“Il Talmud e la Torah, la Bibbia e il Nuovo Testamento, il Corano e gli hadith [ racconti sulla vita del Profeta ], non sembrano garanzie sufficienti perché il filosofo scelga tra la misoginia ebraica, cristiana e musulmana, opti contro il maiale o l’alcol, ma per il velo o il burka, frequenti la sinagoga, il tempio, la chiesa o la moschea tutti luoghi dove l’intelligenza non si trova a proprio agio, e dove da secoli si predilige l’obbedienza ai dogmi e la sottomissione alla legge — cioè a coloro che sostengono di essere eletti, gli inviati e alla presunta parola di Dio”.
Michel OnfrayI. Il silenzio della chiesa e lo Spirito Santo in camicia bruna!
I. Il silenzio della chiesa e lo Spirito Santo in camicia bruna!
Prologo dissennato sulla fotografia del nostro scontento. Sin dal suo debutto sulle quinte dell’industria (la “nascita ufficiale” dice1839)… la fotografia ha spettacolarizzato il dolore tra l’indulgenza, la commiserazione e la pietà… i fotografi si affannano a cercare una definizione della sofferenza nelle guerre, nelle periferie, nei popoli colonizzati e impoveriti… e intanto invocano le prime pagine dei giornali per costruire la propria leggenda… pochi riescono a sfuggire alla fama o al deliquio del mito… i più sono funzionari di una pastorale della sopraffazione e inseguono la gloria dell’attimo rubato a un bombardamento, un’esecuzione o una carneficina… consapevoli che non bisogna disturbare troppo i potenti che pagano i loro servigi… in nome della libertà di stampa (e dei premi internazionali che ne consegue) si può dire tutto, basta che nessuno faccia sul serio!… quando si conosce un fotografo che dice d’essere un artista del dolore o della bellezza, bisognerebbe fargli il favore d’impiccarlo!
A margine dell’imperio fotografico consumerista (ma non sono per niente marginali)… s’aggirano (anche clandestinamente)… certi aristocratici, libertari o libertini che hanno buttato via il loro sapere a favore della bellezza, della giustizia e dell’amore… gente insomma che si fa beffe di tutte le gerarchie politiche/sapienziali… briganti senza fede né legge, che non riconoscono nessun dovere né debiti verso alcuno… bracconieri di sogni, “eruditi” in dissacrazioni, profanamenti, violazioni di corpi, linguaggi e tavole comandamentali… pensatori, ubriaconi, uomini e donne in rivolta… portatori di passioni estreme che rivendicano l’amore per la vita più pazzo, quello prima di cambiare se stessi, poi il mondo!
Lo spirito libero crede in ciò che vuole, non rinuncia mai alla propria libertà di pensiero, di giudizio e di coscienza… il martire, l’eroe o il santo hanno bisogno d’essere uccisi per diventare credibili! All’uomo, alla donna in libertà, basta un gesto d’amore, una verità disvelata, il rifiuto d’ogni dogmatismo… per conoscere l’essenziale sul quale s’innalza il godimento di sé, senza essere infettati dall’alito marcio di tutti i predomini sulla vita quotidiana. Per cogliere nel segno ciò che si fotografa, bisogna afferrare i precetti/difetti (dell’anima), mai le qualità (del fotografo)! Aspirare alla celebrità è una cosa da tarati mentali, ecco perché la loro via è colma di adepti alle stigmate del successo! La fotografia, come ogni arte, si divide in quelli ha hanno talento e quelli che non l’avranno mai, anche se sono santificati dal mercato! Impossi-
bile vivere nel lavacro della Fotografia e farci bella figura!
Il rigetto del diritto d’autore sulle opere dell’ingegno, ad esempio, contiene il disconoscimento di tutte le disonestà certificate… in quanto ogni fotografia, film, libro e perfino i messali d’ogni chiesa… sono pezzi di altre opere più o meno copiati male o bene… le idee migliorano quando il senso rovesciato delle parole e delle immagini vi partecipa. “Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Esso stringe dappresso la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta” (Guy Debord)1. Tutto vero. Checché ne dica Richard A. Posner, docente emerito alla scuola di legge di Chicago2, il Plagio (quando è di fine qualità e non una volgare copia) nobilita il plagiatore e il plagiato… il détournement del senso originario è spesso più alto della fonte saccheggiata… e il furto, del tutto deliberato, acquisisce un’altra visione o un’altra chiave di lettura… violare il copyright è giusto, poiché dalla Bibbia in poi non ci sono innocenti in fatto di plagio… il fatto è il cattivo gusto… ed è imperdonabile plagiare male!
Il marketing camuffa i ciarlatani di successo senza rendere conto a nessuno, se non alle classifiche dei best-seller… pittori di fama (Rembrandt, ad esempio), firmava i lavori dei suoi assistenti con allegrezza… Shakespeare ha riscritto molte commedie mediocri e le ha rese im-
mortali… Pasolini faceva il pasticciere di parole e immagini, diceva, ed è stato uno dei più grandi poeti del ‘900… il valore di mercato detta le leggi della “proprietà intellettuale” ed è proprio questa che va deflorata… solo gli stupidi diventano cattivi, poiché non riescono a comprendere che la grandezza dell’uomo sta nell’essere un ponte e non uno scopo, Nietzsche, diceva… il plagio è la rottura del pregiudizio dei falsi dotti, è dinamite!
La santa asinità di Giordano Bruno ricorda che occorre denunciare, deridere, smascherare… gli elogi dei conquistatori, degli artisti, dei preti, dei vassalli, dei ruffiani, degli imbecilli che fanno del diritto d’autore il pulpito dove l’impostura si commercia come cibo per cani… anche i più grandi non ne possono fare a meno… c’è sempre un mercante, un banchiere o un imprenditore che compra uno Chagall, pensando di avere acquistato un Picasso… poco importa sia bello o brutto… si capisca o no… ammesso che ci sia qualcosa da capire nell’arte, se non la firma sugli assegni di questo o quel padrone… ciò che conta è il prezzo che viene deputato all’opera dagli esperti (ben pagati, spesso dallo stesso compratore)… figuriamoci le menti instabili dei fotografi frustrati… quelli che si sentono vicino alla “bellezza” quanto a Dio! Saltellano nelle periferie dell’arte come ranocchi in uno stagno di merda! Non si rendono nemmeno conto che i quindicimila franchi guadagnati in una vita da Baudelaire, valgono più di tutte le loro cazzate colorate… l’ala dell’imbecillità li protegge… il mercato li vuole… piccoli o grossi cortigiani dell’apparenza, moriranno stupidi e felici, senza un filo di dignità e sotto una montagna di sputi!
La più alta espressione del diritto d’autore… si ritrova alle origini di ogni totalitarismo (come negli agganci alla civiltà dello spettacolo)… gli artisti che rifiutano obbedienza alle regole del mercato, della politica o della fede… sono emarginati, incarcerati, deportati o uccisi… semplicemente… i regimi totalitari, malgrado la loro aperta criminalità, si sono sempre basati sul consenso delle masse… interi popoli hanno obbedito al potere o l’hanno tollerato per paura, ma anche o solo per convenienza… persino lo sfruttamento e l’oppressione fanno funzionare la società stabilendo una specie di ordine… la differenza profonda tra le forme totalitarie del passato e quelle del XX secolo è che “il terrore non viene più usato principalmente come un mezzo per intimidire e liquidare gli avversari, ma come uno strumento permanente con cui governare masse assolutamente obbedienti. Il terrore moderno non aspetta, per colpire, la provocazione degli oppositori, e le sue vittime sono perfettamente innocenti anche dal punto di vista del persecutore” (Hannah Arendt)3. Al fondo della declamazione c’è sempre una preghiera o un patibolo, il medesimo rito!
