati e munito di binocolo per osservare meglio il “mostro”… la difesa d’ufficio è affidata all’avvocato Leopoldo Tarantini che avvia la richiesta del perdono al re… l’avvocato cercherà semplicemente di far passare Giovanni per infermo di mente e salvarlo dalla condanna a morte (la perizia di
cinque luminari dimostra la sua “finezza e forza di pensiero non comune”. La giuria, nonostante che il codice prevedesse la pena di morte solo in caso di regicidio, non ha alcuna pietà per l’anarchico e lo condanna alla pena capitale, poi “magnanimamente” commutata dal re in ergastolo (i ministri dei Savoia temevano che una sentenza spropositata poteva trasformare l’attentatore in martire). Condotto nella Torre del Martello del penitenziario di Portoferraio, chiamata dai marinai Torre Passannante, perché da lì udivano i suoi tormenti, è chiuso in una cella sotto il livello del mare, alta 1,50 e legato a una catena pesante 18 chili che gli consente di muoversi per un solo metro.
Durante la detenzione Giovanni viene visitato solo dal deputato socialista Agostino Bertani e dalla pubblicista Anna Maria Mozzoni, i quali si trovarono di fronte a una “visione” agghiacciante: « Passanante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell’acqua, e lì, sotto l’azione combinata dell’umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò… il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l’ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani… poté scorgere quest’uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell’isola udivano, e rimanevano inorriditi » (Salvatore Merlino)5. Solo dopo l’incontro con Bertani e Mozzoni viene concesso il trasferimento nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Qui, gravemente malato di scorbuto, quasi cieco e ormai completamente impazzito per le torture fisiche e psichiche subite, Giovanni muore a 61 anni il 14 febbraio 1910 »6.
Va detto. Il 29 luglio 1900, Gaetano Bresci, l’anarchico che venne dall’America6 colpisce a morte Umberto I° con alcune pistolettate… il “re buono” (!?) aveva autorizzato il generale Bava Beccaris a sparare col cannone sul popolo affamato che rivendicava il giusto prezzo del pane… quando il presidente del tribunale gli chiede: “Ammettete che avete ucciso il re?”. Bresci risponde: “Non ammazzai Umberto; ammazzai il Re, ammazzai un principio! E non
dite delitto ma fatto!”. I gazzettieri dell’epoca (sempre serventi al regime che li foraggia) si scagliarono contro il regicida… La Stampa annunciò la morte di Umberto I° così: « Mostruoso! Orribilmente mostruoso! Il sovrano più popolare, più buono, più mite, affezionato al suo popolo… il nostro re Umberto assassinato! Ma fin dove può ancora trascendere la pazzia di una belva umana se osa puntare una rivoltella contro un cuore così pietoso, così leale, Povero re! Povera patria nostra! »7. Di là dall’abituale sostegno degli organi d’informazione a tutti i totalitarismi della storia, riconfermiamo qui che uccidere un re, un dittatore o un tiranno, non è un omicidio ma un atto di giustizia! Il solo re buono è quello morto, e questo vale per tutti i criminali (con l’aria da fessi) che governano con la violenza sui popoli impoveriti!… le prossime Comuni li hanno già condannati, la pietà non è mai stata rivoluzionaria.

Passannante, il film.

Il docu-film di Sergio Colabona, Passannante, mostra la violenza dello Stato (qualche che sia, e di che veleno sono fatti re, primi ministri, papi e le loro avvocature), quando qualche ribelle o rivoluzionario li vuole spodestare da troni e poltrone… che storia avrebbero potuto scrivere i professori di virtù se non ci fossero stati visionari, libertari, anarchici ad attentare (con qualsiasi mezzo utile) i despoti d’ogni tempo… non ci sono poteri buoni, cantava De André, e Brecht — “Maledetto è il paese che ha bisogno di eroi” —! « La maggioranza che si rassegna è colpevole. La minoranza ha il diritto di richiamarla », Giovanni Passannante, diceva. È sciagurato o addirittura imbecille quel Paese in cui i coraggiosi sono perseguitati o fatti passare per esaltati o pazzi. Là dove il falso, l’arbitrario e il fatale trionfano, c’è sempre un quasi adatto che li elimina come si deve.
La storia di Passannante s’intreccia con la testardaggine di tre persone che vogliono riportare il cranio e il cervello del cuoco lucano (esposti nel museo criminale di Roma) nella sua terra e dare una giusta sepoltura a Giovanni (che è un diritto universale). Sono l’attore di strada Ulderico Pesce (vero protagonista del film), Andrea Satta (che cura le musiche con il gruppo Têtes de Bois) e Alberto Gimignani (che interpreta il giornalista Marchitelli). Colabona costruisce il film in maniera un po’ grezza… parte da un soggetto di Massimo Russo e stende la sceneggiatura con Pesce e Satta… invero un po’ discontinua o quantomeno confusa… Passannante è interpretato da Fabio Troiano e nella parte dei diversi ministri, Bebo Storti, Massimo Olcese, Niki Giustini, Andrea Buscemi… Maria Letizia Gorga (la madre di Passannante), Veronica Gentili (la regina Margherita), Marco Bianchi Merisi (Umberto I°), Luca Lionello (conte Campitelli), Antonio Bruschetta (direttore del manicomio di Monte Lupo) completano il cast.

