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M. Il figlio del secolo (2025) di Joe Wright

Inserito da serrilux

M. Il figlio del secolo (2025) di Joe Wright

«Proverbio cinese: “Quando un solo cane si mette ad abbaiare a un’ombra, diecimila cani ne fanno una realtà” [da qui provengono i campi di sterminio nazisti e i gulag stalinisti]. Da mettere in epigrafe a ogni commento sulle ideologie».
E.M. Cioran

Nella messe d’imbecillità nella quale versa da decenni il cinema italiano, in buona compagnia della critica più servizievole mai vista sulla terra… ecco arrivare la miniserie adorata dagli italiani, tutti, o quasi… anche da quella sinistra sul canapè che ha svenduto/tradito la Resistenza per un po’ di consenso e continua ad asservire gli scranni di dominio con dovizia e obbedienza… sempre prona a cancellare qualsiasi cosa che ha a che fare con i diritti dei lavoratori, delle donne, delle migrazioni, delle diversità, della difesa del pianeta… una sinistra senza rimorsi, un misto di grossolanità e ideologia che determina la sua infausta dottrina… una sinistra che figura un narcisismo funebre, nella quale tutti i pensieri/discorsi assomigliano ai gemiti di un verminaio calpestato da angeli balordi.

Della destra, quale che sia, ci interessano solo quelli che sono finiti davanti al plotone d’esecuzione per aver commesso crimini contro l’umanità… le stragi nazi-fasciste di partigiani e civili non si possono né si devono dimenticare. Il fascismo è stato un’operetta tragica e il capocomico, Benito Mussolini, un piccolo uomo arrogante, piuttosto ignorante, che ha affascinato milioni di italiani in camicia nera… l’olio di ricino era la sua ostia, il manganello il suo aspersorio! I Savoia, gli industriali, gli intellettuali, i preti l’hanno fatto assurgere a mito dell’Italia fascista nel mondo e l’hanno deposto quando gli stessi Savoia, gli stessi industriali, gli stessi intellettuali, gli stessi preti hanno iniziato a fare affari con gli Alleati che bombardavano il Paese… di colpo un intero popolo è passato dalla camicia nera a quella democristiana e comunista… è l’esordio della società dello spettacolo che porterà alla sepoltura d’ogni bellezza e d’ogni giustizia, piegati al nuovo analfabetismo culturale/tecnologico che spianerà la strada al nuovo fascismo. In verità, bieco e vanaglorioso quanto l’altro fascismo, ma ancora più pericoloso, poiché somiglia al ghigno di un idiota che si abbevera alla mistica della domesticazione sociale… finiamola qui… tutte le acque della politica hanno il colore dell’annegamento, della prostituzione o del delitto impunito… quando tutto ferisce gli spiriti liberi, anche il paradiso sembra troppo brutale.

Di M. Il figlio del secolo… diciamolo subito, la miniserie diretta da Joe Wright è brutta, noiosa, macchiettistica, almeno quanto l’omonimo romanzo di Antonio Scurati dal quale è tratta. Va detto… non siamo riusciti a leggere fino in fondo il libro di Scurati, perché a ogni pagina ci assaliva una sorta di smarrimento che rendeva un’idea di suicidio preferibile alla volgarità politica di un domatore di pulci a Palazzo Venezia: “non ci si annienta in Dio se non per essere Lui stesso” (E.M. Cioran). Ogni apologia è una bara appesa a un salice piangente ed è il ricamo della crudeltà di un tiranno che non rinuncia alla sua bava di celebrità.

La miniserie televisiva di Wright, otto puntate interminabili, affastellate di approssimazioni storiche e inadeguatezze attoriali da far resuscitare il buonismo familiare del cane Lassie a Hollywood… ci racconta l’ascesa al potere di Benito Mussolini, dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento del marzo 1919 al Discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925… conosciuto anche come Discorso di Mussolini sul delitto Matteotti… generalmente considerato come la nascita della dittatura fascista che finirà nel 1945 — con la fuga del re d’Italia, imperatore d’Etiopia, Primo maresciallo dell’impero e re d’Albania (al seguito dell’alto commando militare) a Brindisi, e Mussolini appeso per i piedi (con Claretta Petacci e i suoi accoliti) a un distributore di benzina a Milano —. Il fascismo sarà stato tutto, tranne che intelligente.