Il regime nazista ha dato moto credito al diritto d’autore… Goebbles ne era un fanatico… bastava solo che l’artista fosse nazista… tutto qui… “il fatto che lo stesso principio di formazione di un’élite funzionasse poi nei Lager totalitari, dove l’« aristocrazia », era composta da una maggioranza di delinquenti e da alcuni « geni », cioè artisti ed elementi del mondo dello spettacolo, mostrano quanto strettamente legate fossero le posizioni sociali di questi gruppi”4. Il diritto d’autore è inconcepibile senza lo stato di dipendenza al regime che ne suscita l’orgoglio… il diritto d’autore eleva al rango di arte la mancanza di scrupoli… il diritto d’autore è una semenza del fallimento di tutti i totalitarismi e, al contempo, la sua celebrazione! La banalità dell’arte sta nell’accumulo, nel possesso, nel dileggio del bello (del sublime che non sa della sua bellezza), al contrario della filosofia libertaria, che si fonda sulla sovranità dell’atto che lo distrugge!
Il nazismo ha innalzato il linguaggio castrato del diritto d’autore, riprendendolo dai testi cattolici… l’iconografia salvifica della Chiesa di Roma ha inchiodato l’uomo sulla croce e ha detto “questo è mio!”… tutto ciò che non è marcato dal Santo Uffizio è falso! La summa delle sciocchezze universali ha fatto il resto!… gli artisti potevano interpretare i Vangeli come volevano, bastava che il diritto d’autore restasse alla Chiesa… chi infrange le regole viene eliminato dalle corti papali… il genio finisce sempre nelle fosse comuni… come è successo a Mozart o a Caravaggio… la Chiesa poi recupera tutto… e tutto rifluisce nello spettacolo che il potere da di sé… ma c’è sempre qualche passatore di confine che riporta il genio alle sue fragilità e intemperanze, e nessun potere mai può mettere a tacere la critica radicale dell’arte dell’imbroglio sgominata dall’uomo in rivolta!
Dei comizi d’amore tra la Santa romana chiesa e la peste del nazismo. La comunione sacrale tra le alte gerarchie della Chiesa cattolica e il nazismo (fascismo, franchismo) è vera quanto riprovevole… alla caduta del nazismo l’esfiltrazione di criminali di guerra del Terzo Reich, venne protetta dallo Stato Vaticano… e molti aguzzini di un certo lignaggio furono agevolati sulla via del Sudamerica… i nemici veri per la Chiesa erano gli ebrei e i comunisti… in fondo anche Hitler credeva nel trono di San Pietro! Su questi temi gli archivi del Vaticano sono piuttosto parchi (consultabili fino a un certo punto o da chi ne fa “buon uso” per la Chiesa)… filtrati in esempi di martiri cattolici, gesuiti o protestanti sacrificati a Dio nei campi di sterminio.
Nel 1933 la Chiesa cattolica approva il riarmo della Germania e si trova concorde con Hitler e suoi deliri espansionistici che sfoceranno nelle leggi razziali di Norimberga (1935), approvate con l’assordante silenzio di Papa Pio XI… l’artefice dei Patti Lateranensi (il concordato della chiesa col fascismo, 1929)… già nel 1922, ancor prima di essere eletto Papa, Ambrogio Damiano Achille Ratti, vescovo, rilasciò un’intervista su Mussolini, al giornalista francese Luc Valti (pubblicata in forma integrale ne L’Illustration, 9 gennaio 1937), che contiene il timbro politico dei tempi: « Quell’uomo, ragazzo mio, fa rapidi progressi, e invaderà tutto con la forza di un elemento naturale. Mussolini è un uomo formidabile. Mi ha capito bene? Un uomo formidabile! Convertito di recente, poiché viene dall’estrema sinistra, ha lo zelo dei novizi che lo fa agire con risolutezza. E poi, recluta gli adepti sui banchi di scuola e in un colpo solo li innalza fino alla dignità di uomini, e di uomini armati. Li seduce così, li fanatizza. Regna sulla loro immaginazione. Si rende conto di che cosa significhi e che forza gli fornisca? Il futuro è suo »5. Per i papi esiste il diritto d’ipocrisia e la menzogna viene inculcata nei fedeli come realtà!
Le adesioni della Chiesa di Roma al fascismo e al Duce degli italiani in particolare, sono copiose… imbarazzanti… quando Anteo Zamboni, un ragazzo di 15 anni (proveniente da una famiglia di anarchici), cerca di giustiziare Mussolini a Bologna (1926), con un colpo di pistola, il proiettile andò a vuoto… gli squadristi e la folla lo linciarono! Papa Pio XI (Dio lo riposi tra i pruni), intervenne pubblicamente e disse: «Tale criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista… e ci fa rendere grazie a Dio del suo fallimento». Il trattato dei Patti Lateranensi tra fascismo e chiesa (ricordiamolo), riconosce la sovranità dello Stato Vaticano e la religione cattolica l’unica da professare nello Stato fascista. Il governo di Mussolini, inoltre, garantiva 750 milioni di lire e un miliardo in titoli di Stato al cinque per cento per investire in immobili e strutture economiche… la religione cattolica diveniva il fondamento dell’istruzione pubblica. Nelle aule scolastiche i ritratti del Re, Cristo e il Duce… facevano credere che quando l’obbedienza si avvicina alla preghiera, è superiore sia alla preghiera, sia agli oracoli che la dettano! Il manganello, l’olio di ricino e la polizia segreta, sapranno come impiccare i giovani partigiani nelle piazze… a monito di quanti (invero pochi) esitavano a restare contemporanei alla dittatura.
Il “segreto pastorale” di Pio XII (succeduto alla morte di Pio XI, 1939), sostiene la chiesa filo-nazista della Croazia, la chiesa collaborazionista di Vichy e in bella uniformità benedice lo sterminio degli ebrei… sino al 1942 il Papa non condanna né pubblicamente, né nelle stanze private, la politica hitleriana… fatti salvi i soliti sacerdoti che prendono la missione salvifica di Dio in quella dell’uomo e vengono bastonati, deportati, fucilati, specie quelli cheappoggiano le formazioni della Resistenza… i fedeli? i fedeli tacciono, quasi sempre! Obbediscono, sempre! Confessano i loro peccati e intanto si mettono la camicia bruna nazista (o nera fascista)… gli ebrei sono i colpevoli di tutto!… vanno cacciati dalle cariche amministrative, dalle professioni, saccheggiati i loro negozi, espulsi dall’insegnamento… buttati sui carri merci e spediti nei campi di sterminio… naturalmente in nome di Dio, dello Stato o di un cretino che grida alle folle la supremazia della razza ariana… l’indifferenza è sinonimo di complicità e anche l’ultimo assassino delle SS sapeva che Dio era con loro, e anche lo Stato e il popolo tutto… quindi l’orrore che perpetravano contri gli indifesi (non solo ebrei) era giusto! All’ingresso dei campi di sterminio c’era scritto: “Dio è con noi!, ed era vero! Dio non va per il sottile quando si tratta di eliminare i nemici, dice la Bibbia! Göring, Goebbles e Hitler l’hanno preso alla lettera! Tra i libri messi all’indice dal Vaticano, il Mein Kampf, non vi è elencato!
Quando le truppe alleate scoprono i campi di sterminio (1945), il cardinale Bertram ordina una messa di requiem alla memoria di Hitler (che nel frattempo si era sparato un colpo di pistola insieme a Eva Braun e si erano fatti bruciare in una fossa davanti al führerbunker, a Berlino)… le gerarchie vaticane appongono visti, marchi, lasciapassare per i criminali più “distinti” del nazismo, fuggiti alle forze di liberazione, e li destina nei conventi… dà inizio alle loro coperture e li “esporta” fuori dall’Europa in macerie… i dignitari del nazismo (funzionari, generali, assassini a tutto campo) confermano il dogma dell’infallibilità del Papa… anche lo Spirito Santo è d’accordo… quando sale al trono di Roma Papa Pio XII (1939), il primo rappresentante straniero che riceve è l’ambasciatore nazista Bergen. Sullo sterminio degli ebrei le compiacenze della Chiesa verso il nazismo furono variegate… di là da controversie e beatificazioni che riguardano l’operato di Papa Pio XII con il nazi-fascismo, resta il fatto che quando gli ebrei furono deportati da Roma ad Auschwitz, il Papa non intervenne e il Pontefice si astenne anche dal firmare la dichiarazione degli Alleati del 17 dicembre 1942, che condannava lo sterminio degli ebrei. Dopo la caduta del fascismo e del nazismo, Pio XII scomunica i comunisti del mondo (1949)… sembra non accorgersi che le “purghe” di Stalin avevano le stesse matrici del genocidio nazista… ed escono dalle medesime inquisizioni della Chiesa della quale è Dio in terra.
