“Nessun governo combatte il fascismo per distruggerlo.
Quando la borghesia vede che il potere le sta scivolando dalle mani,
chiede aiuto al fascismo per mantenere i privilegi”.
Buenaventura Durruti, comandante della Colonna Durruti
I. Sparate sempre, prima di strisciare!
La rivoluzione sociale di Spagna 1936-1939 (scritta da storici che la rivoluzione non ha liquidato e molti chiamano ancora “guerra civile spagnola” o “guerra di Spagna”)… vide in campo due fronti contrapposti, da una parte i reazionari nazionalisti del generale Francisco Franco (appoggiati da Hitler, Mussolini e dall’indifferenza o la truffalderia delle nazioni “democratiche”) e dall’altra il variegato fronte repubblicano (anarchici, marxisti, trotzkisti, stalinisti, liberali)… sull’orlo di questa storia in utopia, gli anarchici ebbero una grande influenza e sostegno popolare ma dovettero confrontarsi con il violento ostracismo dei marxisti filo-sovietici. Dopo tre anni di battaglie giunse la sconfitta dei repubblicani, tuttavia la rivoluzione libertaria spagnola è considerato il fatto storico più importante dell’intera storia dell’anarchismo e ancora oggi rappresenta il maggior e più significativo esempio di realizzazione del comunismo libertario.
Alla fine della guerra di popolo restarono sul campo 600.000 morti, più di un milione di mutilati e quasi un milione di profughi. Il franchismo aveva vinto e insieme al fascismo, il nazismo e lo stalinismo (sempre accordati con lo Stato del Vaticano che benediva cannoni e campi di sterminio) allevarono i popoli all’ideologia dei despoti e alla secolarizzazione delle lacrime… la burocratizzazione della politica, la rapacità dell’economia e la civiltà dello spettacolo che ne consegue saranno poi elevate al grande carnevale delle democrazie mercatali/ guerrafondaie/terroriste che — attraverso il capitalismo parassitario e l’instaurazione della partitocrazia — permetteranno (in tutta tranquillità) a una minoranza di arricchiti di continuare a violentare e impoverire il resto del pianeta.
Il 17 dicembre 1936 il giornale sovietico «Pravda» scrisse che «in Catalogna è già cominciata la pulizia dei trotzkisti e degli anarchico-sindacalisti e verrà condotta con la stessa energia che nell’Unione Sovietica»… nel maggio del 1937 a Barcellona gli agenti della GUGB (polizia segreta, SEZ dell’NKVD) organizza un commando composto da comunisti italiani e spagnoli e assale la Centrale telefonica occupata dagli anarchici… gli scontri fra anarchici e stalinisti (agli ordini di Stalin, Palmiro Togliatti e Vittorio Vidali, il famigerato comandante Carlos) sono feroci… muoiono centinaia di persone… Camillo Berneri e Francesco Barbieri sono ammazzati dagli sgherri di Vidali. Il piccolo partito POUM, del quale faceva parte George Orwell (l’autore di Omaggio alla Catalogna), fu accusato di essere una “quinta colonna” al soldo dei franchisti e gli stalinisti arrestarono Andrés Nin (uno dei fondatori del Partito Operaio di Unificazione Marxista (che si opponeva al PCE, legato alla Terza Internazionale e a Stalin) insieme ad altre personalità del POUM venne condotto in un campo militare vicino a Siviglia dove fu torturato e assassinato.
Nel febbraio 1939 il governo di Franco è riconosciuto dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dal silenzio ossequioso dello Stato Vaticano… il poeta surrealista Benjamin Péret, che aveva partecipato alla rivoluzione spagnola con gli anarchici della Colonna Durruti e scritto la sua poesia sovversiva sulle barricate, si scaglia contro gli uomini che legittimano e mantengono in piedi tutti i sistemi di dominio dell’uomo sull’uomo, così: “Sparate sempre, prima di strisciare”. A causa dei suoi pamphlet anarchici, travolgenti, ereticali, blasfemi… Péret viene infamato, deriso, cancellato (invano) dalle storie della letteratura e quando lo si è fatto è stato per denigrare la sua grandezza sulfurea e relegarlo nelle bibliografie come scheggia impazzita della Rivoluzione Surrealista. Nei cimiteri della politica istituzionale (dei bravacci delle chiese o delle belle carogne della cultura asservita) splende il sole dei moribondi, dei pagliacci, dei boia… le loro opere sparse lungo i millenni sono disseminate di mediocrità e miserie smascherate da tutti i sovversivi dell’ordine costituito, che proprio non ne vogliono mangiare di quel pane.
