Film Blu/Film Rosso/Film Bianco. Trilogia dell’amore, della libertà, dell’utopia
Film Bianco (Trois couleurs, Blanc), 1993
“L’amore per la libertà e l’utopia è la capacità
di interrogare l’origine della colpa e di interpretare l’insolenza dell’oltrepassamento in una parola… amo a te…
Amo a te è la magia dell’assenza, il passaggio dall’interiorità all’esteriorità… pensare l’amore come un ponte e non un fine… essere in Te, in Me, in Noi… l’amore è la bellezza dell’incontro, il riconoscimento di due differenze che condividono l’universalità dei loro respiri. Qui la parola rompe i silenzi,
avvicina i corpi e allunga la sensualità nei disincanti di un ri/conoscersi al di là di ogni reale violato… l’amore si schiude in un soffio che tocca ciascuno attraverso le parole, le carezze, il “sentirsi” reciproco.
L’amore e solo l’amore ha la capacità di metterci in contatto diretto col mondo che è dentro di noi. L’amore è la presenza dell’altro/a
all’origine di ogni flusso esperienziale. Chi ama senza riserve è anche amato, e nell’amore sconfigge ogni sorta di dolore, di difficoltà esistenziali. Amare significa crescere. Convivere con i propri svantaggi. Avere la consapevolezza che la vita può essere qualcosa di più di un’infelicità prolungata… ma anche un’esperienza gioiosa che ogni persona carica d’amore rovescia nei disagi della vita quotidiana…”.
Huckleberry Finn
“Quando verrà l’amore… mi vedrà… e lo riconoscerò,
perché avrà i tuoi occhi di gatta di vetro buttati su di me…”
Parole trovate su un fiocco di neve, volato là dove non doveva…
sulle rose dei ribelli caduti per la libertà. Era un profumo di sudore e di sangue,
mi ricordava le camere delle puttane in fiore”.
Bebért, il gatto di Céline
“Ed erano quelli i giorni della mia vera purezza,
della mia più buona e commovente gioventù:
mai come in quei giorni ho amato il mondo e mi sono fatto amare”.
Pier Paolo Pasolini
I. L’UGUAGLIANZA DEGLI UGUALI: PER UNA POETICA DELLA DIFFERENZA
Inutile è l’amore, quando l’esistenza è privata di ogni speranza. Con Film bianco (1993), Krzyzstof Kieslowski ribadisce il suo attacco ai valori dell’apparenza e ai pregiudizi della ragione istituzionale che più circolano nella società occidentale/consumerista (i regimi comunisti non sono da meno, e non hanno mai abolito le forche e i campi di sterminio per oppositori, dissidenti e “diversi”). Del resto il suo codice morale Kieslowski lo aveva già espresso nel Decalogo e in Film blu, dove diceva, in molti modi, che all’inizio e alla fine di ogni fine “c’è una parola che non si lascia recintare contro la quale urtiamo: la parola Addio”3. L’insieme della sua opera è a un’addio che mira, che tende, che annuncia… quello di — chiamarsi fuori — da un recinto sociale che privilegia l’aridità dell’amore, la rapacità politica, la soppressione delle diversità… nel suo cinema, la realtà è sempre dall’altra parte del muro personale e collettivo che dobbiamo abbattere, se vogliamo tornare a sorprenderci della ricchezza interiore che è in ciascuno ma che sovente è affogata nei limiti abituali del provvisorio e del superficiale. Film bianco è un spaccato sulla cultura della differenza, un piccolo trattato dei sentimenti sull’égalité tra uomo e donna, tra uomo e società, tra la possibilità di amare l’amore e l’impossibilità di trovare l’amore nel grigiore metropolitano di un’umanità coltivata nei bordelli spettacolari della propria inconsistenza. L’amore è l’unione di due diversità e rinascita dalle loro sofferenze. L’amore rendi liberi… perché la sua voglia di vivere (leggermente), rompe gli argini dell’ordine costituito e degli oracoli imposti da ogni potere. Al fondo di ogni amore c’è l’inafferrabilità di ciò che ci unisce all’Altro/a… e il toccare, il carezzare, il sentire… rappresentano qualcosa che spinge a ri/conoscersi e ri/trovarsi in una crescita duale che è un volo (magico) oltre i limiti del convenzionale.