Perché la chiesa di Roma non scomunicò mai nessun nazista? nemmeno gli abili tedeschi che facevano funzionare bene e in ordine le camere a gas e i forni crematori della pregiata ditta
J.A. Topf & Figli… fondata da un mastro birraio nel 1878. Quando lo smaltimento dei cadaveri a Dachau, Mauthausen, Gusen e Auschwitz-Birkenau… divenne ingombrante, gli ingegneri della Topf & Figli, progettarono forni a otto muffole e nuovi sistemi elettrici di ventilazione con areazione di aria pulita per rimuovere più velocemente lo Zyklon B dalle camere a gas… i cristalli del gas Zyklon B, adoperati per lo sterminio, si attivavano ad una temperatura di oltre 20 °C., e gli ingegneri della Topf & Figli consigliarono le SS di stipare nelle camere il maggior numero di persone poiché con il calore dei corpi il gas agiva con più efficacia… i bambini dovevano stare in cima a tutti e con le braccia alzate… morivano meglio… gli aguzzini più esperti spegnevano a intervalli la luce nella camera, in modo da creare il panico, accelerare la respirazione e quindi l’inalazione dei gas tossici… nel 1942, l’ingegnere della Topf & Figli, Fritz Sander, ottenne il brevetto per un — forno di cremazione di massa e continua di corpi — e se tenuto a temperatura ottimale (23-25 °C.), funzionava in maniera eccellente! Nel 1939 l’ingegnere della Topf & Figli, Kurt Prüfer, realizza un forno innovativo di cremazione… mobile, facile da usare, riscaldato a olio… la ditta fornisce di forni Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen, Dachau… Prüfer è orgoglioso della sua invenzione e scrive al direttore Ernst Wolfgang Topf: « Questi forni sono davvero rivoluzionari e posso supporre che miconcederete un bonus per il lavoro che ho fatto ». Dopo la liberazione, Prüfer fu processato a Mosca con altri dirigenti e condannato a venticinque anni di carcere. Morì mentre era detenuto nel 1952. Gli altri furono scarcerati in seguito ad un’amnistia nel 1955. Il capo dell’azienda, Ernst Wolfgang Topf, arrestato dagli americani, venne rilasciato per mancanza di prove (?!). Dal 1946 al 1950 il padrone della Topf & Figli fu sottoposto a un processo di denazificazione… il “caso” fu archiviato, perché l’uomo «non aveva mai ricoperto nessun incarico o grado nel partito» nazista, al quale era iscritto con tutta la sua dinastia (!?). Morì libero nel 1970… eppure c’erano prove schiaccianti che nel 1945, mentre il campo di Auschwitz veniva liberato, la Topf & Figli lavorava alacremente all’installazione di nuove camere a gas a Mauthausen… alla sconfitta nazista uno dei fratelli Topf si suicidò, l’altro cercò rifugio dagli americani e testimoniò sull’operato criminale dell’azienda di famiglia… gente come questa doveva essere affogata nei singhiozzi di milioni di innocenti bruciati in quei forni e nulla più6.
Va detto. L’insetticida Zyklon B (prodotto dalla rinomata ditta Bayer per disinfestare pidocchi e altri parassiti) è stato sviluppato negli anni venti da Fritz Haber, Premio Nobel per la chimica, 1918… poteva uccidere da 1.000 a 2.000 persone in pochi minuti… ma non era troppo economico… in campi come Chełmno, Bełżec, Sobibór, Treblinka… si utilizzava anche il monossido di carbonio (prodotto dai gas di scarico dei motori) e molti milioni di deportati furono uccisi mediante fucilazione. Haber era un entusiasta della guerra chimica già nel 1914… si unì agli intellettuali tedeschi che firmarono il Manifesto dei 93 e andò al fronte volontario a dispensare gas tossici… un pioniere della distruzione di massa… morirono a migliaia… sovietici, italiani, tedeschi, francesi, americani… e Haber fu promosso capitano! La moglie, persona di notevole intelligenza, prima donna laureata in chimica in Germania, disapprovava quell’ingegno funesto e dopo aver detto, “che era una perversione della scienza”, si sparò (con la rivoltella d’ordinanza del marito) nel giardino di casa tra i fiori… Haber non andrà al suo funerale. Haber era di origine ebrea e quando il Führer disse: “Se la scienza non può fare a meno degli ebrei, noi in pochi anni faremo a meno della scienza”, l’entusiasta della chimica criminale fu costretto alla fuga… si rifugiò in Gran Bretagna, nell’Università di Cambridge… durante il viaggio per andare in Palestina ebbe un attacco cardiaco, morì a Basilea nel 1934. Un pezzo di merda di meno!
Non esistono persecuzioni giuste né ingiuste, come pretendeva sant’Agostino… le crociate sante, i massacri dei popoli primitivi, l’evangelizzazione dei continenti, i colonialismi, fascismi, comunismi, nazismi del XX secolo e quelli emergenti nella civiltà dello spettacolo… esprimono il carattere aggressivo, repressivo, necrofilo dell’inferno a portata di mano, senza giustificazioni alcune, nemmeno per le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki del 1945… il compendio di morti in questi tempi di gioiosa idiozia non ha niente di trionfale né di risolutivo… l’uso della forza è la legge del dominio dell’uomo sull’uomo e tutte le bandiere sono sporche di sangue innocente! I potenti ce la mettono tutta per attuare la devastazione della civiltà… di là dalle colpevolezze accertate, dalle facezie bibliche, dai terrorismi pilotati dai servizi segreti dei governi forti… lo sterminio di massa continua! I criminali di Guerra, di Stato o di Fede non conoscono la compassione, praticano la discriminazione razziale, sessuale e della libertà di pensiero, e il solo Dio nel quale credono, è il genocidio.
Non si può amare Joyce e non sputare sull’intera opera di Michail A. Šolochov, Premio Nobel per la letteratura 1965… quello dell’epopea di Il placido Don… lo scritto di questo comunista di ferro — che sembra essere stato preso, almeno in parte, da un racconto di Fëdor Krjukov (1870-1920) —… è una letteratura soporifera, ambigua, ruffiana (verso il “partito dei
lavoratori”, s’intende), che ha allevato milioni di comunisti nell’imbecillità… i “commissari del popolo” sono i buoni, gli operai e i contadini, ignoranti, financo stupidi, ma fedeli alla linea di Stalin, certo… cioè quella dell’omicidio di uomini, donne e bambini che hanno rifiutato obbedienza alla dittatura sovietica… per niente diversa da quella nazista… se i sovietici non fossero stati invasi da quello scemo di Hitler, avrebbero ballato insieme e si sarebbero baciati sulla bocca con i nazisti… si sarebbero intesi, sulla sola argomentazione che hanno messo in pratica: lo sterminio degli ebrei!
