“Bisogna aver in sé il caos per partorire una stella danzante… Ciò che non mi distrugge mi rende più forte…
Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male…
Meglio esser pazzo per conto proprio, anziché savio secondo gli altri”.
Friedrich Nietzsch
I. Storiella apocrifa sulla filosofia del fiore di Loto
Dissolvenza sul blu.
C’era una volta e una volta non c’era il fiore di Loto… in principio nasce nell’Asia antica… poi si è sparso un po’ ovunque, più ancora dove vuole… è il fiore più antico del mondo — 0ttanta milioni di anni fa — dicono gli studiosi di scribi-amanuensi, quelli che prima dell’invenzione della stampa copiavano manoscritti e discorsi orali, naturalmente al servizio dei potentati del tempo, anche le donne (invero poche) facevano parte di questa categoria… gli scribi erano uomini liberi, gli amanuensi, generalmente, schiavi —. Il fiore di Loto ancora fiorisce là dove l’ambiente esterno vorrebbe schiacciarlo… per chi lo ama prende il significato di purezza ed elevazione spirituale… per altri, sognatori senza livrea, vagabondi delle stelle o giardinieri di anime belle… è una visione di perfezione, eleganza, bellezza e grazia… contiene tutto il cielo e tutta la terra… anche la fame, la sete degli uomini, delle donne, dei bambini, dei folli, dei poeti… e chi inciampa nella vita, la sua allegrezza lo aiuta a rialzarsi… porta in sé l’oblìo di saggezze ancestrali e creazione di valori che hanno a che vedere con la rivoluzione dell’umano!
Il fiore di Loto risponde a una filosofia dell’identità, a una scrittura passionale, a una pefettibilità del vivere che respinge le diseguaglianze sociali… chi lo raccoglie o le depone nel proprio viatico verso la completezza di sé, lo considera sacro… le grandi foglie rosa, rosse, gialle e bianche lo mantengono pulito… la sua leggiadra bellezza emana un profumo misterico, avvolgente, quasi angelico… le sue radici sono immerse nell’acqua sporca di fiumi, laghi, stagni, paludi, pozze, tra sassi, pesci dispettosi e insetti maliziosi… il seme maltrattato, ammaccato, trafitto… si apre solo quando vuole debuttare sulla madre terra… e lì germoglia e sboccia in promesse d’amore che aiutano a superare avversità, perdite, malattie, ostacoli della vita… riesce a raggiungere la luce e donare, a chi lo vuole, la sacralità dell’eterno che si fa liuto, canto, officina!… raccoglie in sé le cadute, il rialzarsi ed effonde orizzonti in gocce di rugiada… il fiore di Loto non ha patria né simulacri da dispensare, tantomeno confessioni e assoluzioni da imporre… il suo insegnamento di pace non insegna, avvolge di verità meteche l’essenziale, dove ogni parola diventa azione e ogni allievo è un allievo di troppo!… nessuno salva nessuno, ci si salva insieme! E poi i sommersi e i salvati non hanno scampo… o si libera la mente da tutte le scorie imposte dall’oppressione dell’uomo sull’uomo o il cuore muore in sommari di decomposizione!
Anche per quelli che smarriscono mille volte la strada trovano nei petali del fiore di Loto, accoglienza, condivisione, amorevolezza… né santi né peccatori, ma persone che attraversano le parole e ne fanno ghirlande d’amore lanciate nel vento… è un fiore di pace e dove regna la pace là c’è giustizia!.. quando fiorisce si apre alla comprensione profonda e potente dell’esistenza! Migliaia di fuochi possono essere accesi da un singolo fuoco e la luce del fuoco è la medesima ovunque… getta nella cenere, guadagni, esaltazioni e reputazioni… a volte basta accendere un fuoco d’amore dentro di noi, perché tutto intorno a noi muti… lo stolto ammira l’incendio, il giusto ci cuoce il pane e lo spezza con chi non ne ha! I castelli sono costruiti sulla sabbia, le capanne sulla roccia… basta dare fuoco ai castelli e portare la sua luce alle capanne, poiché la conoscenza nasce dal fuoco interiore e lì ritorna nell’arte di gioire!