Così Rainer Maria Rilke: “…il grande rinnovamento del mondo forse in questo consisterà, che uomo e fanciulla, liberati da tutti gli errori e disgusti, non si cercheranno come opposti, ma come fratelli e vicini, e si uniranno come creature umane, per portare in comune, semplici gravi e pazienti, il difficile sesso che è loro imposto”4. Si tratta di convivere tra i margini eretici dell’amore con la propria sofferenza e “cercare di capire che non fallisce solo chi non ha mai cominciato a vivere”5. Kieslowski si lascia leggere tra la riscoperta e la riconferma dell’amore come poetica dell’incontro, attraversamento del sentire… che sono testimonianze di un pensare l’identità sessuale come diritto alla differenza e passaggio dalle interpretazioni storiche di Platone, Marx, Freud… (l’epoca dei rifacimenti), all’affabulazione esperienziale di Dioniso, Bakunin, Reich… (l’epoca ludica). Film bianco confluisce nella rottura e nel rovesciamento del “corpo” patriarcale maschile che sembra volere continuare a dettare modelli di comportamento ed edificare gerarchie di dominio… sull’altra “metà del cielo”. Kieslowski si affranca a molte donne (di ogni colore…) che lavorano per la mutazione sessuale, linguistica, comunicazionale del genere femminile. Così Luce Irigaray: “… la liberazione delle donne non passa attraverso il diventare uomo o l’invidia di parti o di oggetti maschili, ma attraverso una nuova valorizzazione dell’espressione del loro sesso e del loro genere da parte di soggetti femminili… L’equivoco tra la liberazione attraverso l’uguaglianza nel possesso di beni o attraverso l’accesso a una soggettività di uguale valore è oggi tenuto in vita da alcune teorie e pratiche sociali, come la psicoanalisi, ma anche come il marxismo”6… anche queste elaborate da uomini circondati da soggetti femminili legati alla cultura della sottomissione che hanno continuato ad interpretare/ amministrare il mondo e i soggetti/donna con diritti “equivalenti”.
Questo dis/equilibrio sta cambiando di segno. Le donne si riprendono i diritti soggettivi e oggettivi della loro storia, della loro cultura, della loro capacità di tras/mutazione comunitaria e nello splendore dei loro corpi sessuati si riportano nella vera uguaglianza/giustizia tra i sessi. Non si tratta che le donne debbono diventare uguali agli uomini (lo sono sempre state!) ma di riappropriarsi di quelle “pari opportunità” (brutta parola) che il pensiero della differenza (non solo femminile) esorta dovunque ad uscire dai ghetti. Il “pensiero della differenza” si allarga ad una poetica dell’incontro che non prevede la donna domestica né l’uomo padrone… ma unione delle differenze come ponte esistenziale che si colloca tra libertà e desiderio, tra lasciarsi andare e l’amore, tra autostima e stima dell’Altro/a. L’utopia (possibile) di una società dell’ — io, tu, noi… —7 parte dall’imparare ad amare se stessi, il proprio sesso, l’altro sesso… fare dell’amore senza condizioni il medicamento di ogni caduta familiare, di ogni ammaccatura sessuale, di ogni solitudine lasciata alla deriva di stupide occasionalità… non è difficile trovare “chi” amare… difficile è incontrare qualcuno con il quale condividere l’amore. L’oscenità dell’amore si cela nel fondo più fondo dei ogni cuore… in te assaporo la mia presenza… mi bagno del tuo amore nel mio amore… abito la tua tenerezza nella mia sensibilità, la tua dolcezza nella crescita delle mie, delle tue, delle nostre emozioni… che si ascoltano, si chiamano, si cercano e nella trascendenza dell’ordinario, ritrovano l’insolenza e la gioia di esistere.