I Pogrom contro gli ebrei (tradotto alla buona vuol dire, “demolire o distruggere con atti violenti”), erano già apparsi nella Russia di fine ‘800… Hilter ne deve aver tenuto di conto… Stalin aveva però più spazio per realizzare le sue carneficine… e poi era protetto dall’omertà, invero cretina, dei Partiti comunisti occidentali… la palma del più cretino di tutti però va al PCI… ha applaudito l’invasione dei carri armati sovietici sulla rivolta popolare ungherese del ’56, ha ferito (e deviato) le speranze della rivoluzione giovanile della “Primavera di Praga” nel ’68, ha tradito i sessantamila morti della Resistenza (1943-1945) e si è spento nella più assoluta idiozia politica col crollo del muro di Berlino (1989)… con i muri crollano anche le ideologie e i patiboli… le corruzioni restano… e per cercare di mantenere i culi sugli scranni del potere, i “comunisti” si sono dovuti truccare da riformatori, europeisti, neoliberisti… ossessionati dal comando, sono confluiti in varie aree istituzionali… senza un minimo di dignità o d’orgoglio, naufragano da una bandiera all’altra e insufflati di complicità con i padroni di sempre, leccano il culo a chiunque li possa mantenere sugli scranni mafiosi del governo… ciò che esprime questa “sinistra al caviale” è di seconda mano… la speranza da imbecilli che promettono ha però un certo seguito… la strafottenza non gli manca… riescono sempre a darla a bere agli stolti che li votano… esasperati dalla vanità non riescono nemmeno più a distinguere un migrante salvato dalle acque (qui sarebbe importante scorgere l’ironia che contiene la frase!) da un salotto televisivo… che lo vogliono o no, li accompagna ovunque il riso dell’idiota!
Nei nostri Commentari sulla liturgia fotografica dell’Olocausto7… vogliamo entrare — a gatto selvaggio — là dove le vittime si riprendono la parola attraverso i loro corpi sacrificati dall’ingiustizia, cogliere nell’accezione della parola Liturgia — « azione per popolo » o « servizio pubblico, liberamente assunto, in favore del popolo »… e andare a vedere attraverso le immagini dell’Olocausto di un pugno di fotografi al seguito delle truppe alleate che hanno sconfitto il nazismo… il complesso di cerimonie, formule, culti, riti o funzioni determinate dall’instaurazione del delitto sul genere umano in nome di una credenza, un convincimento, un tiranno o un sistema di potere! Il fanatismo è la culla dell’indecenza… il solo talento che richiede è la malattia mentale! Ecco perché ha mietuto successi indiscussi nella storia! L’accondiscendenza inganna, sempre, l’amore dell’uomo per l’uomo, mai!… né Dio né Padrone!… eternamente nulla che non sia amore — anche il più estremo — per l’umanità.
II. Sulla fotografia della tirannia nazista
Il fascino dell’insofferenza libertaria o la bellezza convulsiva dello sguardo… sono al fondo dell’opera fotografica di Margaret Bourke-White. Le sue immagini hanno attraversato un’epoca e tra celebrazioni del suo talento e solitudini della propria esistenza randagia, la Bourke-White ha eretto fortune economiche, sfasciato matrimoni, dato alla storiografia fotografica la forza dello stile (i grandi lavori commerciali) e lo stile della dignità del dolore (la povertà americana e i resti degli ebrei nei campi di sterminio nazisti). “Non c’è crimine più grande della guerra” (Susan Sontag) o dell’indifferenza complice! L’arte dell’essere-giusto, in fotografia e dappertutto, è il disvelamento dell’onnipotenza in seno al mondo… una visione libera dal tema imposto… un’epifania del dispendio che implica il vero e privilegia l’istante che lo bruttura… la fotografia è come il fanciullo che gioca con una palla di cencio o una spada di legno… una sorta di Eliogabalo/anarchico incoronato dalla bellezza che in tutti i luoghi e in tutte le epoche vuol fare la guerra con altri mezzi… con l’eleganza, lo stile, la nobiltà, il contegno e il coraggio dei cavalieri che fecero l’impresa… un tripudio d’amore di sé verso l’altro, senza curarsi mai della redditività della storia.
Il prestigio è inganno, un’illusione portata davanti all’ebbrezza del consenso che cela la verità o la predestina alla nullità del romanzo che abilita… è l’affettazione della creatività nella banalità. “Ogni cosa, nella fotografia, dovrebbe contribuire alla descrizione… la buona fotografia è un processo di sfrondamento, una questione di scelta raffinata” (Margaret Bourke-White) … concepire l’avvenire della fotografia, significa concepire un ulteriore passo verso la fine della fotografia e alla risorgenza dell’immaginario dell’uomo che si rifiuta di aderire alle infermità di modelli e fedi rinnovate!
La deriva fotografica della Bourke-White è una sorta di aforismario dell’immaginario sociale… non dà lezioni a nessuno se non a se stessa… l’eleganza, lo stile e una certa grandezza compositiva denotano non solo una bella forma, ma un equilibrio, un’armonia dell’insieme… e qui che emerge l’eternità dell’istante, non perché è sottratto al momento (cosa che non faceva nemmeno il maestro della visione libertaria per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, anche se lo teorizzava)… perché è al fondo della costruzione delle situazioni che implicano il bel fine, superano i generi e restituiscono il cammino, l’approdo, lo scopo, al dolore della storia da reinventare. La forza estetica/etica che il gusto, la dignità, la bellezza esigono, comporta una formazione poetica-solitaria immensa… i risultati creativi implicano la ricerca del reale tutto intero e poco importa se il successo non arriva o ne sancisce il valore… il risentimento contrasta con l’indulgenza e dove è giusto rompere il peggio che si trova di fronte, non si tira indietro… il risentimento impedisce all’oblio di dimenticare, ma non è vendetta e nemmeno speranza, è giustizia!
Le immagini del risentimento della Bourke-White si rovesciano contro l’inaccettabile e l’impoverimento della sovranità diplomatica, quanto della restaurazione politica, militare, religiosa… non la riguardano… il trionfo dell’orrore è tesaurizzato sulla devastazione di corpi e la sottomissione del reale alle pulsioni di morte degli assassini nazisti… la fotografia così fabbricata — e nemmeno importa se questa o quella fotografia dei campi di sterminio, attribuita alla fotografa sia stata fatta da altri, magari anonimi soldati che dopo aver sparato alla testa d
donne e bambini, tiravano fuori dallo zaino la fotocamera per portare i ricordi-cartolina dell’Olocausto alle proprie famiglie —… ciò che vale è il traboccamento di sofferenza e d’ingiustizia che fuoriescono da quelle immagini estreme… non ci può essere nessuna riconciliazione con la barbarie nazista (stalinista, franchista, maoista, castrista…) né con nessun altra distruzione dell’uomo da parte dell’uomo… la preminenza dell’istante scippato alla geografia del terrore è una condanna al giubilo del crimine autorizzato che dittatori e popoli hanno contribuito ad istaurare, programmare e proteggere… la brutalità della cultura osservante (fiancheggiatrice e serva, sempre), ne ha decantato le castrazioni e partecipato alla gestione repressiva delle passioni, credi e radici identitarie delle genti… niente euforia del male, senza educazione al male! Il consenso è la regola! Al politico spetta il compito della mattanza, ai suoi sostenitori, l’adulazione dei forni crematori! In tutti i Paesi, in tutte le epoche, sotto tutti i paradisi e inferni, il fucile del padrone ha fatto della violenza il principio della civiltà!
Lo sguardo “aristocratico” della Margaret Bourke-White è di un’eleganza senza presunzione che ne detta lo stile… il suo fare-fotografia s’affranca a quanti sono emarginati, bastonati o si ribellano a uno stato di cose inaccettabile… è un’etica creativa che si sviluppa al di là del bene e del male… porta a pensare “la possibilità di vivere senza Dio, di pensare senza religione, di realizzare una comunità politica senza re” (Michel Onfray)8. Un mondo senza Dio e senza Padrone! Una filosofia epicurea, libertaria e libertina… che pratica il rifiuto di tutto ciò che non dà piaceri, godimenti, vampate di libertà in ogni anfratto della vita quotidiana… quando la libertà coincide con i morsi del desiderio, allora si capisce cosa si deve o non deve fare… si comprende che i baci sulla bocca al profumo di tiglio sono più importanti di qualsiasi impostura politica, menzogna religiosa e delle corruzioni di quella massa di burocrati che ucciderebbero la loro madre per difendere i privilegi che i potenti hanno loro concesso, in cambio d’assoluta obbedienza, silenzio e prostituzione a tutto… all’uomo di Corte — che è l’uomo per tutte le stagioni della politica e il miglior cortigiano è sempre quello che ha origini plebee — non si chiede di pensare… ma di nascondere, tradire o incensare (a seconda dei tempi) il favore degli dèi… che sono sempre falsi!