Il profumo inebriante del fiore di Loto soffia dove vuole e ne senti la dolcezza, ti avvolge fin dentro il corpo, il cuore, l’anima, ma non sai da dove viene né dove va… e si ritrova perfino nei desideri, nei piaceri, nei sogni di tutti quelli che preferiscono dare invece che ricevere… e trascolorare tutte le avversità nello stupore e nella meraviglia… va da sé… se quel Buddha (o il Risvegliato) ne ha fatto un pensiero universale (disseminato nel Sutra del Loto) e disposto ne I pilastri del sapere, La retta cognizione, Il modo di vivere, Lo stolto e il savio che sono alla base di tutte le illuminazioni che portano alla letizia, senza possedere alcun bene, dell’uomo appassionato!
Allora il Buddha si voltò verso i suoi discepoli e donò loro le sue ultime parole: “Imparate che ogni vita è soggetta a questa legge; quando la luce della conoscenza avrà disperso le tenebre dell’ignoranza, quando ogni esistenza sarà stata vista come senza sostanza, la pace scaturirà proprio nel momento in cui la vita giunge al termine; sembrerà che una lunga malattia sia vicina ad essere guarita”1. Oh!… cazzo!… qui riconosco quanto diceva il mio maestro in anarchia, Pëtr Alekseevič Kropotkin ne Il mutuo appoggio2, Pierre-Joseph Proudhon di Che cos’è la proprietà?3 o Emma Goldmann in Anarchia, femminismo e altri saggi4… e cioè che l’odio si alleva nell’odio e la preparazione al risveglio degli uomini passa dalle passioni e dai desideri che illuminano la ribellione delle genti… siccome “autorità e servilismo vanno sempre di pari passo” (Pëtr A. Kropotkin), bisogna contrastare tutto ciò che procura tormento e cercare il piacere di vivere tra liberi e uguali!
Per chi come me è nato nella pubblica via e non si è fatto mancare nulla in fatto d’insuccessi, resurrezioni e perfino di sovversioni non sospette dell’immaginario disperso tra i baci al profumo di tiglio e l’odore della dinamite… l’assunzione del fiore di Loto come metafora, metonimia o utopia… corrisponde ad un atto sacrilego commesso contro il prontuario bifido delle religioni monoteiste, dei partiti, dei governi e financo dei glossatori di speranze, salvezze e licenze al conforme… tutta gente che ci ha fatto crescere quel tanto d’indignazione da farci scampare al consenso, al successo e al bidet… è imperdonabile che anche le teste più fini non siano inclini a comprendere che ascoltare le lacrime secolari degli ultimi è un aiuto più importante dei vangeli… almeno suscitano una qualche riprovazione contro la barbarie dei buoni sentimenti!
A nostro disdoro, va detto. Sono l’agnostico più disadattato tra i disadattati che ho incontrato e anche il più incline al rovesciamento di prospettiva di un mondo rovesciato, senza onori, né gloria, né conferimenti economici… le statue nei parchi le lasciamo a quel re, quel tiranno o a quell’eroe o santo… che per eguagliare Dio hanno prodotto bagni di sangue innocente… senza riscuotere il solito imperituro tripudio… in questa disancorata marginalità che m’accompagna sulla lama affilata dell’utopia, credo che possa essere più povera di me soltanto una puttana sfiorita, senza più clienti… mi sembra di sentire qualcosa di affine più col silenzio nobile di questo fiore che irradia conoscenza, vitalità e amore, che con la fermentazione, le scorie, la feccia della civiltà dello spettacolo, dove i ricchi si fanno più ricchi e violenti, gli impoveriti più servi e umiliati. Il mistero alchemico di un fiore, dunque, può aiutare a liberare tutto quello che viene soggiogato nelle morali, nei codici, nei pregiudizi e soprattutto a disvelare tutto quello che si detesta… lo dirò chiaro… se non avessi conosciuto il profumo del fiore di Loto (o forse era una rosa di campo? o una stella blu tra la finestra e il cielo?), visto i ciliegi in fiore e danzato Non, je ne regrette rien con quella ragazza francese sulle barricate di un Maggio indimenticabile (che prese il mio basco e l’appese a una nuvola)… sarei potuto diventare un assassino delle “buone intenzioni”… ma non tutti hanno avuto la fortuna di nascere nei pidocchi e passare un’infanzia povera ma pazzamente felice!