II. L’AMORE BIANCO: PER UNA FILOSOFIA DELLA FELICITÀ
Film bianco è un’opera sul denaro come strumento di dominio, sul desiderio d’amare qualcuno all’interno della propria solitudine, sulla liberazione della donna come oggetto sessuale ereditato da secoli di privilegi maschili, accumulati con la cultura della violenza. Karol è un polacco che “sente” l’amore ma non lo conosce. È l'”uomo qualsiasi” in una qualsiasi parte del mondo che per amore, solo per amore della sua donna discende l’intera scala sociale. Finisce in Francia. È “impotente”, non riesce a mostrare a Dominique il suo amore e lei, dopo una frettolosa udienza nel Palazzo di giustizia, lo getta via come un avanzo di vita. Karol conosce la miseria estrema e l’umiliazione estrema degli ultimi… si ritrova nella galleria del metrò di Parigi, a Place de Clichy, a suonare valzer disperati con un pettinino di plastica. Non ha più nulla, né dignità né coraggio e nemmeno l’illusione di ritrovare qualcuno d’amare così in profondità come Dominique. Senza di lei, la sua vita è niente. Tocca il fondo della sopravvivenza e ritorna a casa dentro una valigia buttata in una pattumiera. In Polonia si fa furbo. Accetta di uccidere un uomo per un mucchietto di dollari, compie qualche truffa con dei terreni edificabili, si compra una vita nuova e perfino il suo cadavere. Così organizza la sua rinascita e vive freddamente il suo funerale. Ritroverà l’amore di Dominique che andrà in galera per lui. Si aspetteranno nell’uguaglianza dei sentimenti, nella condivisione delle diversità, nell’amore senza condizioni che riusciranno a darsi. E l’amore, quando è amore, non vuole guinzagli. L’amore è un incontro… — è toccarti ed essere toccato/a da te… è amare (a) te. È giocare con il tuo corpo, con il mio corpo… interrogare i respiri dell’anima e imparare a rispettarci, a sedurre con gli occhi, ad entrare dentro di noi senza rinunciare alle nostre identità —. L’amore è “due” in uno. Coltivare il respiro dell’armonia, della felicità, della gioia che restano giudizi sospesi sui bordi del quotidiano. Amore è ritrovare in te la mia presenza. In me la tua presenza. Toccare il desiderio di te e di me in un presente percepito come comunione di due diversità. Amore è tornare a parlare, a parlarci, a cercarci dentro e fuori da noi… sfiorare i giorni e le notti in abbracci e carezze che avvolgono i nostri spaventi, le nostre paure… divenire liberi nell’amore allora, aprirsi alla stima reciproca, alla conoscenza, alla costruzione di un incontro verso una felicità possibile. “Ho bisogno di tutte le mie energie per tenermi nei pressi di me stesso: presente a me stesso, al mio respiro, al mio presente”8… ma se la terra/luna è donna, il cielo/sole è suo fratello… e voglio ridere con te, fermarmi un po’, per iniziare a parlarci e godere del profondo invisibile che ci fa smarrire (ritrovandoci) l’uno nell’Altro/a. Kieslowski racconta l'”amore bianco” di Karol e Dominique con un linguaggio spoglio, essenziale. Lascia parlare i fatti, i gesti, le azioni… vive i suoi personaggi con distacco, li lascia liberi nelle loro cadute e nel loro ritrovarsi all’interno di una quotidianità che è arida e indifendibile. Film bianco è una tessitura di momenti interiori comuni a tutti o a chi, almeno per una volta, ha conosciuto i colpi di sangue e le lacrime d’amore che qualcuno ha versato negli occhi dell’Altro/a. La tenerezza espressa da Zbigniew Zamachowski (Karol) e la femminilità efebica di Julie Delpy portano in Film bianco frammenti di amore irripetibili… corpi e scambi (rappresentazioni) di orizzonti emozionali che vanno oltre ogni ordine sociale, linguistico, culturale… il loro amore è un’interrogazione sui limiti e le regole che stabiliscono opportunità regressive (infantili) e paesaggi patriarcali (fallocratici) che fanno del dis/ordine comunicazionale l’origine dell’impostura. La gioia che porta l’amore è legata al superamento di ogni disordine… l’amore viola il mondo “sacro” e quello “profano”… perché l’amore è al di là di ogni divieto e la felicità che butta sulle strade del mondo è la trasgressione che trasfigura e supera gli steccati (i valori) di un’epoca. La nostra esistenza è fatta di corazze, abiti, comportamenti che portano all’infelicità, alla solitudine, alla paura di vivere… solo se guardiamo dentro di noi, se ascoltiamo le nostre emozioni, se torniamo a piangere le lacrime dei forti… scopriamo la forza dell’amore e solo l’amore può spalancare le porte della gioia e riaprire i giardini dell’infanzia perduta… “E quando poi davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta… Stai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va’ dove lui ti porta”9. Solo chi ha amato senza chiedere nulla e vuole ancora amare, è in grado di guarire da ogni ferita… perché i cuori non sono fatti per essere spezzati10 ma per essere