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Lubo (2023), di Giorgio Diritti

Inserito da serrilux

Lubo (2023), di Giorgio Diritti

A Bru’, di fiori di campo vestita, Lino, il guerriero della commedia dell’arte e Serrilux, un’apache dalla pelle di luna,
perché non hanno mai firmato nessun trattato di pace con i lunghi coltelli!

“I padroni, che schiattino! All’istante! Putridi rifiuti! Tutti insieme, o uno alla volta! Ma subito! Seduta stante! Illico et immediate! Neanche un secondo di pietà!
Di morte atroce o soave! Me ne sbatto! Ah, non sto nella pelle! Soldi per salvarli, Tutta quanta la razza, non ce n’è più! Al carnaio, sciacalli! Nella fogna!”.

I. La scolastica della distruzione dei bambini Jenisch nella patria dell’orologio a cucù

Il cinema italiano corrente è una sommatoria cimiteriale di creatività… la bonomìa, la ruffianeria, la piaggeria, l’imbecillità producono infallibilmente brutti film, sovente premiati nei Festival internazionali, David di Donatello, Nastri d’argento & affini… in massima parte sono prodotti raffazzonati sia nella costruzione filmica che in quella attoriale… seguono le esigenze del mercato… le baracconate di Hollywood, insegnano… l’uomo è la merce che ingozza… le stronzate vanno bene a tutti… l’infezione della stupidità è contagiosa.
La politica dei partiti, liste civiche, associazioni istituzionali, movimenti che sostengono quel candidato europeo o quell’altro… dove tutti sono d’accordo in materia di libertà, democrazia, salvaguardia del pianeta, rispetto delle minoranze, mercato delle armi, delocalizzazione delle fabbriche, saccheggio del petrolio, dell’oro, dell’acqua, del gas… rispecchia l’oppressione e lo smarrimento del nostro tempo. La servilità elettorale sembra riabilitare despoti, profittatori, parassiti e in bella disinvoltura le folle appoggiano guerre, indici delle Borse internazionali e crimini contro l’umanità. A ragione, Simone Weil auspicava la soppressione dei partiti politici, “perché i partiti sono organismi costituiti in maniera da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia”… per sospendere i misfatti della storia c’è un solo modo, cambiarla alla radice. A fior di labbro: per sbaragliare la dittatura del presente occorre tornare alla “propaganda dei fatti” e mettere fine alla schiavitù volontaria.

L’italietta catto-fascista di questo millennio (il lebbrosario della sinistra fa paura solo a se stesso) vuole gli spettatori tutti in fila al botteghino dei cinema o sulle piattaforme della Rete

in “un’auto-estraniazione che le permette di vivere il proprio annientamento con un godimento estetico di prim’ordine” (Walter Benjamin)… la sinistra alla crema rancida non si lascia sfuggire il plauso per commediole che figurano inni al mattatoio femminista di un domani che c’è ancora ma è tutto deposto nella scheda elettorale… ma davvero credete che se votare in questo modo e a questo prezzo i padroni dell’immaginario vi farebbero votare? La democrazia è molto interessante… come Mark Twain diceva della Bibbia… contiene speranze per la famiglia, promesse argute, storie sanguinose, buoni principi morali, una miniera di oscenità e migliaia di menzogne… si tratta di non discutere mai con degli idioti, perché ti trascinano al loro livello e ti battono con l’esperienza, sosteneva l’autore di Le avventure di Huckleberry Finn… la politica, come la religione, è stata inventata quando il primo impostore ha incontrato il primo stolto.

lubo

Di là dalla degradazione a merce del cinema italiano… c’è sempre qualche autore che sfugge alle regole del giogo… uno di questi è Giorgio Diritti, un passatore di confine che attraverso film come Il vento fa il suo giro (2005), L’uomo che verrà (2009), Un giorno devi andare (2013), Volevo nascondermi (2020) è approdato a Lubo, un’opera bella quanto aspra e tenera al contempo, che tratta la storia di una famiglia jenisch (terza maggiore popolazione nomade dopo i Rom e i Sinti in Europa) sottoposta al progetto di pulizia etnica nella Svizzera degli anni ’30… voluto dalla fondazione svizzera Pro Juventute e dal 1926 fino al 1973 è stato fatto passare sotto il nome di “Opera assistenziale per i bambini della strada di campagna”.