Che c’entra il fiore di Loto con la fotografia? Nulla credo! o forse molto! Come la musica di Mozart in un parlamento di iene e barboncini! I libri, le fotografie, i film e ogni forma d’arte non servono a niente se si digeriscono come si legge un giornale, si fa una preghiera o si canta un inno nazionale… ogni situazione del comunicare deve frugare nelle ferite della propria epoca, allargarle, essere un pericolo o attentare al dizionario criminogeno dell’ordinamento che ne detta le corone di spine… altrimenti è un’opera fallita!
II. Dio è morto a Hiroshima e la fotografia del fiore di Loto l’ha sotterrato a Nagasaki
“Il solo anarchico sconfitto ma non vinto, è quello ucciso!
E poi non è così tanto facile cancellare i suoi principi di fratellanza, uguaglianza e libertà!”.
(Un clochard ubriacone di buona famiglia, aveva studiato economia politica alla Bocconi e per questo aveva scelto la strada,
dove è morto di freddo sotto i portici dell’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano).
Dissolvenza sul nero.
Non c’è una via per conoscere la fotografia, la fotografia è la via… quando la fotografia spacca tutte le credulità e denuncia la violenza impunita dei potenti, spezza anche tutti i legami con la soggezione teologale dei governi, delle fedi, delle ideologie e compie un primo passo sulla via del risveglio… poiché nessuna cosa vivente deve essere uccisa, non il più piccolo animale o insetto, perché ogni vita è sacra, diceva quello che prendeva le elemosine in un cranio d’uomo… qualcuno lo chiamava Buddha! Ogni fotografia è una goccia di verità a fianco degli ultimi o inganno a compiacenza degli stolti… Dio è morto a Hiroshima e la fotografia del fiore di Loto l’ha sotterrato a Nagasaki, e lì c’e rimasto nell’impudore della sua storia!
Il 6 agosto del 1945, tre bombardieri americani B-29, Enola Gay (quello che aveva il compito di sganciare la prima bomba atomica della storia), Great Artiste (dove gli scienziati analizzavano l’operazione) e Dimples 91 (che si occupava delle riprese cinematografiche)… assistettero tra inorriditi e affascinati all’ondata di distruzione sprigionata da una nuvola gigantesca a forma di fungo sulla città di Hiroshima… c’e da dire che la Germania si era arresa il 7 maggio 1945 e l’Italia fascista aveva cambiato padrone… prima stava col nazismo, ora con gli Alleati… il “Little Boy” (“Piccolo bambino”) esplose con una potenza di 13 mila tonnellate di tritolo, facendo sull’istante 80 mila vittime che divennero 350 mila entro la fine dell’anno, e ancora migliaia in quelli successivi. Il 9 agosto ci fu la replica su Nagasaki… i trucidati furono più di 200 mila… le bombe atomiche sul Giappone chiudevano l’ultima pagina della seconda guerra mondiale che, come sappiamo, era come sparare agli usignoli mezzi morti dal freddo nei parchi pubblici!
La fotografia, leggera, tra noi, amore mio… è forse il modo migliore per avvicinarsi agli altri e invitarli a riflettere sulle nostre sconfitte o giubilare sulle possibilità che gli uomini, le donne hanno di rigettare il falso a favore dell’autentico… quantomeno di riconoscere che la munificenza della civiltà spettacolare si fonda sulla cattività che la sottende… le fotografie di Hiroshima e Nagasaki sono più vicine all’amore o alla parola che le schiude dall’imbarazzo di barattare terrori inconcepibili con i fraseggi da tribuna… fuori dai rituali religiosi, politici o istituzionali disseminati sui sagrati dei vinti e dei vincitori… e contro le spartizioni delle ricchezze di questo o quel Paese sconfitto… quelli che erano nemici, subito dopo si trascolorano in alleati e oppressori dei medesimi sfruttati di prima! “La pietà? Frugate le cattedrali: solo gli schiocchi continuano a inginocchiarvisi” (E.M. Cioran)5! La ragione? La trovate impiccata agli sportelli delle banche! La verità? La bellezza? La libertà?… sono tutte concessioni dei padroni dell’immaginario che hanno fatto della disonestà, del raggiro e del servaggio i covi della loro inveterata disumanità.
