ANDRÉ VERDET (À propos de Pino Bertelli et d’un univers photo). Traduzione di Gianna Ciao Pointer. 1998 – TraccEdizioni. VERSIONE ITALIANA
Fotografare un viso, un paesaggio, un cielo, un mare, un muro, una caffettiera, un fiore, un ratto, un uccello, un occhio che vi fissa, fissa il vostro apparecchio fotografico fotografandolo, questo non significa disincantare lo sguardo dai limiti dell’abitudine assottigliante?
Fotografare, sarebbe ancora smascherare il viso altrui, metterlo a nudo, svelando le sue verità o le sue menzogne? La sua solitudine, la sua codardia, la sua felicità o il suo dramma?
Sarebbe, meglio, afferrare un’immagine di se stessi, avvicinarvisi, confondersi con essa o allontanarsene grazie all’intervento altrui e delle cose?
Il vero artista fotografo non ha il dovere di vedere al di là delle apparenze, al di là del quotidiano dell’esistenza?
Non ha il dovere di afferrare questo piccolo istante di eternità che freme, fugace, in ogni essere vivente, in ogni cosa partecipe dell’esistenza?
Dunque l’esistenza non è una perpetua vivacità? Fotografare, in verità, è restituire lo sguardo alla sua vera sorgente, alla sua “naturità”, intrinseca, primaria.