Il primo presidente della Pro Juventute è stato Ulrich Wille junior, un appassionato di Hitler e dei più alti gerarchi nazisti (raccoglie anche i soldi degli industriali svizzeri per sostenere l’ascesa del caporale a Führer della Germania nazista), rimane in carica fino alla sua morte nel 1959. La patria del cioccolato, dell’orologio a cucù, delle banche connesse con saprofiti d’ogni razza (finanzieri, politici, dittatori, terroristi, mercanti d’armi, imprenditori facili al saccheggio del pianeta…), ha sostenuto per quasi cento anni il programma di eugenetica (il miglioramento della specie umana) sulle popolazioni jenisch che costringeva i bambini a processi d’assimilazione forzata… ci sono stati anche ripetuti casi di abusi sessuali da parte degli educatori della Pro Juventute… si stima che siano stati oltre 2000 i bambini jenisch rapiti e rinchiusi in riformatori, manicomi o famiglie affidatarie. Solo dopo un’ondata di scandali giornalistici che hanno smascherato i crimini della Pro Juventute, il governo svizzero ha chiesto scusa al popolo jenisch ma non ha smantellato l’organizzazione che è tutt’ora presente in tutta la Svizzera con cinque uffici regionali.

Sotto l’eleganza perfetta degli svizzeri si cela il mantello nero del boia.

La filosofia svizzera è un pensiero che si spande (come si dice dello sterco di vacca quando si allarga), alla maniera di Cioran… diffidare delle cordialità e raffinatezze elvetiche dal sorriso unico, poiché contiene bassezze che portano al banditismo protetto da capi di Stato, governi, tiranni, principi sauditi… e, in combutta con Wall Street, di fatto sono il governo sovranazionale del mondo.

Le vicende tragiche della Pro Juventute sui rapimenti dei piccoli zingari e la distruzione di famiglie e vite non considerate conformi alla “razza elvetica”… sono state trattate in film come I figli della strada aperta (1992) di Urs Egger, Dove cadono le ombre (2017) di Valentina Pedicini o Nebbia in agosto (2017) di Kai Wessel, un lavoro di toccante bellezza poetica… il libro autobiografico di Mariella Mehr, La bambina (2006)… racconta delle violenze subite in ospedali psichiatrici ed elettroshock… una ferrea denuncia sulle discriminazioni e persecuzioni di una minoranza promosse dal governo svizzero.

La scolastica della distruzione dei bambini jenisch nella patria dell’orologio a cucù rimanda alla politica d’igiene razziale degli imprigionamenti e gassificazioni del regime nazista.

II. Di Lubo

Svizzera1939. Lubo (Franz Rogowski) è un artista di strada jenisch che si esibisce nelle piazze con la moglie e i tre bambini in scenette metaforiche (come in apertura del film, da orso diventa una donna-farfalla)… Lubo vive da uomo libero, suona la fisarmonica, viaggia con il suo carro nel paese… la polizia lo requisisce ed è costretto a fare il militare nell’esercito elvetico a difesa dei confini nazionali da un’eventuale invasione tedesca… una notte il fratello gli porta la notizia che la polizia ha sequestrato i tre figli e la moglie è morta nella colluttazione… Lubo colmo di rabbia per l’ingiustizia subita, diserta dall’esercito e diventa un contrabbandiere… uccide a sassate il corriere austriaco che aiuta a esportare clandestinamente in Svizzera i gioielli degli ebrei perseguitati da Hitler… s’impadronisce anche della sua identità.

