di Frances Fox Piven, Editori Riuniti, 2012, pp. 46
Occupy. Gli indignados di Wall Street è un piccolo libro sul movimento delle occupazioni insorte contro gli “dèi”, i finanzieri di Wall Street, appunto, mostra lo sdegno e l’indignazione della “società civile” americana che si oppone ai “giganti” senza cuore (le “grandi” banche) che governano il mondo. La Piven sostiene che la forza del diritto è il buono e il bello delle giovani generazioni, mentre nella società spettacolare, guerrafondaia, consumerista delle multinazionali impera il diritto della forza e scrive: “Il movimento non vincerà rapidamente, non vincerà facilmente, e non vincerà in tutto ciò che vuole. I movimenti non sono scoppi di eccitazione e retorica infiammante e azioni di massa. Si dispiegano durante periodi di tempo molto lunghi”. Occupy è un discorso limpido contro l’apologia degli abusi di pochi e il riversamento nelle strade di New York di migliaia di persone (di ogni ceto sociale) che rivendicano il diritto degli esclusi, degli umiliati, degli offesi alla conquista di un mondo migliore.
Gli indignados di Wall Street chiedono il blocco delle strade, lo sciopero nelle università, l’occupazione dei luoghi di lavoro, e indicano forme di lotta organizzate (fino al sabotaggio delle tasse governative) attraverso l’azione diretta e i network. Denunciano la disuguaglianza sociale che un minoranza di arricchiti (gli strati più “alti” della società) continua a perpetuare contro i popoli impoveriti e si scagliano, a ragione, contro la politica saprofita delle case farmaceutiche, compagnie delle assicurazioni, speculatori immobiliari, mercanti di armi… identificano in Wall Street il cuore finanziario del capitalismo parassitario con il nemico da combattere prima di ogni cosa.
Il libriccino della Piven descrive, e bene, i fallimenti dei mercati neoliberisti e l’espansione neocolonialista mercantile che alza i dividendi delle banche a scapito della maggioranza del pianeta. In chiusa si legge che la condizione degli esclusi può essere rovesciata e i movimenti di protesta possono cambiare il corso della storia. “Dobbiamo sperare che ciò avvenga nel nostro tempo, e dobbiamo fare più che sperare. Dobbiamo darci da fare affinché si avveri”. Si tratta di godere della gioia e della vita piena e dove c’è amore dell’uomo per l’uomo, lì c’è la libertà.
Occupy non è un pamphlet di protesta soltanto, è un detonatore/specchio della comunicazione liberata che esplode/insorge all’interno della società smarrita, fondata sulla monopolizzazione della comunicazione, la cui arma principale è la menzogna, e si oppone (con tutti i mezzi necessari) alle direttive del Fondo Monetario internazionale, alla Banca mondiale, ai misfatti dei governi complici di misfatti compiuti ai danni dell’umanità che escludono grandi pezzi di popolo dalla redistribuzione delle ricchezze.
L’utopia di un mondo diverso si realizza strada facendo, sostiene in più parti il libello della Piven, più ancora si grida che spezzare le catene dei pescecani della finanza mondiale, vuol dire rompere i legami dal giogo della sottomissione economica e rimandare gli oppressi della terra alla rottura di ogni giogo. Dividere il pane con l’affamato, accogliere il diverso da sé, vestire chi è nudo, farla finita con la scusa delle “guerre umanitarie”, vuol dire schierarsi a fianco della civiltà e contro la barbarie.
Occupy è dunque un grido profondo gettato, a faccia scoperta, contro il tramonto degli oracoli e i franamenti di un sistema economico inumano che ha fatto della violenza il proprio credo, sono il fondamento per il raggiungimento di una economia etica. Occupiamo insieme allora, non è solo la fotografia del disagio di un’epoca del dolore planetario, è soprattutto il canto generazionale di uomini, donne in rivolta contro l’immaginario istituito che chiedono un’esistenza più giusta e più umana.
22 volte maggio 2012