La rivoluzione di Spagna nell’immaginario fotografico non è solo quella immortalata, una volta e per sempre (e dalla parte giusta) da Robert Capa, Gerda Taro o da David “Chim” Seymour… c’è anche un fotoreporter spagnolo (non proprio conosciuto) che ha documentato la storia di quella rivoluzione con notevole partecipazione sociale, Agustí Centelles i Ossó. Un’annotazione a margine. Agustí Centelles nasce a Grau de València il 22 maggio 1909. Impara presto il mestiere nello studio di un fotografo a Barcellona (Francesco de Baños, faceva ritratti e ritocco di negativi e positivi) e inizia a collaborare a diverse testate (La Vanguardia, Diario de Barcelona, La Publicitat, Ultima Hora…). Nel giornale El Día Gráfico, Centelles incontra il giornalista (fotografo) Josep Badosa e gli apre la strada del fotogiornalismo, è il 1927. Si occupa di sport, spettacoli, atti ufficiali e società… usa una fotocamera 9×12. Dopo il servizio militare (1931) lavora a fianco di alcuni giornalisti (Josep Gaspar, Josep Maria Sagarra e Pau Lluís Llorents), è la svolta professionale. Nel maggio 1934 acquista una Leica per 900 pesetas e comincia a lavorare come freelance. La sua firma comincia ad apparire sui giornali di Barcellona e le sue fotografie sono pubblicate anche all’estero.
Nel 1935 sposa Eugènia Martí e il 18 luglio 1936, dopo il colpo di Stato militare, si schiera dalla parte del popolo lealista… nel corso della guerra molte delle sue immagini sono pubblicate da agenzie internazionali (Havas, Fulgor)… non sempre firmate dall’autore… nel settembre 1937 è nell’Unità Servizi Fotografici dell’Esercito Est… fotografa da vicino la rivoluzione e nei combattimenti di Teruel, Belchite e il bombardamento di Lérida… mostra sensibilità e commozione verso la disperata vitalità del popolo spagnolo in armi. Nel 1939, dopo la vittoria del franchismo, Centelles passa il confine con la Francia a piedi, ha con sé le macchine fotografiche e una valigia piena di negativi… viene arrestato nel campo di Argeler e trasferito al campo di Bram… qui allestisce un piccolo laboratorio fotografico e fotografa la situazione degli internati. Nel 1942, grazie a un permesso per il lavoro esterno, fugge ed entra nella Resistenza (come falsificatore di documenti nei gruppi di resistenza organizzati dai repubblicani spagnoli Foreign Workers). Nella primavera del 1944 la Gestapo arresta molti membri del GTE e Centelles torna a Barcellona in segreto, attraversa di nuovo i Pirenei a piedi, con la moglie e figlio… vive in clandestinità per tre anni a Reus, in casa di parenti. Alla fine della guerra si consegna alle autorità. Vive per lungo tempo in libertà vigilata. Il suo materiale fotografico, conservato clandestinamente in Francia, si potrà vedere solo dopo la fine del franchismo.
Nel 1947 Centelles ha un secondo figlio e torna a Barcellona… apre un piccolo studio e si dedica alla fotografia industriale e alla pubblicità… accusato di appartenere alla massoneria fu a lungo squalificato come fotoreporter… nel 1976 si reca a Carcassonne (dove aveva installato un laboratorio clandestino nella cantina del suo datore di lavoro ai tempi della resistenza) e recupera le fotografie della rivoluzione che si era portato in esilio. Inizia a pubblicare i suoi materiali… le mostre, le conferenze e il riconoscimento dei fotogiornalisti gli restituiscono il valore documentale che merita. Il 19 dicembre 1979, all’età di 69 anni, riesce a rientrare nel registro ufficiale dei giornalisti. Due anni dopo, l’Associazione dei fotografi della stampa e della comunicazione della Catalogna (AFPC) gli ha reso omaggio e lo ha nominato membro onorario. Nel 1984 Agustí Centelles riceve il Premio Nazionale delle Arti Plastiche. Muore a Barcellona l’1 dicembre del 1985. L’archivio fotografico di Centelles è conservato presso il ministero. Lasciamo agli imbecilli dell’entusiasmo l’inconvenienza del successo, roba da mentecatti del mercato intellettuale.
II. Sulla fotografia della rivoluzione sociale di Spagna 1936-1939
Non c’è alcun bisogno di fotografare o credere a una verità per sostenerla, né di amare un’epoca di bellezza e di utopia per giustificarla… dato che ogni principio di eguaglianza sociale e ogni avvenimento che la suscita è legittimo! Incapaci di ogni retorica, ci appoggiamo al disinganno lucido dell’anarchia e respingiamo l’ossario dei sogni destinati alle pattumiere della storia. Non ci interessano né le tombe degli eroi né i lupanari dei santi… le ideologie e le fedi sono state inventate per idolatrare le barbarie e le inclinazioni omicide comuni ai potenti (e ai loro servitori) sulle quali si fondano la fatalità e lo splendore di una civiltà minata alla radice dal sorriso del boia… ai babbei tocca affidarsi alla speranza, ai rivoluzionari senza causa (che non sia quella dell’utopia), solo alla rivoluzione.
