“Il potere ha avuto bisogno di un tipo diverso di suddito, che fosse prima di tutto un consumatore!”… “La Chiesa ha fatto un patto col diavolo… un popolo degenerato, mostruoso, criminale… non ho speranze, non mi disegno un mondo futuro, tendo verso una forma anarchica”
Pier Paolo Pasolini
Il cinema in libertà è violazione, discrepanza, eversione, détournement di qualcosa che infrange, rovescia, irride o è ben poca cosa… una scatola magica feconda di verità prostituite al box-office e incartata in prodotti d’immediato consumo… certo… produttori, registi, sceneggiatori, le baldracche (gli attori) da tappeto rosso e perfino i falegnami delle scenografie bramano il successo del film… il cinema è un industria, in fondo, e gli affari sono affari… pochi si arricchiscono e molti (gli spettatori) diventano sempre più poveri in tutto… e continuano a intrecciare la sudditanza emotiva col Mito! Hollywood ha sotto contratto più stelle che in cielo, dicevano i banditi ebrei che l’hanno inventata!… oh! oh! oh!… che non mi s’apostrofi di antisemitismo!… mai fatto il collaborazionista di nessuna Religione, Ideologia o Stato… semmai mi affranco a Pier Paolo Pasolini quando scrive (da qualche parte): “Il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo”! Tutto vero. Di là dai meccanismi di edificazione, distribuzione e fruizione il cinema resta il dispositivo più utile al rincretinimento della percezione pubblica (la Rete è piena di robaccia ma non c’è una vera storia del cinema)! I linguaggi dominanti ne hanno bisogno come le bombe i massacri! Le banche che producono cinema sono le stesse che fabbricano armi! La collusione con governi, partiti, accademie è ben controllata e mantenuta, come si dice delle puttane d’alto bordo, a un tale livello di volgarità che anche il più stupido del parlamento appare intelligente! In fondo amiamo soltanto i proscritti che hanno superato l’idea di Dio, dello Stato, dei Partiti e li hanno liquidati per far posto allo stupore e alla meraviglia dell’anarchia che viene… è per questo che mettiamo così in alto la bellezza evocativa dell’uomo in rivolta!
La “macchina/cinema” è d’annoverare tra i dizionari d’istupidimento generalizzato… e lì ci finiscono letterati sopraffini, geni interrotti o coglioni legiferati… e tutti sanno bene quando cominciare a tradire! Occorre sapere però che ci vuole più intelligenza a fare a meno di un’apologia che introdurla dal vero. Mank (2020) di David Fincher, ne comprova l’affermazione appena detta. Vediamo di fare un po’ di squisito disordine sull’architettura filmica di un prodotto-Netflix… un contenitore d’immondizia che tra centinaia di film/serie-tv da buttare, emerge con un certo battage pubblicitario (fa fine detto così) e dopo un breve passaggio nelle sale cinematografiche, il fantastico Mank.
Il cinema artigianale di David Fincher non ci ha mai interessato… Alien 2 (1992), Seven (1995), Fight Club (1999), Zodiac (2007), Il curioso caso di Benjamin Button, Millennium-Uomini che odiano le donne (2011), L’amore bugiardo (2014)… sono film robusti, a volte intrisi di confusa se non ridicola anarchia (Fight Club)… al cinema si dorme bene, del resto! Ho fatto sogni bellissimi in compagnia di Martin Scorsese, Quentin Tarantino, Steven Spielberg o George Lucas… incapaci di sopprimere “aggettivi” e facili a contrabbandare vergogne intellettuali come arte!… la ricompensa è la celebrità e a questo cappio sono davvero pochi i magnifici randagi che non hanno accettato d’impiccarsi!… come Erich von Stroheim, Luis Buñuel, Jean-Luc Godard o Orson Welles! Oh! cazzo! Mank è proprio d’un genio infranto del cinema che tratta — Orson Welles —, o meglio, dell’affabulazione di uno dei suoi grandi film, Quarto potere (Citizen Kane, 1941): Niente più merda in calze di seta!
