di Concita De Gregorio, Contrasto 2017, pag. 191, Euro 22
Il libro di Concita De Gregorio – Chi sono io? Autoritratti, identità, reputazione – parla di fotografia senza bisogno di pontificare l’immagine fotografica corrente né celebrare le fotografe con le quali intesse conversazioni e accoglie le voci (e l’autobiografia che ne consegue)… non si tratta qui di essere d’accordo con le fotografe sulle quali la De Gregorio scrive, né dissentire su alcune fotografe piuttosto celebrate (anche malamente) dal mercato della fotografia… ciò che importa è il taglio singolare, asciutto, aforistico che la De Gregorio dà al libro… intuizioni, riflessioni, affermazioni sull’autoritratto (che non è il selfie) delle donne che fotografano non solo i loro corpi ma anche il disinganno della loro sensibilità, sovente ferita o celata in dolori secolari. Il doppio, il corpo, il tempo, i vestiti (spesso rossi) sono la messa a fuoco della fotografia al femminile che va al di là del mostrarsi, ma scende al fondo dei templi e dei pretesti e attraverso la conoscenza di sé illumina i vizi e le virtù del perbenismo d’accatto… è un cercare non solo la propria identità ma un linguaggio con il quale entrare in relazione con l’altro, uno scoprirsi alla vita con l’insolenza, anche, di testimoniare un destino in un mondo dove la donna difficilmente è vista nella giustizia dei propri valori e nella bellezza della propria esistenza.
Gli autoritratti delle fotografe, naturalmente, avvincono il lettore in modo diverso… di là dalla compiutezza delle immagini, che poi poco importa, ciò che vale è la forza affabulativa delle donne-fotografe che corrispondono alla curiosità o alle intuizioni descrittive della De Gregorio in maniera del tutto viscerale… ci fanno capire che tutto ciò che non è diretto (anche attraverso la surrealtà, certo), è senza valore… non importa scendere nei vortici dell’opera per conoscere il talento di un autore, si tratta di andare a fondo del romanzo della sua vita per comprendere l’inestinguibile duplicità del vero. Il movimento reale della storia è sempre sotto pelle di quanto corre nella civiltà dello spettacolo e non sono certo i selfie o la rete a determinare il carattere di un’epoca dove il diritto e il rovescio si confondono, e tutto concorre alla decomposizione di tutte le idee. Con il crollo dei mito cadono anche i pregiudizi, e non sarà mai troppo tardi squalificare i cumuli di sciocchezze che gli uomini portano a giustificazione della loro violenza.
“L’autoritratto è la medicina al male di vivere. Il consenso è accidentale, irrilevante”, dice la De Gregorio… ed è anche vero… certo… bastano gli autoritratti di Diane Arbus, Lisette Model, Claude Cahun, Francesca Woodman, Vivian Maier, Lisetta Carmi, Sally Mann, Cristina Nuñez o Hélène Amouzou… per mostrare che chiunque superi se stesso subisce o rivendica le conseguenza della sua trasgressione… quando non si comprende che l’immaginale fotografico di Hélène Amouzou (una profuga del Togo) — si autofotografa nell’ombra e dietro valige sgangherate — c’è tutta la tragedia delle migrazioni… vuol dire che siamo complici o spettatori delle guerre che una minoranza di arricchiti impone ai popoli impoveriti… e tutto nel nome santificato delle banche, dei governi, del mercato globale… ecco… al fondo degli autoritratti di questo libro c’è una lucidità poetica dei sentimenti struccati che figurano le esperienze soggettive antiche, indicibili o sofferte, che sono anche le più universali, perché vanno a toccare il fondo originario della vita quotidiana.
Il lavoro della De Gregorio e gli autoritratti delle fotografe sono una cartografia emozionale che va oltre l’obiettività, la diaristica, lo sfogo personale… qui la fotografia disvela dottrine, ideologie e farse familiari… mostra che la storia non è che una sfilata di falsi assoluti e quando il coraggio delle donne finisce in fotografia (o in qualunque dissidenza ai quattro venti della terra) c’è un po’ meno volgarità nel mondo.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 24 volte novembre, 2017