La fotografia non mente, mai!… ecco perché non è solo riservata al poeta o al citrullo… crede in ciò di cui bisogna credere e quando è impostura, tradimento o adulazione, mostra il fanatismo, l’ottimismo o il trionfo da tarati… basta niente, basta poco o forse nemmeno importa fare-fotografia per affermare, tremando, che quando si promette tutto, non si offre nulla al dolore infinito che il tempo dei saprofiti divora! Occorre comprendere dunque… che la fotografia è una grammatica né mite né crudele, facilita l’ingiuria quanto la bellezza che contiene il vero e il falso, nell’imperfezione di un’altra verità!… è indecoroso fare il fotografo, quanto il ruffiano o il sacrestano… poiché quasi sempre è un benefattore o bravaccio di qualche regno!… almeno Don Chisciotte s’inventava le proprie sconfitte, senza mai permettere ai giganti della brutalità di ucciderlo!… gli abatini della fotografia s’ammonticchiano sulla buffoneria degli incompresi o dei suggeritori di facezie, e finiscono comicamente su ribalte di seconda mano! I maestri non mancano a nessuna replica… tormentati dagli applausi si strozzano sul trompe-l’oeil della sciocchezza… incapaci di capire che solo i cattivi fotografi sono liberi, perché non appartengono a niente e a nessuno, né allo Stato, né a Dio, né alla società! Ommadonna! L’abbiamo detta grossa!… sento già l’abbaiare dei cani poliziotti!… e l’agitazione degli ottimisti obbligatori… è qui che mi assale la malinconia per le pignatte degli anarchici di fine ‘800… che un senso ce l’avevano… quello di far saltare in aria la biancheria intima dei palafrenieri dell’autoritarismo… decisamente erano degli eccentrici che non avevano vergogna di sé… non temevano i fallimenti, nemmeno davanti alle prime macchine fotografiche… venivano sempre un po’ male, sulla ghigliottina o fucilati e buttati nelle bare di legno povero, come i Comunardi!… i pensatori acuti ne tengono di gran conto di questi sovversivi senza rimpianti!… poiché a giudicarla dalle immagini dei genocidi che ha prodotto, la nostra epoca sarà stata tutto, tranne che intelligente!
L’iconografia del terrore di Hiroshima si può riassumere non tanto nel massacro generalizzato, nelle contaminazioni della popolazione, negli sfregi dei corpi, nelle ombre lasciate sui muri dalla deflagrazione atomica… quanto nella serialità del male che coniuga il linguaggio del crimine con quello dell’estasi… il rispetto dei precetti si porta dietro anche la forca che li giudica… l’assassinio è una fatalità del sapere che si schiude a orizzonti di sangue… promuove vigliaccherie elegiache, discopre ere del terrore dispensate nel fiele delle ideologie, dottrine e mercati globali… lo snobismo dell’economia-politica non conosce frontiere… l’epilogo delle coscienze arrese è l’ultima scena di una farsa spettacolare che ha annegato o internato insorgenze generazionali che chiedevano il bello, il buono e il bene comune!
A che pro smascherare l’irrealtà, se basta introiettare la stupidità di una star della politica, della religione, dello sport, della musica, del cinema, della moda o della cucina… per continuare a credere che l’energia nucleare è una pratica necessaria alla crescita del genere umano e non uno strumento della malevolenza che l’affossa?… la pace non si discute sui tavoli internazionali né si piega a interessi guerrafondai dei Paesi ricchi… la pace si conquista a colpi di disobbedienza civile! Costi quel che costi! ʿOmar Khayyām, matematico, poeta e filosofo persiano, lo scriveva, accompagnato da una coppa di vino: “Meglio in quest’epoca pochi amici prendere, meglio farsela alla lontana con la gente di questo tempo. Quegli cui tu del tutto ti affidi, ove tu apra l’occhio della saggezza, (vedrai che) è tuo nemico”6. La fraseologia sulla competenza assassina della bomba atomica è lo spartiacque dell’inconcepibile storicizzato che ha prodotto l’egemonia del delirio.