Il figlio del secolo si chiude con l’arringa di Mussolini contro l’ignavia dei parlamentari delle altre forze politiche, ma Wright dimentica o non vuole ricordare che il vecchio capo dei socialisti, Filippo Turati, rispose al Duce con un discorso altrettanto duro e irriverente, passato alla storia come — “Il Parlamento è morto” o “Il bivacco della Camera” —, e diceva: «La Camera non è chiamata a discutere e a deliberare la fiducia; è chiamata a darla; e, se non la dà, il Governo se la prende. È insomma la marcia su Roma, che per voi è cagione di onore, la quale prosegue, in redingote inappuntabile, dentro il Parlamento. Ora, che fiducia può accordare una Camera in queste condizioni? Una Camera di morti, di imbalsamati?». Il crepuscolo degli idoli avviene sempre troppo tardi. I rigurgiti del fascismo siedono ora in Parlamento… in attesa, forse, di riattivare la lebbra fascista in un’altra giovinezza in camicia nera e il saluto romano… una nuova operazione di macelleria assolta dal popolo, da dio e dalla patria.

La regia dell’inglese Wright, autore di un film notevole, L’ora più buia (2017), interpretato da un Gary Oldman a dire poco strepitoso… si dipana in una sequela di facili irruenze scenografiche… i personaggi sembrano muoversi all’insegna della caricatura… a partire da Benito Mussolini (Luca Marinelli). Marinelli, va detto, è un attore che passa da interpretazioni eccellenti — La solitudine dei numeri primi (2010) di Saverio Costanzo o Non essere cattivo (2015) di Claudio Caligari o Martin Eden (2019) di Pietro Marcello o Le otto montagne (2022) di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch… a ruffianerie mercantili come La grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino o Fabrizio De André Principe libero (2018) di Luca Facchini o Diabolik (2021) dei Manetti Bros… capisco che anche gli attori debbono mangiare, ma una certa dieta artistica farebbe bene al corpo, alla testa e alla coscienza.

Il faccione da contadino romagnolo un po’ rozzo di Mussolini è stato interpretato da Rod Steiger, Mussolini ultimo atto (1974) di Carlo Lizzani e Il leone del deserto (1981) di Moustapha Akkad; Mario Adorf, Il delitto Matteotti (1974) di Florestano Vancini; Fernando Briamo, Claretta (1984) di Pasquale Squitieri; Bob Hoskins, Io e il duce (1985) di Alberto Negrin; Massimo Popolizio, Sono tornato (2015) di Luca Miniero; Vincenzo Pirrotta, Il cattivo poeta (2020) di Gianluca Jodice, Duccio Camerini, C’era una volta il crimine (2022) di Massimiliano Bruno; Claudio Spadaro in quattro produzioni: Un tè con Mussolini (1999) di Franco Zeffirelli; Maria Josè, l’ultima regina (2002) di Carlo Lizzani; Mafalda di Savoia Il coraggio di una principessa (2006) di Maurizio Zaccaro; Trilussa. Storia d’amore e di poesia (2013) di Lodovico Gasparini… facciamola corta… se togliamo alcune figurazioni del dittatore di un certo rilievo (Rod Steiger, Mario Adorf), il resto rientra nella maniera, nel codificato, nell’accattivante. Basta vedere i cinegiornali del Duce per cessare di ridere di lui… era ridicolo, sì, tuttavia non così tanto per essere amato da un intero popolo e dalle classi borghesi da farne un funesto dominatore per venti anni.