La ricerca dei figli è estenuante e anche l’ascesa sociale mostra una feroce requisitoria contro il mondo borghese che ha distrutto la sua famiglia .

Lubo raccoglie documenti e testimonianze dei rapimenti di massa e sulla “rieducazione” dei bambini nomadi… visita gli istituti dove sono reclusi senza mai ritrovare i propri figli.

Quando sta per formare una nuova famiglia, la verità sul suo passato emerge e finisce in prigione… ma affida tutta la documentazione a un commissario “pulito” affinché si arrivi alla verità.

La regia di Diritti è raffinata, forte, poco incline a uno sguardo superficiale… la sceneggiatura di Diritti e Fredo Valla è tratta liberamente dal romanzo di Mario Cavatore, Il seminatore, e ripercorre i soprusi di cui furono vittime gli “zingari bianchi” di etnia Jenisch.

Franz Rogowski interpreta Lubo in maniera magistrale… un’asciutta recitazione avvolta in un linguaggio particolare (si parlano tre lingue) che ne fa una vera e propria icona dell’emarginazione e del riscatto che ne consegue.

Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noémi Besedes… esprimono un’attorialità senza fronzoli e portano nel film quella sensazione di misurata veridicità.

La fotografia di Benjamin Maier è avvolgente… impressionista, lavorata sui toni del rosso, del nero e del marrone… una sorta di sinfonia visiva che insieme al montaggio atonale di Paolo Cottignola e Diritti, l’apporto musicale di Marco Biscarini e la scenografia di Giancarlo Basili, infondono al film una severità architetturale che lo proiettano tra le migliori opere del cinema italiano degli ultimi anni.

L’essenzialità dei dialoghi è una piccola lezione su come e cosa il cinema racconta o denuncia… un esempio:

“Lubo: Quando ero soldato, i gendarmi avevano ammazzato mia moglie e si erano presi i miei figli. Sono scappato”.

“Lubo: È una vittima di guerra! Una delle tante guerre idiote che rubano la vita!”.

“Lubo: Io non sono un mercante, sono uno zingaro”.

“Margherita (Valentina Bellè): Basta che sei buono”.

Lubo è un film-dispaccio sui diritti umani… un grido di rivolta e di speranza di quanti sono sempre stati vessati dal potere, quale che sia… qualcosa che ha a che vedere con la sofferenza, con l’esclusione, con la deportazione… e Diritti ce lo porge in una cartografia svaligiata dalla storia… mostra che tutti gli autoritarismi sono il passato che viene e il cielo della libertà comincia all’altezza del bastone… i nomadi, i migranti, i dannati della Terra sono condannati per le loro diversità e ovunque la verità viene violentata dai governi che li confinano in campi della vergogna o li eliminano con guerre e persecuzioni… è difficile fermare il corso delle cose, se non con un’autentica rivoluzione generazionale… poiché l’economia politica e militare detta le leggi del profitto è dà il colpo di grazia all’indifferenza generalizzata e a tutti i movimenti insorgivi che lottano per decretarne la fine.

L’odio e la schiavitù hanno lo stesso cattivo odore… basta la passata di un politico, un papa, un generale o uno scemo qualunque in televisione per dimenticare secoli di iniquità… l’apparenza non è altro che lo specchio illusorio della partitocrazia che lavora sui ceppi della domesticazione sociale e gli scranni del parlamento sono un covo di serpi che fanno della delega o della rappresentanza il bordello senza muri della mediocrazia.

Solo quando gli uomini del no! avranno infranto quello specchio d’illusioni, e solo allora, gli uomini potranno conoscere lo stupore di un mondo di pace, bellezza e giustizia.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 22 volte giugno, 2024

Manifesto per una fotografia dei diritti umani resistenza sociale, disobbedienza civile e poetica dell’immagine

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