Sbrighiamo le solite necessità biografiche. Margaret Bourke-White nasce nel 1904 a New York (la radice paterna era ebraica, si chiamava Weiss, per non avere scomodità razziali cambia il cognome in White), muore all’età di sessantasette anni (1971), al termine di 20 anni di lotta estenuante contro il morbo di Parkinson (sembra il nome di un profumo). Nel mezzo ci stanno le collaborazioni con le riviste Fortune, Life, la fotografia pubblicitaria, i reportage sugli stati del Sud dell’America contadina, quelli a seguito delle truppe americane in Europa, i lavori in Russia, Italia, India, Sud Africa, Corea… questa insolente e magnifica donna non si lascia sfuggire ciò che era necessario fotografare. Scrive bene e accompagna le sue fotografie da “pezzi” coinvolgenti e spesso pungenti.
In alcuni libri come — Cara patria, Fotografando la guerra in Russia e A metà strada verso la libertà — (brutti titoli), si coglie la sensibilità per la diversità, la povertà, il disagio che la muove, in profondità. L’aneddoto della Bourke-White sulla fotografia di Gandhi (nemmeno poi tanto compiuta, ma significativa), è di quelli che piacciono agli storici, quanto ai dilettanti in tutto della fotografia. Il Mahatma, uomo spiritoso, le disse che ci vuole calma per prendere la sua persona e intanto invita la fotografa ad imparare l’arcolaio. La Bourke-White ricorda così quell’esperienza: “Se volete fotografare un uomo che fila, prima di tutto dovete riflettere un po’ perché egli fili. La comprensione, per un fotografo, è importante non meno degli apparecchi che usa… Nel caso di Gandhi, l’arcolaio era pregno di significato; per milioni di indiani, era il simbolo della lotta per l’indipendenza che Gandhi stava conducendo con successo”. Fintanto che il sorriso di un utopista sboccia fuori dall’acquiescenza al potere, la Terra sarà salva.
La disobbedienza civile, le tecniche della non-violenza, gli scioperi della fame (ripresi dalle rivolte plebee dell’Irlanda ottocentesca, quando per farsi riconoscere ed onorare dalla nomenclatura giuridica, gli insorti si lasciavano morire di fame sulla soglia di casa del nemico… e l’odore nauseabondo dei loro corpi in disfacimento faceva eco a rivendicazioni sociali più vaste)… sono manifestazioni di resistenza al presente… azioni oppositive di un uomo o di un gruppo o di un movimento che denunciano l’ingiustizia di un governo o una sopraffazione o legislazione iniqua… la coscienza individuale si manifesta come azione pubblica ed è finalizzata all’abrogazione di ordinamenti/affari politici che tradiscono il bene pubblico… è vero, la disobbedienza civile è altro da una sommossa, una ribellione, una guerriglia… tuttavia la morale ultima (o primaria) della disobbedienza civile contiene il duende di ogni rivoluzione sociale. Le sollevazioni popolari della disobbedienza civile simbolizzata dal valore d’uso dell’arcolaio di Gandhi, affrontavano secoli di angherie e respingevano soggezioni rimaste invendicate che porteranno alla nascita di una diversa coscienza sociale… chiedevano la restituzione della regalità alle popolazioni sottomesse dai colonialismi… la fine degli imperi e la restituzione della dignità a tutti gli uomini. L’obbedienza non è mai stata una virtù.
La filosofia della disobbedienza civile fuoriesce dagli studi su Socrate, Tolstoj, testi buddisti… da Étienne de La Boétie9, Henry David Thoreau (conia il termine, forse, nel 1849)10… poi Hannah Arendt11 l’attualizza e vede la partecipazione attiva dei cittadini contro le prepotenze dei governi… la disobbedienza civile è una forma radicale del dissenso… propone la diminuzione dei poteri istituzionali e la partecipazione dei gruppi di protesta all’interno della cosa pubblica. Étienne de La Boétie, era poco più di un ragazzo quando nel 1575 scriveva: “Com’è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha forza se non quella che essi gli danno. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli forniste? Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi (…) Vedendo questa gente che striscia ai piedi del tiranno talvolta ho pietà della loro stupidità. Non basta che obbediscano, devono compiacerlo, devono ammazzarsi per i suoi affari”12. Non abbiamo mai capito come si possa accettare di buon grado la soggezione a tutto e restare servi di chi opprime, frutta o violenta tutte le possibilità di bellezza, fraternità e accoglienza del genere umano.
D’infilata. Il ’68 è nato dalle proteste per i diritti civili delle giovani generazioni (contro la guerra, la discriminazione razziale e sessuale, la difesa della biosfera, la fine dello sfruttamento di una minoranza sul maggior numero)… quella rivoluzione della gioia13— comunque la si voglia vedere —, è stato l’ultimo tentativo o forse l’ultima vera lotta di classe che ha dato l’assalto al cielo del capitalismo… e ha comunque sovvertito la lingua della società… i sabotatori dell’espressione collettiva hanno sbalzato via tutti i piani culturali/politici del tempo… e letteratura, cinema, fotografia, musica, arte, moda (il lavoro, la religione, la famiglia, i partiti) cambiavano di segno, di linguaggio, di propensioni verso la comunità che viene… i giovani sulle barricate, i pugni chiusi e altri utensili utili al rinnovamento sociale, accusavano la miseria del potere, mostrandola… ovunque la critica radicale delle giovani generazioni alzava il tiro sul privilegio e lo svergognava! Ciò che era in tutti i cuori appassionati di libertà, era in tutte le teste infiammate di anarchia… la critica dell’utopia capitale scagionava i limiti dell’estremismo, anche quello in armi, poiché voleva mettere fine all’estensione totalitaria del capitalismo in ogni ambito della vita quotidiana.
Il pensiero libertario, consiliarista, situazionista, differenzialista… non ha prevalso, è vero, tuttavia dopo quegli anni di sovvertimento dell’ideologia consumerista, niente sarà più vissuto direttamente nella strada e nell’amore come prima… i burocrati, i becchini e i leccaculi si
riprenderanno tutto, ma non quello che siamo stati, ciò che non saremo e che ancora ora siamo!14 Non riconosciamo a nessuno il diritto di giudicarci, e ci prendiamo l’ardire non solo di giudicare spietatamente tutto il lupanare della civiltà dello spettacolo, ma di osare la speranza di distruggerlo, una volta o l’altra! Il talento ha bisogno di passioni, come l’amore dell’uomo per l’uomo, di rivoluzioni.
La mitologia sulla donna rampante nell’alta finanza di New York o la predatrice di uomini sposati (come la storia con il romanziere Erskine Caldwell, che poi diventa uno dei mariti lasciati) della Bourke-White, non c’interessa. Né c’importa elencare le migliaia di chilometri che questa singolare donna ha percorso nel mondo con la macchina fotografica o quali vestiti alla moda indossava… siamo invece affascinati dal senso d’indipendenza e dal coraggio mostrato da un maestro della fotografia quale è stata, di fronte al successo come alla dimenticanza. Quando l’opera d’arte non contiene la vitalità libertaria che ne detta l’affronto e nuoce alle certezze del costume, cade nella maniera.