Marinelli deve aver assimilato il Mussolini di Jack Oakie (Bonito Napoloni) ne Il grande dittatore (1940) di Charlie Chaplin… forse la più banale parodia di Mussolini mai apparsa sullo schermo… almeno quanto quella di Ettore Petrolini in Nerone (1930) di Alessandro Blasetti… molti critici hanno visto in Nerone quello che non c’era… una satira antimussoliniana… cosa poco improbabile visto che sia Petrolini, sia Blasetti erano fedeli servi del regime. Il Mussolini di Marinelli è una confezione di luoghi comuni… un fenomeno epocale… amato dalle folle, dalle donne, dagli uomini, dalla moglie semianalfabeta… si era avventurato in una politica mascherata da scienza… giunta all’instaurazione di una tirannia che ha portato alla rovina un’intera nazione… esclusi pochi coraggiosi oppositori… il successo di Mussolini si deve a una classe politica corrotta, un re da baraccone dei bussolotti, il ceto imprenditoriale che ha foraggiato un istrione più tronfio del suo faccione da scemo, intellettuali e puttane d’alto rango e, soprattutto, per merito di un popolo di voltagabbana sempre prono a leccare il culo al nuovo padrone.

I personaggi di contorno del Duce… Cesare Rossi (Francesco Russo), Margherita Sarfatti (Barbara Chichiarelli), Rachele Mussolini (Benedetta Cimatti), il generale Guglielmo Pecori Giraldi (Claudio Bigagli), Roberto Farinacci (Gabriele Falsetta), Amerigo Dumini (Federico Majorana), Gabriele D’Annunzio (Paolo Pierobon), Cesare Forni (Daniele Trombetti), Italo Balbo (Lorenzo Zurzolo), Vittorio Emanuele III (Gianluca Gobbi)… e così via fino all’estenuazione delle figurine fasciste che svolazzano intorno a Mussolini… vanno a costituire un teatro delle marionette, nemmeno ben fatto… ammorbato in ammazzamenti, schiamazzi, entusiasmi da filodrammatici… il flagello del fascismo resta in secondo piano per tutta la miniserie… anche l’assassinio di Matteotti è condotto tra la boutade alla romana e l’avanspettacolo parlamentare… fascismo significa essere condannati a una condizione di schiavitù… dittatura e catena sono sinonimi.

La sceneggiatura di Stefano Bises, Davide Serino, Antonio Scurati… è un’accozzaglia di eventi che sembrano accadere un po’ per caso o per intervento divino del Duce… i dialoghi ruminano pagine di storia che nemmeno i fumetti meno seri concepiscono… il montaggio di Valerio Bonelli è un’incrostazione di sequenze abborracciate del regista che sembra sedotto dagli aneddoti e passano da un quadro all’altro con la semplificazione di un venditore di pentole… la scenografia poi… costruisce Milano, gli assalti alle tipografie dei giornali socialisti, le bastonature degli antifascisti, i massacri dei contadini, la marcia su Roma, le feste dei Savoia, le orge dei fascisti, la bonomia di Donna Rachele, la sessualità della Sarfatti, la scurrilità del Duce… sulle macerie della verità, un campo di stordimenti a metà strada fra la santità e la vita agra del Ventennio nero. La fotografia di Seamus McGarvey e la musica di Tom Rowlands condiscono il tutto in un’annientazione artistica in concordanza più col mercato televisivo che con l’architettura filmica di un’era dell’incultura… la scolastica della noia di M. Il figlio del secolo non è che un’assenza di creatività… è il flauto del diavolo fascista che suona all’inferno dell’uomo… è il fascismo obliterato che elude, omette, farfuglia ciò che è stato (impiccatore di partigiani) e ha fondato il suo potere sulla delazione, la complicità e il delitto… il tramonto del pensiero fascista è tutto ciò che non è più intimidazione, sofferenza, terrore e attraverso la resistenza al presente, diviene irrimediabilmente storia tra liberi uguali.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 7 volte marzo, 20025

Benito Mussolini

 

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