Del ritratto di donna che stringe in braccio il suo bambino tra le rovine di Hiroshima, preso da Alfred Eisenstaedt nel 1945 — A mother and child in the aftermath of Hiroshima — (vedi, LIFE Picture Collection/Getty Images), e poi se non è così ci va bene lo stesso: madre e figlio sono avvolti in abiti tradizionali… seduti sul tronco di un albero bruciato… non c’è tremore sul volto della donna accarezzato dal vento… neanche lo sguardo del bambino introduce al sopravvissuto… c’è un’antica dignità per qualcosa che nemmeno il fuoco della bomba ha scalfito… una sorta di esulcerazione della verità… la maledizione verso nessun genere di nobiltà d’animo… l’eccidio dell’ingenuità è parte dei disegni economici-politici di governi, partiti e fazioni… e il dileggio della libertà s’accorda sempre con la malvagità che la rammenda!
La fotografia di Eisenstaedt — come ormai sembra essere diventato un eserciziario da ricamo etico-estetico nella fotografia, nel cinema e ovunque un serafino affondi nella manualistica tecnologica i propri vaneggiamenti —… è stata colorizzata da non c’importa chi… i verdi, i marroni, i rossi della donna e del bambino sono messi in contrasto con l’albero nero… c’è perfino il tramonto rosato sui monti… una roba da fanatici del pressappochismo d’annata… coglioni della grafica appiccicata alla fotografia… una degradazione del gusto nella quale nemmeno il boia di Londra sarebbe incappato!… del resto… al fascino della merce non è facile sottrarsi o farne un bottino da esagitati o da reprobi della nullità… il romanticismo degli sciocchi trova sempre buoni clienti che non sanno mai decidersi tra una macchina fotografica o un cesso firmato… sono ridicoli come le scomuniche, ma hanno le loro ragioni… fin quando non sono finite le scorte di demenza non sarà possibile uscire dalle acclamazioni senza remore… che peccato che, per diventare santi della tecnica si debba passare dalla cultura dell’imbecille! L’esercizio della tolleranza è cosa per aguzzini della libertà, perché sottace l’intolleranza del privilegio di decidere le sorti di un uomo, di un popolo o di un pianeta… la fotografia che vale non scende a patti con la soggezione e nemmeno con l’imposizione… scatena l’insolenza che svela o incrina la psicologia delle tenebre della società istituita! Non si deve mai scendere tanto in basso da odiare un sistema di apparenze, negazioni e oltraggi inauditi, si tratta solo di distruggerlo.
Le fotografie delle vittime di Hiroshima e Nagasaki ricordano i cumuli di cadaveri dei campi di sterminio nazisti… per ordine del generale McArthur, quello che portava la pistola col manico di madreperla al fianco e fumava la pipa di granturco… vennero sequestrati la maggior parte dei negativi e fu possibile vedere ciò che era accaduto in Giappone solo nel 1952… la rimozione della carneficina fu quasi totale… ammassi di fatalità abbrutivano smarrimenti e perseguitavano lamenti… non erano previste giustificazioni… al cospetto dell’umanitarismo, gli americani rinnovavano (alla pari d’ogni tirannide) un aspetto d’assassini!
Qualsiasi forma del comunicare è esposta alla manipolazione… dipende da come viene presentata… lo sappiamo… in televisione e dappertutto, una menzogna ripetuta molte volte, diventa la verità!… il linguaggio pubblicitario, quello politico, religioso o culturale s’insinua nell’inconscio collettivo che lo eleva a sintomi di una fede in qualcosa di astratto, legato alla scelta seduttiva che l’affoga… è la filosofia dei simulacri di realtà che mangiano l’anima, ma a che serve poi un’anima se basta una qualsiasi mitologia-proposta mercantile per garantire un mondo irredimibile? Il sistema dominante, dicono — Nietzsche, Dostoevskij, Céline, Cioran e anche il cane bastardo di mia nonna partigiana, Spartaco —, è sempre la voce/volto del lin-guaggio dominante… e proprio per questo ogni sistema è totalitario! Solo nell’aforismario del plagio o del détournement del segno-immagine, il pensiero rimane libero! Sono la forma d’espressione più vera perché è più vicina al silenzio quanto al dissidio!