Lasciamo perdere le classifiche annuali dei migliori film… qui Quarto potere svetta più incompreso di sempre!… le stilano le solite scimmiette ammaestrate degli studios, dei giornali, registi ecc., utili da leggere in attesa del dentista, delle parrucchiere o nei corsi universitari sul cinema! Welles co-produce, interpreta, dirige il suo primo lungometraggio all’età di 24 anni ed è subito
cinema immenso… poi quasi tutti i film successivi saranno manomessi dai produttori e Welles sarà costretto all’esilio. La sceneggiatura di Quarto potere è scritta da Herman J. Mankiewicz e Welles (che firma anche il soggetto), premiata con l’Oscar nel 1942, ma né Mankiewicz né Welles ci sono per riceverlo dalle mani di un comico banale ma celeberrimo (Bob Hope). Il film è un capolavoro… per i curiosi delle statistiche, quell’anno l’Oscar al miglior film andò a Com’era verde la mia valle di John Ford e per la migliore interpretazione a Gary Cooper ne Il sergente York (1941) di Howard Hawks. Talenti indiscussi di un fare-cinema anche disteso sulla filosofia moralistica, puritana, patriarcale della Frontiera americana.
Gli storici del cinema sono divisi in merito a chi ha scritto la sceneggiatura di Quarto potere… quelli vicini a Peter Bogdanoviich ritengono che è stata redatta da Mankiewicz e Welles, altri come Pauline Kael, che è interamente di Mankiewicz, rivista da Welles… Mank propende per la versione della Kael (critico cinematografico del The New Yorker, un civettuola che vedeva “scialbe” le opere successive di Welles… forse l’aveva confuse con i film di Cecil B. De Mille o di Walt Disney)! A noi non importa un fico secco di chi ha steso la sceneggiatura di Quarto potere, ciò che vale è quello che vediamo sullo schermo e il regista, come Dio, è un grande impostore, e fa di ogni parola-immagine ciò che più vuole a favore o contro l’indifferenza degli idioti. Mankiewicz è un alcolista… non è amato alla corte di Hollywood… ma è anche un brillante giornalista, sceneggiatore e critico teatrale… l’iconoclastia di La guerra lampo dei fratelli Marx (1933) di Leo McCarey è uscita dalla sua penna (anche se non appare nei crediti), come l’ironia sensuale (nella versione originale) di Gli uomini preferiscono le bionde (1928) di Howard Hawks. Il cinema nasce scritto e l’uccidono sullo schermo o è peccato d’indiscrezione!
Mank è tratto da un soggetto del padre del regista, Howard “Jack” Fincher… Welles chiama Mankiewicz a lavorare sull’idea di spodestare dal trono di politico bigotto e arrogante, il magnate dell’editoria William Randolph Hearst (nel film di Welles, Charles Foster Kane). La struttura narrativa avanza a colpi di flashback (come in Quarto potere)… le battute di Mank sul cinema come strumento di persuasione collettiva sono accattivanti — “Se continui a dire cose false alla gente gridandole a lungo è probabile che ti credano”; “Puoi fare tutto se hai il potere di far credere che King Kong è alto dieci piani o che Mary Pickford è vergine a 40 anni!”; “Il vero amore sul grande schermo è cieco” —… esprimono l’amarezza, la dissecazione, l’emarginazione degli inadempienti di Hollywood… ma la sfrontatezza di Mank non sarebbe stata tollerata né da nessun bastardo delle case di produzione, tantomeno nel salotto barocco di Hearst! L’ultima sceneggiatura di Mankiewicz (la biografia “romanzata” del lanciatore di baseball “Dizzy” Dean) è The Pride of St. Louis (1952) di Harmon Jones, Mankiewicz morirà a 56 anni, (quasi) dimenticato, nel medesimo anno a Los Angeles.