Le fotografie a fianco della rivoluzione sociale di Spagna di Agustí Centelles sono di taglio fotogiornalistico, certo… tuttavia le immagini, non solo quelle corali, riportano al coinvolgimento del fotografo con la situazione che attraversa e anche la ritrattistica dei personaggi è così passionale che sembra di vedere un vecchio film neorealista (o sovietico, anche) in bianco e nero, con attori presi dalla strada… le inquadrature sono forti, talora fin troppo ricercate… gli avvenimenti taglienti della “guerra civile” non sono però apologetici né propagandistici, ma documentali… i giovani rivoluzionari fotografati con i pugni chiusi e i sorrisi aperti sui treni, nelle strade, sulle auto, sulle barricate… non fanno sconti a nessuno, nemmeno alla fotografia… che è sempre stata complice di un sistema di speranze tradite e si è sempre prostrata (o quasi) ai piedistalli di merda di ogni potere.
Il fotografo spagnolo è attento a ciò che esclude dal fotografato… e sono molte le immagini affabulate con cura… non solo nel corso di battaglie sul campo, feste di vittorie, libertà prese col fucile nelle mani… Centelles è lì, a un colpo di pistola dai franchisti… quando fotografa i caduti sembra cogliere il dolore degli ultimi… quando inquadra i bambini che giocano alla guerra (fanno finta di fucilare dei ragazzi franchisti con armi di legno e cappelli di giornale)… ci mostra forse che la storia, l’umanità e la fotografia si mantengono soltanto nella finzione e nel pregiudizio a sostegno delle ideologie, delle fedi e delle economie della soggezione… non si appartiene a nulla se non quando si sceglie la parte contro la quale stare! Bisognerebbe incominciare a pensare di “cancellare” — sotto pena di morte! — il mestiere di fotografo domestico, in realtà di fotografo in generale… i più non sanno, né vogliono sapere, che la fotografia si “ascolta” come un ragazzino balbuziente o si “legge” come una portinaia o un ubriaco di porto… e trovare all’interno dell’immagine fotografica il genio del paradosso, dell’iperbole, dell’ironia con i quali mostrare la fine del fanatismo (professionale e fotoamatoriale) e l’infelicità delle apparenze. Va detto. Cercate la verità su un qualsiasi fotografo nella sua vita piuttosto che nella sua opera! Tutto ciò che è stato scritto, detto, fotografato e non è sangue dei giorni è senza valore.
La cartografia fotografica di Centelles è costellata di immagini spartane… nei lealisti che sparano nelle strade a difesa della loro rivoluzione si coglie la disperazione e il coraggio del momento… c’è un fervore amoroso in quegli uomini che si rovescia nelle fotografie e appoggiati a palazzi bombardati, cavalli morti o l’assalto all’arma bianca… mostrano che quando si combatte per il giusto, per il buono, per il bello si smaschera il lutto magnificato da secoli di oppressione… la vita, come la fotografia, sarebbe intollerabile senza la poesia in rivolta che la nega. La fotografia di una donna che piange sul corpo del proprio uomo ammazzato è circondata di un’aura epica… l’uomo è steso davanti a lei, vestita di nero… piange… apre una mano sul quel corpo altero, inerte… da un lato dell’immagine sborda un’altra mano, come a consolarla o aiutarla nella tragedia… è una sorta di pietà laica che il fotografo racconta con finezza emozionale… lì c’è tutta l’umanità che vive amorosamente negli avvenimenti che determinano una scelta di vita o un sogno infranto.
Di là dalle fotografie di Centelles, che rientrano nell’abitudine a mangiare, e qui non c’interessa menzionare né approfondire… è sorprendente che anche quando il fotografo s’accosta a momenti minori o intimi della rivoluzione, riesce a comunicare stati d’animo o almeno frammenti di vita quotidiana vissuta tra il vero e l’intollerabile… come i teneri baci di un uomo e una donna tra la gente, la sfilata di preti e borghesi, una famiglia in armi sulla strada, i funerali dei caduti, i battaglioni in attesa degli scontri… o altre fotografie più specificamente documentarie, come quella del battaglione del POUM (Partito Operaio di Unificazione Marxista), dove si erge alto il corpo di George Orwell… ciò che più sorge dall’immaginario (non solo fotografico) di Centelles non è la disfatta di un popolo né la giustificazione di un massacro… non è la speranza soltanto ciò che interessa al fotografo ma la caparbia di andare oltre le superstizioni, le ideologie, le dottrine… nella fotografia la profondità è indipendente dal sapere… la santità, la corruzione, la benevolenza sono altrettante forme di mancanza di talento… sono categorie adatte ai servi o ai cortigiani… né mattatoi mediocri né paradisi ipocriti… in fotografia e dappertutto ognuno si colloca a un grado di complicità, di tradimento o di collaborazione con i rassegnati dell’ergastolo o con i possessori di ghigliottine della civiltà dello spettacolo… nella vita, come nella fotografia, l’immaginale liberato fuoriesce sempre in ciò che si è voluto ossequiare, amare o distruggere.