Yōsuke Yamahata è un fotografo militare giapponese di 28 anni (dell’ufficio propaganda)… il comando lo invia a Nagasaki insieme al disegnatore Yamada Eiji e al poeta surrealista, Azuma Jun (Higashi)… sono passate solo 16 ore dall’esplosione della bomba… Yamahata impugna una Leica (dicono…) e scatta 117 fotografie (sembra)… altri parlano di lastre fotografiche… poco importa… Yamahata si aggira tra le macerie ancora fumanti e riesce a cogliere momenti di una qualche tenerezza… come la Madre che allatta il bambino bruciato, Due fratelli sopravvissuti o Il bambino con la palla di riso in mano… quest’ultima fu selezionata per la celebre mostra del MOMA di New York, The Family of Man (1955)… gli organizzatori scartarono i corpi carbonizzati, i superstiti devastati, i feriti ulcerati dalle radiazioni… scelsero opportunamente il Bambino con la palla di riso in mano… l’immagine è attonita… sembra quasi anestetizzare le emozioni del bambino e la ritrosia della madre di fronte al fotografo… la condanna del bombardamento atomico è implicita, quasi uno spaesamento… la mano della madre
sembra invitare il bambino a guadare in macchina… perché? Per cosa? Per noi che siamo un po’ malandrini… il modo in cui madre e figlio tengono la palla di riso in mano, suggerisce una ricostruzione passiva dell’accaduto… alla peggio si sente l’odore di riso della mensa da campo con la bandiera a stelle e strisce… non c’è sincerità nello sguardo, neanche nella posa… quasi una dimenticanza della catastrofe.
La fotografia del Bambino con la palla di riso in mano… ciò nonostante… riesce a toccare il vero fuori dalla messa in scena!… è la verità-momento della vittima sospesa tra l’incredulità e la finzione narrativa… questo vuol dire che comunque lo si voglia, la fotografia, anche la più sbagliata, quando contiene l’umano violato, ne tradisce l’intenzione, avvia un processo empatico che trascende l’attualità e riporta la verità sul volto sfigurato della storia. La fotografia del Bambino con la palla di riso in mano è il salmo dell’innocenza contro il dolore… la faccia ferita del bambino buca la ferocia del disastro e fa della coscienza del dolore il prodotto di una civiltà rudimentale… il dolore e la coscienza del dolore si classificano nella santificazione dei risultati o ne subiscono la perdita… di tutte le calunnie, la peggiore è quella dei governi che usano lo sterminio e dicono che è un passo in avanti per l’intera società.
A proposito… Yōsuke Yamahata muore nel 1966, a causa, forse, dell’esposizione alle radiazioni. Per i rigattieri della fotografia mercatale ci sono vetrine anche per le immagini di Yamahata… si possono acquistare a prezzi modici in vari blog… ne scegliamo uno, questa è la scheda: “Yōsuke Yamahata, “Nagasaki Journey”, 10 agosto 1945, stampa alla gelatina d’argento su carta in fibra lucida, 16,4 (17,8) x 11,4 (12,9) cm, ©Yōsuke Yamahata, courtesy Daniel Blau, Monaco”7. Ne facciamo volentieri a meno della cortesia che ci fa questo signore tedesco… e del copyright ce ne sbattiamo i coglioni, poiché fare soldi sullo strazio degli altri, significa trattare la decimazione dell’umano come le scatole di zuppe Campbell’s di Andy Warhol, un furbacchione dell’arte come grado zero della frode espressiva… e un rotto in culo come Banksy lo ha capito bene… è bravo, prende delle fotografie e in maniera anonima (ma non è vero), ri/traccia mirabilmente sui muri delle città splendide figurine di bambine con i cuori, bambini con torce rosse o rivoluzionari che tirano i fiori [tra l’altro, questo rifacimento di Banksy è ripreso, in gran parte, da una delle più iconiche fotografie del Maggio francese ’68, di Henri Cartier-Bresson]… vanno bene per tutti i gusti e inclinazioni… gli originali si vendono a milioni di sterline… come le scimmie del parlamento inglese… le riproduzioni sono impacchettate per la massa e distribuite ai compleanni, sposalizi, perfino negli ospizi… quelli più a sinistra si fanno tatuare i santini di Banksy anche sulla lingua, al posto di Che Guevara… in fondo gettare fiori al passaggio di papi, re, generali e tiranni non ha mai recato danno a nessuno… semmai quella fremente commozione di scambio d’amore col capo che sfila su cumuli di cadaveri!