La direzione degli attori è abbastanza indecisa… le scenografie (Antonio Farina, Gianmaria Cau) e i costumi (Alessandro Bentivegna) rivelano la poca disponibilità economica, il montaggio (Daniele Di Maio) non riesce a dare al film una lettura consequenziale… né era semplice, visto che il regista intreccia il teatro di strada di Pesce con gli inserimenti di Marchitelli, Satta e Pesce che visitano la prigione di Passannante all’Isola d’Elba, e l’anticamera con i ministri dei vari governi. La fotografia (Franco Ferrari) e l’ambientazione richiamano a generi filmici diversi… fino a sfiorare l’horror (la decollazione del cadavere di Passannante e le scene della prigione)… anche l’interno del manicomio è piuttosto “minimale”… comunque il film riesce ad avere una sua verità… e si fa perdonare tutte le approssimazioni dette sopra. “Tanto più grande è un uomo, tanto più si espone a essere ferito da tutti: la tranquillità è solo per i mediocri, la cui testa sparisce nella folla” (Louis-Ferdinand Céline, ancora). La memoria storica di Passannante grida che quelli che si rivoltano contro il sopruso, cammineranno sempre a testa alta (anche dopo che sono stati ammazzati) contro lo squallore dei secoli.

Passannante è un film da vedere con attenzione… specie per l’apporto del guitto da commedia dell’arte di Pesce… è lui che racconta (e raccorda) la vessazione subita dall’anarchico nelle piazze e nei piccoli teatri italiani… Pesce emoziona e lascia emozionati pubblici di famiglie e bambini che lo ascoltano come si ascolta qualcuno che ha il coraggio della verità e la dissemina ovunque c’è chi è disposto ad ascoltarla! Colabona ha il merito di lasciarci a riflettere tra lo stupore e il disgusto per un’ingiustizia di Stato (come tante altre) rimasta impunita… le figure dei ministri ai quali Pesce, Satta e Marchitelli si rivolgono, è un prontuario di siparietti che hanno del comico quanto dello stupido… sono l’esatto scenario di quanta volgarità e desolazione c’è nelle stanze della padronanza… l’avvocato Tarantini è la perfetta recita di questi pagliacci sempre legati a doppio filo col potere che li sovvenziona, e re e regine non sono altro che figurine dell’imbecillità nobiliare… il loro arlecchino, conte Capitelli, è l’incarnazione di tutti i bastardi di corte.