La vita eccentrica (fuori dal centro del convenzionale) della Bourke-White, la porta ad avere affezioni politiche non proprio comode e in piena epoca maccartista le fioccano accuse di comunismo… risponde con un reportage sulla guerra in Corea teso a celebrare il patriottismo americano (e non è certo una delle sue cose migliori). Diventa ricca e famosa, lavora per i grandi complessi industriali, per la pubblicità e negli anni trenta riesce ad andare perfino nella Russia stalinista a fotografare l’industrializzazione del “dopo rivoluzione” (fatta anche con i dollari americani). Il ritratto di Stalin non la nobilita, e nemmeno i baffi del dittatore ci escono bene… che faccia un lavoro molto retribuito o si occupi della condizione sociale degli ultimi… segue sempre il proprio detto: “L’amore per la verità, requisito numero uno per un fotografo” (Margaret Bourke-White). Sa bene che ci sono nugoli di tecnici senza talento creativo e pochi poeti della fotografia della bellezza.
Fotografare il vero vuol dire turbare! Ma senza degenerare in sapienze provinciali! Gli ostacoli al progresso spirituale per un fotografo, sono gli stessi del Buddha: la sensualità e la malevolenza, l’inerzia fisica e morale, l’inquietudine e il dubbio… o forse sono i precetti del mio amico ubriacone di taverna di porto che diceva: “Il dolore condanna la vita, l’amore lo riscatta”! L’innocenza della differenza riporta a sentimenti sinceri, per questo ne descrive i sorrisi! Per non perderli nella tristezza dei demoni che li calpestano… non perché sono cattivi soltanto, sono stupidi! Non resistono alla bassa criminalità che li ha adottati come divoratori del
giusto, del bello e del bene comune.
La fotografia è la testimonianza di una presenza, indica l’autenticità delle cose o le depone nel discorso confezionato del santuario mercantile che la respinge… la fotografia, lo dice perfino Edward Weston, in un brutto libro (di estetica fotografica se ne intendeva, anche se a noi i suoi peperoni e i nudi di donne sulla sabbia non ci sono mai piaciuti), “costituisce il mezzo per captare il momento, ma non un momento qualsiasi, bensì il momento importante, il momento unico tra tutti in cui il vostro soggetto è pienamente importante, il momento della perfezione che viene una volta e non si ripete”15. Infatti, quando Weston fotografa Tina Modotti, nuda come una biscia al sole sul terrazzo della loro casa in Messico, la sensualità sfacciata di lei lo rende un gigante rispetto ad altri esteti dell’immagine “colta”, come Stieglitz, Steichen,
C.H. White, Holland Day, Demachy, Kühn, von Gloeden… qui la fotografia, anche la più compiuta, corteggia la bellezza dei corpi, ma è la morte del peccato e del perdono per i “quasi adatti” che canta. La fotografia è fatta del tessuto del quale sono fatti i nostri sogni più estremi.
Ora… il rinascimento fotografico di Weston è continuamente superato da ciò che il fotografo statunitense partorisce… la contemplazione, come la maniera, non si addice ai poeti, tanto
meno ai “giustizieri dell’arte” che dicono di mordere e invece la leccano… ci capita ogni tanto di leggere in libri, riviste, parate online del narcisismo fotografico portato al parossismo o alla semplificazione di menti instabili… ma quando alla medesima necessità di parlare del proprio “stile” senza un minimo di pudore, sono i teorici della purezza da Quinta strada a New York… che dicono di una bambina, una donna, un uomo o un paesaggio — “Ho catturato quell’istante per sempre!”—… ci viene da dire che tutte le arti sono eccessi d’indiscrezione o stupri di coscienze poco attrezzate a contrastare la megalomania da piccoli borghesi che li frantuma! Semmai sono quella bambina o quella donna, quell’uomo o quel paesaggio che hanno donato qualcosa a qualcuno e lo hanno fatto per far dimenticare quell’attimo di vita, quell’intimità sovente dolorosa, per sempre! Perché non avvenga mai più! Le copertine dei “grandi giornali” passano nel frastuono del successo, le ingiustizie secolari restano a testimoniare la necessità di passare dall’immagine mercificata, al ribaltamento puro e semplice della vita ordinaria.
La prosa di Weston è ricca di aneddoti dove il fotografo celebra se stesso e la sua arte… una cosa che manda in estasi gli universitari e i fotografi dell’infatuazione concettuale… appunti di diario in formato ridotto, quasi eleganti, entusiasmano seduta stante anche gli ottimisti del santo Graal… è un buon modo per capire che i fasti del rinascimento di Weston sono avvertibili anche nelle zuppe di fagioli Campbell’s di Warhol, arte da parati… però funzionano… i salotti dei proletari ne sono pieni di stampe, le terrazze dei ricchi ne fanno giusta esposizione degli originali… anche nelle banche le serigrafie numerate di Warhol (come le fotografie del Water o del culo di donna di Weston) vanno alla grande… i direttori le tengono appese nei loro uffici come promulgazione d’intelligenza, intanto scippano i fondi dei pensionati e li destinano a derivati/dividendi più sostanziosi… se poi vanno perduti, non è poi così male… i pensionati s’impiccano o si buttano dalla finestra… le serigrafie o le fotografie restano lì a sorridere della stupidità dell’arte.
Le fotoscritture della Bourke-White vanno a cogliere la pregnanza della verità e la surrealtà delle forme, al di là delle codificazioni dalle quali parte. A leggere le immagini industriali degli anni ‘20 o i grattacieli dei ’30… non è difficile scorgere la forza dell’inquadratura, la cura delle luci, il taglio audace che rendono la fotografa americana all’altezza espressiva di Renger-Patzsch, Blossfeldt o Rodchenko… ma a differenza di questi straordinari interpreti della realtà profanata a colpi d’ironia e cantori del rovesciamento di prospettiva da una società rovesciata… le immagini di Bourke-White restano materiche e lasciano negli occhi i giochi e i temi di un’infanzia mai perduta.
La fotografia industriale della Bourke-White… in qualche modo riporta, è vero, al cinema espressionista tedesco degli anni ’10/’20, almeno per i contrasti di luce/ombre… la forza evocativa delle inquadrature, l’uso singolare delle prospettive… da qui a ricordare Lo studente di Praga (1913) di Stellan Rye, Il Golem (1915) di Paul Wegener e Henrik Galeen, Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert Wiene, Nosferatu il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau o Metropolis (1927) di Fritz Lang… ce ne corre… qualcuno addirittura ha messo in relazione la creatività (industriale) della Bourke-White con la pittura cubista… sì, la sovrapposizione dei piani, la riduzione da tridimensionale a bidimensionale si possono vedere nelle sue immagini, ma le geometrie astratte o il dinamismo dell’astratto di Moholy Nagy o Edward Steichen, proprio non ci sono… l’energia, la potenza, la costruzione di sé fuoriescono dall’edificazione fotografica-industriale della Bourke-White… e la vitalità estetica trabocca di vita vissuta… fabbriche, tubature, ciminiere, navi, ponti, officine… diventano metafora del mondo a venire… il reale è un flusso espressivo in ebollizione e nella dialettica tra significante e significato mette il primo al servizio del secondo… l’esistenza della fotografia è subordinata al senso storico che le corrisponde… ma lo rovescia e promuove come bene prezioso che non accetta nulla al di sopra, nulla al di sotto dei costruttori di ricchezza che l’hanno realizzato! Lì la Bourke-White vede il vero luogo dell’arte, dice… e io ci credo!
L’iconografia trasversale della Bourke-White tocca momenti etici alti e le citazioni della grande fotografia sociale di Walker Evans, Dorothea Lang o Ben Shahn non sono impertinenti. Anche se a Evans (autore, con James Agee, di uno dei libri più importanti del fotogiornalismo, Sia lode ora a uomini di fama, 1941)16, proprio non piaceva quella ragazza vestita bene che metteva in posa i contadini americani per cogliere l’estrema povertà della loro esistenza. La filosofia di queste immagini del disastro economico dell’America contadina e proletaria, andava oltre il motto di Life: “Vedere la vita, vedere il mondo”. Bourke-White non ci fa vedere soltanto la vita di un uomo, ma come vive questo uomo e come sta al mondo.