Per chiudere, ma come anche per aprire, prendiamo l’immagine del Ragazzo col bambino morto sulle spalle e i piedi scalzi nel fango sul bordo della strada, dopo lo scoppio della bomba su Nagasaki, ad opera dal marine Joseph Roger O’Donnell… è molto piaciuta a Papa Francesco, che l’ha fatta distribuire ai giornalisti in uno dei suoi viaggi, abbinata a frasi scritte di suo pugno: “Il frutto della guerra”, “La tristezza del bambino solo si esprime nel suo gesto di mordersi le labbra che trasudano sangue” o “Commuove più di mille parole”… a parte la banalità delle diciture, degne di un avvinazzato mattiniero… la collusione della fotografia e mass-media dovrebbe far riflettere sul valore d’uso dell’icona buona per tutte le mattanze… quando la teppaglia incorona un Mito, preparatevi a un qualche terrorismo della Borsa, peggio ancora a un nuovo macello.
L’immagine del Ragazzo col bambino morto sulle spalle è messa anche malamente in posa e perfino l’atteggiamento del ragazzo ci piace poco, sa molto da piccolo samurai di borgata… nemmeno c’importa se il bambino sulle spalle è morto o stremato dalla fatica… il marine lo inquadra di sguincio… sull’attenti… obbedisce a un ordine… si vede… l’imposizione del vincitore? la devozione verso l’imperatore? l’inclinazione all’obbedienza cieca?… mah… forse c’è tutto questo e altro ancora… un semplice frammento di salvazione, di paura contenuta o superata o l’obbligo di avere un destino da sottoposto. I vestiti bianchi e il bianco della pietra sull’orlo della fanghiglia si stagliano nel nero sfocato… il bambino imbrigliato da fasce nere ha la testa riversa all’indietro… è morto?… sfinito?… fa lo stesso… il centro delle lacrime è la sua faccia che si spegne verso un altro domani. Marco Belpoliti, fine dicitore di storia/critica della fotografia, puntualizza che il “bambino è morto a causa del bombardamento atomico sulla città giapponese e il giovane lo sta portando a far cremare; così almeno le didascalie sui quotidiani del 16 gennaio”8… nell’inquadratura c’è un senso di sradicamento, un qualcosa che è finzione o fuori posto da ispettorato di polizia… una differenza fra l’istante fotografico e la territorialità nella quale si depone… una miseria del presente che si fa messaggera d’una perdita riscattata dalla fotografia come specchio di un altro mondo.
Il Ragazzo col bambino morto sulle spalle raccorda la verticalità dell’immagine con l’azione che partecipa alla fabula… l’inconscio ottico o fotografico fa il suo giro fuori dalla spontaneità dello sguardo… resta tuttavia la dimensione onirica/sulfurea della guerra che ne restituisce le spoglie… è la raffigurazione di una relazione tra la fotografia e chi la guarda… ciò che ne esce è il senso di compassione e ingiustizia che espande… quell’abbandono dell’infanzia violata dalla guerra che non permette assoluzioni! In questo senso la cultura/spiritualità millenaria del fiore di Loto si sversa nel fotografico inascoltato, risveglia il senso profondo del desidero di pace e fraternità tra i popoli e inaugura il cammino verso la felicità umana.