Va detto. La propaganda del fatto o le azioni di autodifesa di Ravachol (François Claudius Koenigstein) o Emile Henry… richiedevano una certa lucidità di pensiero e il diritto all’insurrezione significava anche che la libertà dell’individuo è necessaria alla vera libertà del popolo: “Più amiamo il nostro sogno di libertà, di forza e di bellezza, più dobbiamo odiare ciò che si oppone all’avvenire” (Emile Henry). Henry si è macchiato di almeno due attentati oltraggiosi: l’esplosione di un ordigno presso il commissariato di rue des Bons-Enfants e di una bomba all’interno del Café Terminus a Parigi, fu ghigliottinato il 21 maggio 1894, a soli 21
anni. Il boia Louis-Antoine-Stanislas Deibler (un assassino perfino “letterato”), sarà lo stesso che ghigliottinerà Ravachol, Auguste Vaillant e Sante Caserio! Gli anarchici non archiviano!
Gli ideali risorgimentali di Passannante (Mazzini, Garibaldi, le lotte proletarie, l’anarchismo…) chiedevano bellezza, giustizia e libertà… e l’attentato al re degli italiani non era che  un atto dimostrativo per mettere in luce la profonda povertà in cui versava l’intero Sud d’Italia… non poteva uccidere nessuno con quel coltellino per sbucciare le mele… in cambio si prese una sciabolata sulla testa da un militare a cavallo… Passannante è condannato a morte per la complicità del suo avvocato con i Savoia… non aveva mai ucciso e lo imprigionarono a vita… prima nella Torre della Linguella a Portoferraio (Isola d’Elba), in una cella sotto il livello del mare, legato con una catena in una cella di un metro e mezzo… quindi fatto impazzire e recluso nel manicomio criminale di Montelupo fiorentino. Muore innaffiando un alberello di limoni. Per ordine regio gli viene tagliata la testa… teschio e cervello sono accuratamente sezionati e conservati affinché i criminologi (appoggiati alle teorie azzardate di Cesare Lombroso) possano studiarli… sono convinti di potervi trovare la fossetta occipitale mediana, segno inequivocabile di delinquenza secondo la pseudoscienza della frenologia, ampiamente sconfessata nei decenni successivi (la fossetta occipitale mediana si trova presente in intere popolazioni che sicuramente non sono dedite a pratiche di criminalità di massa). Secondo Lombroso « …il criminale è un essere atavistico che riproduce sulla propria persona i feroci istinti dell’umanità primitiva e degli animali inferiori… i climi, le razze, le religioni, la miseria, potevano fornire talora i motivi di una rivoluzione, talaltra quelli di una rivolta »8. Il fascismo e il nazismo ne faranno largo uso di queste affermazioni… studi più avanzati, solo qualche anno dopo, diranno che genio e follia9 (e innocenza della bellezza, quindi della giustizia) sono più veri della vita.

I tumulti di piazza non salvarono Passannate dall’assassinio di Stato… neanche la Ode a Passannante di Giovanni Pascoli sortì una qualche revisione del processo all’anarchico (peraltro poi fatta sparire se non ricusata dal poeta stesso)… Passannante non è martire di nulla, il suo calvario è la testimonianza di un uomo che è stato ammazzato per aver offeso l’autoritarismo
di un re e la paura di un’intera nazione. Chi muore (o viene ucciso) per un’idea d’amore e di libertà per il genere umano, disvela la verità, e “la verità è sempre rivoluzionaria!”, George Orwell, diceva. Passannante ha lasciato in sorte a quanti non sottostanno all’arroganza né alla violenza dei poteri legiferati, una lettera/testamento — Ricordo per l’avvenire al popolo universale —… un’utopia certo… e allora? il potere è un vizio che dà piacere ai dominatori nel soggiogare i dominati! e perché le plebi (ancorché omologate nello spettacolare mercantile) non la facciano finita con le profonde disuguaglianze imposte nel pianeta dalle bande della finanza-politica! o una minoranza agguerrita non possa innescare il detonatore sociale che sconvolga fino alla liquidazione di caste, governi e nobiltà per diritto del più armato o investitura divina (o del vino) come il Papa!… è a partire da questi azzeramenti che i cittadini del mondo (liberi e uguali) potranno passare al riscatto della Storia… la ricerca dell’utopia è una pulsione del desiderio d’insubordinazione, rivolgimento, rifondazione profonda della società che viene.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 23 volte maggio 2020

1 Tracce. Rivista multimediale di critica radicale, primavera 2009, n. 28

2 Louis-Ferdinand Céline, Lettere agli editori, Quodlibet, 2016

3 Dal film Un uomo, una donna (1966) di Claude Lelouch. Va detto che il film di Lelouch è molto estetizzante, quasi inutile, per non dire incorporeo, condito con molta musica accattivante, una pubblicità dell’amore bor- ghese, insomma… tuttavia, contiene una qualche soluzione di montaggio interessante e si può vedere fino in fondo soltanto per la pregevole recitazione di Jean-Louis Trintignant [che si è definito un anarco-comunista], soprattutto per la malinconia sensuale di Anouk Aimée, l’adorabile puttana (Maddalena) di La dolce vita (1960) di Federico Fellini.

4 https://www.anarcopedia.org/

5 Salvatore Merlino, L’Italia così com’è, 1891, in Al caffè, di Errico Malatesta, 1922
6 Arrigo Petacco, L’anarchico che venne dall’America. Storia di Gaetano Bresci e del complotto per uccidere Umberto I, Mondadori (2000).

7 Giuseppe Galzerano, Gaetano Bresci La vita, l’attentato, il processo, la condanna e la morte del regicida anar- chico, Galzerano Editore, 2004

8 Cesare Lombroso, L’uomo delinquente, Napoleone Editore, 1971
9 Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, 2014

Manifesto per una fotografia dei diritti umani resistenza sociale, disobbedienza civile e poetica dell’immagine

Manifesto diritti umani