La creatività della fotografia e la sua abdicazione alle vetrine del mercato poggia sul grido di sdegno (anche) di Walter Benjamin: “Il mondo è bello” e l’arte è riproducibile e consumabile da tutti. Una sciocchezza! Il simulacro al posto della creazione autentica… la forca in cambio della poesia. Adorno, Horkheimer, Marcuse o l’ultimo dei Mohicani… avevano compreso a fondo il valore dell’immagine quanto il sopruso della polvere da sparo… sapevano che il valore illusorio dell’immagine fissa (cinematografica, televisiva, internet, anche) è una gogna e il lettore, il fruitore, il lacché, sono i destinatari passivi di ogni forma del comunicare. La coscienza creativa e la creazione conoscitiva sono i soli percorsi di autoliberazione dalla visualizzazione planetaria della domesticazione sociale.
La bellezza poetica della Bourke-White non lascia spazio a rivisitazioni critiche né a giudizi estetici poco approfonditi — “la sua autorità di fotografa e autrice di sé si fonda su un patto, inteso come luogo dell’equilibrio tra il detto e il non detto, tra il mostrato e il non mostrato” (dicono le curatrici del suo libro, Il mio ritratto)17 —. Alla maniera di Robert Capa, Walker Evans o Robert Frank (nel fulgore delle loro differenze), la Bourke-White lavora su un’iconografia che sborda dalla foto-documentazione e dal rapporto topologico o geografico tipici dei fotografi della FSA… la personalità culturale della Bourke-White sfuggiva all’epica quanto alle necessità elettorali del New Deal di Roosevelt e dentro una visione molto personale, andava a fissare sulla pellicola frammenti di vita non esenti di messaggi metonimici — come Gli alluvionati del Kentucky in fila per il pane, presi sotto il cartellone pubblicitario di un’auto nella quale si vede una famiglia felice dell’opulenza americana —… un’immagine che lascia addosso l’amarezza di una situazione sociale disperata. Le sue fotografie di ambiente contadino, pubblicate nel libro Tu hai visto le loro facce (1937), sono alla base (insieme a quelle di Dorothea Lange, Ben Shahn o Walker Evans) della scrittura cinematografica di Furore (1939) di John Ford, quanto della letteratura popolare (un po’ dandy) di Erskine Caldwell, in La via del tabacco (1941). Ripetersi è una forma di saggezza ereticale, quando non si crede a niente all’infuori della libertà.
La cartografia del dolore della Bourke-White nei campi di sterminio nazisti… è corsa dalla grazia… contiene una tenerezza e una pietà che vanno oltre l’annientamento di un popolo… sono icone dell’ingiustizia e quegli occhi affilati di speranza, scampati alle atrocità del genocidio, sembrano contenere il monito che tutto ciò non avvenga mai più! Non sarà così. Il dogma del neoliberismo è questo: La legge imprigiona, la politica uccide, il mercato comanda! Alla maniera di san Paolo (il più ambiguo tra i santi e il più guerrafondaio): “Non uniformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente nel rinnovamento della vostra coscienza”. È lo spirito per l’utopia possibile (l’amore dell’uomo per l’intera umanità) che
rende liberi. “In una vita c’è posto per tutto: per una fede in Dio, e per una fine miseranda. Io posso… essere accanto ai moribondi, agli affamati, ai maltrattati, ma posso anche essere vicina al gelsomino e a quel pezzo di cielo dietro le mie finestre”, Etty Hillesum annotava sul suo diario mentre la portavano ad Auschwitz18… e lanciava un biglietto dal treno che diceva “Abbiamo lasciato il campo cantando”, era il 7 settembre 1943. L’umanità offesa, sommersa o perduta è ancora sprofondata nel “grande silenzio”… la più grande tragedia storica del ‘900 è in atto… milioni di persone sono cancellate dall’esistenza… di loro restano cadaveri, valigie, occhiali, denti d’oro, orologi, scarpe, gioielli, carte d’identità e i marchiati a vita… schedari, catalogazioni, archivi di morte che confermano la frenesia dell’ordine, dell’obbedienza e dell’assassinio insiti nell’organizzazione nazista… una genealogia faustiana dell’abisso… tesa a rimaterializzare il destino di una nazione nell’omicidio di massa.
Le fotografie che la Bourke-White scatta a Buchenwald non sono una catalogazione di aneddoti, ma una forma spezzata di punteggiatura fotografica col passato… sono elementari… dirette, quasi anonime… hanno un’aura d’essenzialità che si compromette con il fotografato… se prendiamo l’immagine in cui il corpo consunto di un deportato è steso su un lettino bianco… curato da medici militari, attorniato da “figuranti” dell’Olocausto… ed è evidentemente una “fotografia costruita”… vediamo che l’immagine è stata presa sul ricordo dei dipinti delle lezioni mediche nelle università dell’’800… c’è la condivisione del corpo ferito con ciò che lo circonda ed elementi di salvezza dovuti all’accuratezza dei salvatori… qui il “falso” funziona perché non c’è nulla di sacro!… l’inquadratura porta il lettore al centro del dolore… non c’è malafede, ma sdegno contro l’ingiustizia che ha provocato quel dolore! Il corpo denutrito dell’uomo (al quale hanno posto un panno bianco sui genitali) è un atto di accusa contro i carnefici e mostra le ferite della carne che disvelano la barbarie nazista!
La fotografia dei piedi accatastati su un carro… figurano la metafora dei corpi schiacciati e ricomposti (che non si vedono, e funziona anche se l’inquadratura fosse stata tagliata)… la Bourke-White estrapola l’essenza della morte, non la compiace… non esagera la sofferenza, l’accoglie nell’indeterminatezza di una fotografia di forte presa del reale, ma la contiene in una finitudine antropologica che ne detta la tragicità. Conosciamo la sequenza, a nostro avviso da studiare per cosa si deve o non si deve fare quando si scatta una fotografia sulla sofferenza… in una prima immagine si vede la Bourke-White inginocchiata nella ricerca dell’inquadratura… fotografa i piedi dei cadaveri sulla sinistra… a destra c’è una piccola folla e un
militare che indica la tragedia… la fotografa costruisce una situazione provocatoria, fissa nella fotocamera l’innocenza di un’umanità straziata, che rivendica il giudizio sui suoi assassini.
Quando gli americani liberarono i campi… costrinsero le popolazioni delle città vicine a vedere di cosa erano stati corresponsabili… i documentari Combat Film, realizzati dai cineoperatori militari, ne testimoniano la veridicità… e furono costretti anche a seppellire ciò che restava dei corpi dei deportati… molti cittadini sfilano in silenzio, qualcuno piange, altri restano sbalorditi di tanta brutalità… i più hanno ancora scritto in faccia l’adesione al nazismo… temono più di sporcare i loro vestiti neri di fango che il tanfo dei cadaveri… era il medesimo che avevo assaporato per anni e in qualche modo ne avevano condiviso l’arbitrio! Non s’indossa la croce uncinata impunemente! Come la cattiva letteratura, che esercita il consenso su menti indebolite nel ricamo, aderire al nazismo è non è solo uno stile di vita, è condividere un’ecatombe e farne l’altare di un idiota!
