di Simone WEIL. Pubblicato per la prima volta nel numero 26 della rivista francese “La Table Ronde” del 1950
I partiti sono organismi costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia …
La parola partito è qui usata nel significato che ha nel continente europeo. Solo nei Paesi anglosassoni lo stesso termine designa una realtà affatto differente. Affonda le sue radici nella situazione inglese, e non è possibile trasporlo. Un secolo e mezzo d’esperienza lo mostra a sufficienza. E’ presente, nei partiti anglosassoni, un elemento di gioco, di sport, che non può esistere che in un’istituzione di origine aristocratica: tutto è serio in un’istituzione che, in origine, è plebea. L’idea di partito non rientrava nella concezione politica francese del 1789, se non come quella di un male da evitare. Ma giunse il momento del club dei giacobini. Era questo, inizialmente, soltanto un luogo di libera discussione. A trasformarlo non una qualche specie di meccanismo fatale: fu soltanto la pressione della guerra e della ghigliottina a farne un partito totalitario. Le lotte tra fazioni nel periodo del terrore furono governate dal pensiero così ben formulato daTomskij: “un partito al potere e tutti gli altri in prigione”. Così, sul continente europeo, il totalitarismo è il peccato originale dei partiti. Furono da un lato l’eredità del terrore, dall’altro l’influenza dell’esempio inglese a insediare i partiti nella vita pubblica europea. Il fatto che esistano non è in alcun modo un motivo per conservarli. Soltanto il bene è un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La questione da esaminare è se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda così la loro esistenza desiderabile. Ma è molto più sensato chiedersi: c’è in loro anche solo una particella infinitesimale di bene? Non sono forse un male allo stato puro, o quasi?