Il film di Fincher è una sorta di mosaico elegiaco… i caimani dell’industria dell’illusione ci sono tutti… William Randolph Hearst (Charles Dance), David O. Selznick (Toby Leonard Moore), Irving Thalberg (Ferdinand Kingsley), Louis B. Mayer (Arliss Howard)… Marion Davies, l’amante di Hearst, è delineata nella figura ascetica di Amanda Seyfried (impegnata a fare puzzle e scolare bottiglie)… Welles (Tom Burke) è tenuto giustamente in ombra rispetto a Mankiewicz (interpretato in stato di grazia da un magistrale Gary Oldman)… la fotografia (Erik Messerschmidt), il montaggio (Kirk Baxter), le musiche (Trent Reznor e Atticus Ross), la scenografia (Donald Graham)… concorrono alla riuscita di un film improntato sui canoni-Netflix… restituisce bene l’atmosfera d’un tempo dove gli dèi del cinema facevano rimpiangere la Colt 45 di Calamity Jane… la pistolera del selvaggio West che disse (ma non è certo): “Dio creò gli uomini diversi, la Colt gli ha resi uguali” (o viceversa).
Oldman-Mankiewicz è quasi sempre a letto con una gamba ingessata, ubriaco o perso tra fogli dattiloscritti, whiskey e sedativi… protetto amorevolmente da un’infermiera e una dattilografa… le storielle personali delle due ragazze sono un contorno imbarazzante nel film… c’entrano poco o nulla… all’interno dei flashback (quattro) Mank s’aggira nei set di Hollywood e nel castello di Hearst… disquisisce di fascismo, nazismo, comunismo, socialismo, razzismo, democrazia… più che altro deplora, da perdente, i fasti di una ricchezza da saltimbanchi comune a star, registi, produttori e scribacchini della “città degli angeli”… compreso il fratello Joseph L. Mankiewicz, autore pluripremiato con l’Oscar (per regia e sceneggiature). Fincher è furbo… i padroni degli studi (e in parte anche Welles) sono mostrati nel pieno della loro notorietà e di contro (ma non troppo) l’impossibilità di essere “normale” di Mank e l’ingenuità (quasi cretina) della Davies verso Papi (così lo chiama)… la bellezza non è una viltà che si compromette e in Mank non c’è bellezza autentica!
L’acidità intellettuale di Mank è attenuata molto dalle inquadrature, dall’uso sapiente del digitale (bianco/nero), dalla figurazione destinata al sistema-Netflix (tempi allungati, tagli impropri, inquadrature improvvide o altisonanti, musica distesa sulle sequenze a sottolineare gli stati d’animo)… non ci sono angolazioni olandesi alla Welles (inclinazione laterale della macchina da presa), solo qualche emulazione… nemmeno la visione radicale di Welles in Quarto potere (per niente magniloquente, come scrivono… semmai espressionista fino alla massima sregolatezza del mezzo cinematografico), si riconosce… né la nostalgia del cinema hollywoodiano degli anni dorati, come qualcuno ha detto… tutto è estetizzato secondo la richiesta culturale della Rete… qui anche luna è prefabbricata!
I padroni dell’immaginario sono cambiati, nemmeno tanto… le case di produzione smerciano film come fucili, giocattoli, catene commerciali… sostengono banche, governi, mafie internazionali in bella uniformità… il gioco è il medesimo… sporco e piegato alla ferocia del più ricco… come in epoca staliniana correva il detto — Non ci sono omicidi in Paradiso (quello della dittatura del proletariato che ha fatto un holodomor (infliggere la morte mediante la fame e altri strumenti coercitivi) mai denunciato a fondo nella sua spietatezza! —… e basta vedere un filmaccio pretestuoso , Child 44 (2015) di Daniel Espinosa (con Gary Oldman in una parte secondaria, bravo comunque), per capire che nel cumulo dei mercati c’è l’espropriazione violenta d’ogni parvenza di verità… gli specialisti del possesso lo vogliono!… l’ordinamento dell’immaginario è anche la tomba dei significati linguistici e la costruzione unificata del pensiero segna l’apoteosi della civiltà dello spettacolo! Là soltanto dove gli uomini e le donne sono direttamente legati all’indignazione e al dissidio culturale/politico, il dialogo cessa di essere disarmato e si confronta con la storia universale dell’infamia.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 18 volte dicembre, 2020