La fotografia in rivoluzione di Centelles contiene una geografia umana senza nessuna teologia del disamore… non è ancorata all’infallibilità del pensiero né promuove demenze politiche affumicate dalla storia… se qualcuno muore per un’idea è perché essa non è solo la sua idea ma un’idea del mondo… la sottile malinconia che le sue immagini si portano addosso è la medesima dell’asino Platero, il capolavoro immortale di Juan Ramón Jiménez (“Platero y yo”, 1914), dove scrive: “Questo piccolo libro dove l’allegria e la tristezza son gemelle, come le orecchie di Platero, fu scritto per… chissà per chi… per quelli per i quali noi poeti lirici scriviamo… Adesso che va ai bambini non ci aggiungo né tolgo una virgola. «Dovunque ci sono bambini – dice Novalis – esiste un’età d’oro». Dunque a questa età d’oro, che è come un’isola spirituale caduta dal cielo, si volge il cuore del poeta e ci si trova così bene che il suo più gran desiderio sarebbe di non doverla mai più abbandonare. Isola di grazia, di freschezza e felicità, età d’oro dei bambini: ti possa trovar sempre nella mia vita, mare di dolore: e la tua brezza mi dia la sua lira, alta e, a volte, senza senso, come il gorgheggio dell’allodola nel sole bianco dell’alba”. Ecco. Centelles ha fotografato l’eta d’oro della rivoluzione sociale di Spagna per donarla a tutti quelli che hanno combattuto, combattono e combatteranno ancora per il raggiungimento di una società più giusta e più umana… davanti a un tribunale di angeli, solo i pazzi, i bambini e i poeti maledetti sarebbero assolti… finché l’uomo è protetto dalla demenza, dalla menzogna, dall’inganno universale e prospera su una discarica di istituzioni, la tentazione di opprimere, violare, violentare è il suo unico credo! Quando l’uomo in rivolta si libera dalla scuola dei tiranni, feconda principi senza preghiere né odio… si nutre di verità e di bellezza, anche di esagerazioni, getta il suo genio nella strada e provoca gli incendi della ragione… giacché all’infuori dell’uomo in rivolta, tutte le iniziative sono egualmente senza valore.
La fotografia del nostro scontento rifiuta il lezzo dei cadaveri profumati dell’iconografia mercatale e la filosofia di prostituzione che si portano addosso… i grandi successi sono ormai cose da manualistica o da calendari, da mostre o da musei, da ribalte televisive o pagine di riviste di moda… tutta una casistica teatrale che perdona tutto, perfino i crimini o gli scoop fatti per acquisire i “grandi premi”, a patto che siano squisitamente aderenti alle fogne del mercato. Il destino delle sciocchezze è planetario e l’apparato delle dossologie dell’immagine, utilitario e sospetto, è la benefica fatalità degli spiriti ingenui o stolti… sia gloria ora all’eccellenza di ogni estrema unzione della fotografia come forma normale di delirio.
Va detto. Con la fotografia non si fanno le rivoluzioni… le rivoluzioni si fanno con le rivoluzioni… ma verrà il giorno in cui le rivoluzioni avranno bisogno della fotografia, perché con la fotografia si può diventare uomini e donne migliori. La sola causa nella quale credere è la grandezza dall’uomo e la malinconia o l’impossibilità di raggiungere al fondo di se stessi è il solo diritto ad esistere fuori da oracoli o nomenclature… tanti si sono già morti e non se ne sono mai accorti (nella vita come in ogni forma d’arte)… per parte mia, anche oggi ho dimenticato d’uccidermi! E qui, sul mio tavolo sporco di cenere di sigaro, con Leopardi, Baudelaire, Cioran, Baltasar Gracián e l’asino Platero di Jiménez, mi sento un po’ meno solo. Alla fama dei letterati preferiamo sempre la meraviglia dei dementi, i soli che ancora piangono per il sangue dimenticato.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 13 volte dicembre, 2017