Una fotografia della Bourke-White, fatta a Buchenwald, mostra la pochezza intellettuale del popolo nazista… a destra dell’immagine si vedono una catasta di assassinati… sullo sfondo i soldati che spingono i “bravi cittadini” a vedere di cosa sono stati capaci i seguaci di Hilter… qualcuno finge di essere lì per caso… ha dimenticato, magari, di aver denunciato gli ebrei alla Gestapo… una signora in nero, si porta la mano agli occhi e guarda da un’altra parte… non vuole vedere… i nazisti sembra che non conoscono le lacrime… solo il fucile e le camere a gas… un po’ poco per chi ha creduto alle pretese della razza ariana… imbecilli senza remissione dei peccati, i nazisti sono sempre più avanti dei loro escrementi… appaiono un misto tra assassini dell’ottimismo e santi dell’ottusità… la fotografia della Bourke-White lo dice bene… i corpi dei nazisti fuggono la colpevolezza o cercano di nasconderla alla fotocamera, temono l’abdicazione della tirannia ma non l’accettano… quel marciume di corpi non emana “buon odore”, si vede… non c’è niente di più ignobile di un adulatore del crimine costituito in una ideologia, una fede o una pianificazione economica (prima e dopo qualsiasi guerra).
La fotografia della disperazione della Bourke-White è qualcosa che travalica il fatto estetico e nella sua compiutezza formale o nella visualità atonale alla cultura fotografica dello “scandalo”, individua, senza gridare, precise responsabilità istituzionali, culturali, ideologiche di guerre, vessazioni, violenze delle quali si è fatta testimone, non sempre compresa. La fotografia soggettiva della Bourke-White, stimola il risveglio dello sguardo e lo porta verso una reattività altra della coscienza critica, verso una foto-interpretazione dell’esistenza senza santi né eroi che partecipa all’ingiustizie della terra, disvela le condizioni di “vivenza” liberata e rivendica il rispetto dei diritti più elementari dell’umanità intera.
L’anatomia accurata di una sola immagine dei campi della Bourke-White, ci fa “scoprire” spettatori o complici di un’inciviltà al passo dell’oca… si tratta della fotografia presa all’interno di una baracca di Buchenwald (1945)… in piedi, sulla destra dell’inquadratura, si vede un uomo dal corpo sfinito, seminudo (si copre i genitali), impietrito in una pelle da santo imbiancato dal flash (forse), che getta la timidezza e l’imbarazzo verso un angolo della porta (o del cielo)… a sinistra una carrellata di volti e corpi emaciati dalla fame, attaccati a scodelle di alluminio, si allunga nei letti di legno che sembrano una sfilata di feriti imbalsamati nel terrore… lo sguardo austero della Bourke-White li coglie nella profondità del vero… nell’autenticità di una visione compassionevole che attraverso la fotografia incrimina tutti gli adulatori delle persecuzioni, compreso i silenti e gli inservienti degli imperativi! I carnefici si vedono sui loro volti… senza remissione dei peccati! Il mostruoso è tutto ciò che ispira ammirazione e soggezione… una fascinazione che intruglia malvagità e paura… il capo ordina! l’idiota esegue! La verità non si rivela che agli eretici, a coloro che non firmeranno mai un trattato di pace o di vittoria con il crimine costituito!
Per qualche curioso di araldica o collezionista di farfalle… l’uomo che sembra sbucare dal buio, nella seconda fila a partire dal basso, il settimo da sinistra… è Elie Wiesel (giornalista, saggista, filosofo e attivista dei diritti umani, Premio Nobel per la Pace, 1986, marchiato sul braccio sinistro col numero, A-7713)… ha raccontato con l’amarezza dei giusti crocifissi, il suo viaggio all’inferno di Auschwitz e Buchenwald in La notte19. Ci dispiace, e molto, che uno dei nostri cattivi maestri (E.M. Cioran), con un passato giovanile piuttosto destrorso (si vede mai digerito bene o fino in fondo), abbia scritto: “La cosa più grave di cui si siano macchiati i nazisti non sono i campi di concentramento, ma la stella gialla. È meno grave essere ammazzati che umiliati”… e nemmeno ci piace quando dice: “…in fatto d’irritabilità mi ha superato solo Hitler… e che per indole ero un Hitler senza fanatismo, un Hitler abulico…”20. Di cattivi esempi, come di brutte citazioni, si può anche morire! e nessuno poi ne richiede le spoglie.
Il cinismo aristocratico (l’ironia è la sua corrispondenza rovesciata o viceversa) è il sale dell’intelligenza, certo… eccetto sull’assassinio di un popolo o anche di un solo uomo che ha ammazzato un carnefice e poi è stato impiccato, fucilato o fatto a pezzi e bruciato! Ecco perché ci intendiamo soltanto con quelli che non hanno nessun tipo di patria, neanche con gli ebrei… ma siamo pronti a morire per rivendicare a tutti gli uomini — al di là delle loro fedi o colore della pelle, inclinazioni sessuali o ribelli in armi per la conquista della libertà —, il rispetto dei diritti umani! L’amore e le parole in libertà, ci fanno sentire vivi! Il linguaggio di conquista, ci uccide! La fermezza, il rigore, i valori, la competenza, la meritocrazia (chi giudica chi? e chi giudica loro?)… sono i pilastri dell’inessenziale e l’ultimo rifugio dell’intolleranza.
Le immagini dell’Olocausto restano a memoria di quanti hanno aderito, ammirato e si sono fatti complici del nazismo… rappresentano la coscienza sporca di un popolo… dove il santo è il mostro e il carnefice… sono milioni i tedeschi complici di una delle più atroci carneficine della storia dell’uomo… la “brava gente” della patria di Kant, Hegel, Marx, Goethe, Nietzsche… avvezza alla birra come alla spada, ai crauti come ai wurstel, alla messa domenicale come ai forni crematori… impotenti di “genio”, ossessionati dell’obbedienza, razzisti canonizzati sino nel fondo delle loro miserie… questa “brava gente”, senza avere un minimo di gusto per la bellezza, la giustizia, la libertà, si è permessa di massacrare milioni di persone in nome di una “razza superiore”?… lo diciamo perché abbiamo giudicato e non c’importa nulla di essere giudicati! Per un fatto di squisita giustizia sociale e restituzione della dignità alle vittime della Shoah, l’intero popolo nazista avrebbe dovuto essere sepolto sotto le macerie della Germania e farne dei campi di ciliegi in fiore… è l’adesione al potere che genera il marcio! Le catene offrono la sicurezza dei falsi idoli e solo la vertigine della libertà li può distruggere!
1 Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979
2 Richard A. Posner, Il piccolo libro del plagio, Elliot Edizioni, 2007
3 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, 1967
4 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, 1967
5 Ives Chiron, Pio XI. Il papa dei patti lateranensi e dell’opposizione ai totalitarismi, San Paolo Edizioni, 2006
6 Karen Bartlett, Gli architetti di Auschwitz. La vera storia della famiglia che progettò l’orrore dei campi di con-
centramento nazisti, Newton Compton Editori, 2018
7 Pino Bertelli, Sulla fotografia della Shoah. L’iconologia dell’orrore nei campi di sterminio nazisti, dattiloscritto inedito.
8 Michel Onfray, L’età dei libertini. Controstoria della filosofia III, Fazi Editore, 2009
9 Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Chiarelettere, 2020
10 Henry David Thoreau, Disobbedienza civile, De Donato Editore, 1968
11 Hannah Arendt, La disobbedienza civile e altri saggi, Giuffrè Editore, 1985
12 Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Chiarelettere, 2020
13 Pino Bertelli, Guy Debord. Un filosofo sovversivo. Per una critica radicale della civiltà dello spettacolo e la rivolta della gioia dell’Internazionale Situazionista, Mimesis, 2015
14 La critica radicale in Italia Ludd 1967-1970, Nautilus, 2018
15 Edward Weston, Ritratti dal vivo. Il rinascimento messicano, l’amore per Tina Modotti, le grandi immagini, Pratiche Editrice, 1999.
16 James Agee e Walker Evans, Sia lode ora a uomini di fama, Il Saggiatore, 2002
17 Margaret Bourke-White, Il mio ritratto, Contrasto, 2003
18 Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, 1985
19 Elie Wiesel, La notte, Giuntina, 1980
20 E.M. Cioran, Quaderni 1957-1972, Adelphi, 2001