Le foto-scritture della disperazione di Hiroshima e Nagasaki rifiutano catechismi, ideologismi, imperatori, re e regine, e tutta la gentaglia con la quale hanno eretto nei secoli universi di sangue… vediamo di entrare al rovescio nella fotografia del tragico che aiuta l’uomo a riflettere o indignarsi! C’è una premessa… quella di Luigi Zoja… psicoanalista d’alto vaglio… quando scrive che “nei testi americani, i termini che descrivono la fotodocumentazione sembrano ricavati da manuali per le armi da fuoco: loading (caricare), aiming (prendere la mira), shooting (fare fuoco o scattare)”9… tutto vero… sono il bagaglio linguistico degli stupidi che ci credono e fanno sfoggio di tecniche sapienziali da workshop… senza sapere mai che non è la fotocamera o la scuola che conta per fare una fotografia… ciò che vale è se sei un figlio di puttana che va in culo a tutti e a tutto, e a un certo grado di raffinatezza, mostra che i tiranni come gli imbecilli che li sostengono, vengono impiccati sempre troppo tardi!
Va detto. I bambini piacciono molto quando sono ammazzati per fame, sbudellati dalle bombe o bruciati dal Napalm… proprio come quando sono in braccio ai profeti, dittatori, papi, generali e perfino ai Kapò che li spingevano nelle camere a gas… fior di fotogiornalisti ne hanno fatto un mestiere rilevante… premi, riconoscimenti, lezioni accademiche… li tengono in gran considerazione nelle storie della fotografia, come nei seminari d’iniziazione all’immagine o nei mercati dei musei, gallerie, mecenati d’alto bordello… in fondo non è poi proprio male stare dalla parte dell’incenso opportunista che sa di porcile e dove il maggior numero dei fotografi sguazza in bella uniformità! In fondo si deve pur mangiare, dicono… giusto… gli affari sono affari, no?… vero… ma allora che c’incastra la poetica della fotografia?… niente, nevvero?… il diritto di cronaca non c’entra… non ci prendiamo per il culo!… vale per gente sconsacrata a tutto, come Eugene W. Smith e pochi altri… il resto sono dei pezzenti in cerca di un Pulitzer o World Press Photo qualsiasi… la genialità concessa al servo di diventare capo degli stallieri… che bello!… e pensare che i fotografi più acclamati, spesso sono più inservibili alla fotografia dei santi!
La fotografia che non contiene l’autobiografia, l’etica o lo sdegno che la suggerisce, finisce nella pestilenza della carità, che è una pietà senza scrupoli! Un minimo di squilibrio ci vuole in fotografia e ogni dove il titolo d’intruso non è usurpato dal vuoto delle lusinghe o dagli engagée del parassitismo ideologico!… niente è più difficile che sbarazzarsi della fotografia comsumerista, perché la fotografia ha radici che si arrestano alla santità della mistificazione… per lungo tempo ho frequentato i fotografi al solo scopo di osservare la loro verità di fronte all’abominio del potere!… e sull’ignoranza dei fotografi colti ho molto studiato… mi sono presto accorto che tutti, o quasi, si farebbero sputare in faccia in attesa che qualsiasi pubblico li fregi di una qualche benemerenza… il loro ardore nell’ascensione al cielo dei parvenu da salotto non ha pari… è davvero un’afflizione aver compreso che per arrivare all’Arte-Dio, si debba passare attraverso la merce e non la poesia! Fotografare significa smentire l’avvenire o demolirlo! o passare a collezionare aureole! L’industria ha “prodotto” la fotografia soltanto per meglio soffocarla, annotava! L’immaginario dello snobismo è quello della perfezione decantata dello stile… la bellezza non c’entra, poiché nella bellezza c’è anche la giustizia! Una teoretica della negazione a tutto ciò che è catechesi della sofferenza o della proscrizione, è forse ciò che serve all’inquietudine per passare dal diritto all’incoscienza a nuove forme di
resistenza al presente!
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 19 volte ottobre, 2021
1 Pierre Crépon, I fiori del Buddha, Red Edizioni, 1995
2 Pëtr Alekseevič Kropotkin, Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione, Eleuthera, 2020
3 Pierre-Joseph Proudhon, Che cos’è la proprietà?, Laterza, 1978
4 Emma Goldmann, Anarchia, femminismo e altri saggi, La Salamandra, 1976
5 E.M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza, Adelphi, 1993
6ʿOmar Khayyām, Quartine, Einaudi, 1979
7 https://danielblau-com.
8 Marco Belpoliti, https://www.doppiozero.com
9 Luigi Zoja, Vedere il vero e il falso, Einaudi, 2018