disseppelliti e carezzati d’amore. La sceneggiatura di Film bianco (Krzyzstof Piesiewicz e Kieslowski) si dipana in microstorie dell’ordinario che vanno a comporre un ventaglio espressivo, fatto di cedimenti e rinascite, senza le quali non esisterebbero uomini e donne che si tirano fuori dalla mediocrità generale. Il montaggio (Urszula Lesiak) si allarga e si comprime su ritmi lenti e sorregge non poco l’inquadratura secca, abituale a Kieslowski. La partitura musicale (Zbigniew Preisner) si diluisce in situazioni emozionali drammatiche, per sottolineare con forza le risalite di Karol e Dominique. La fotografia (Edward Klosinski), in apparenza sciatta o non particolarmente impressionista, è in realtà una decolorazione dell’apparenza o l’apparenza decolorata della realtà. L’assetto minimale del film comporta qualche difficoltà di lettura ed alcune metafore o rimandi figurativi possono indurre a tentazioni diverse da l’intenzionalità originaria. La chiusa del film è emblematica. Karol guarda le finestre del carcere… Dominique avvicina i polsi, poi fa un gesto di rottura, taglio di simboliche catene… fa vedere a Karol che ormai ha spezzato il suo passato e sarà di nuovo accanto a lui (nell’amore con l’amore), per il resto dei giorni che verranno. Karol piange. Forse sono le lacrime più vere, mai versate sullo schermo. L’amore ai tempi della seduzione edulcorata non è nulla, solo la gerarchizzazione dei piaceri… l’amore autentico è un reale “spostato” e rompe ogni implicazione col sacro. È una morale in azione che permette la realizzazione del piacere e non c’è stato, patria o religione che tenga… l’amore è il principio di ogni bene e la passione il suo veleno… “ti faccio ascoltare la mia musica, ma poi amami!”, Mozart diceva… la dissolutezza dell’amore libera più di ogni ascesi, aiuta ad incamminarsi verso l’eccellenza, la trasvalutazione di tutti i valori e permette di ritrovare la strada che porta alla liberazione. La finitezza dell’amore esprime una concezione del mondo e dentro una filosofia libertina del gioco agnostico scrosta l’indifferenza e l’austerità generali al servizio del potere. Gli innamorati della libertà, della verità, del dono di amare sono gli appassionati di giustizia, di bellezza, di accoglienza… e “accettare di correre il rischio di sporcarsi forse un po’” (Teilhard de Chardin) per realizzare i propri desideri, significa esclamare con Agostino (il berbero), “Ama e fa’ ciò che vuoi”… l’arte di amare esplode nel meraviglioso, nel bisogno di amare il diverso da sé al di là di ogni questione o problema contingenti e fa del segreto della dolcezza l’epifania che mette la fine a tutte le disparità sociali. “Per praticare la libertà senza sensi di colpa, occorre liberarsi da tutti i dogmi che asserviscono a un’ipotetica salvezza o a una possibile dannazione” (E.M. Cioran)11 che sono all’origine di tutte le vessazioni e perversità del potere… tutto ciò che il cuore sente e desidera, l’amore lo ottiene e qualsiasi ostacolo che si para davanti alla sua felicità, lo sopprime a buon diritto. Poiché l’amore vince su tutto ciò che lo contraria o vuole intaccare la sua libertà… l’istante incendiario che si prende è la sola dimensione del reale che vuole e mostra che l’uomo, la donna liberi sono i soli creatori di speranze, desideri e bellezze che portano alla vivenza o alla sregolatezza della saggezza. In materia di amore ogni rivoluzione è permessa. L’arte di gioire dell’amore fa ricorso all’ironia e mette fine all’ignoranza e al silenzio… il sublime dell’amore è un incontro tra corpo e coscienza e ciò che non l’uccide, lo fortifica.
17 volte aprile 1994
3 Edmond Jabès, Il libro dell’ospitalità, Cortina, 1991
4Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta, Adelphi, 1994
5 Aldo Carotenuto, Eros e pathos, Bompiani, 1989
6 Luce Irigaray, Io, tu, noi, Bollati-Boringhieri, 1992
7 Per approfondire una cultura della differenza e una filosofia della felicità, che sono una picconata profonda sull’insieme riciclato del sapere maschile, da Cristo fino ai salotti televisivi della società dello spettacolo, vedi i lavori di Luce Irigaray, Amo a te, Bollati-Boringhieri 1993; Essere due, Bollati-Boringhieri, 1994
8 Renato Curcio, La soglia, Sensibili alle foglie, 1993
9 Susanna Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore, Baldini & Castoldi, 1994. È la sola frase buona di questo libretto inconsistente, peraltro rubata a Jean Dechanet (1915-1992), monaco, maestro dei novizi nel monastero di Kansenia (Katanga), poi eremita su una montagna, sospetto di eresia o poco amato dalla chiesa di Roma. Sosteneva che il primato della coscienza viene prima di ogni cosa e che la libertà si compie come amore. Dechanet apre il suo libro, Va’ dove ti porta il cuore. Al di là dello yoga, Cittadella Editrice, 1973, così: “Rallegrati, giovane, nella tua adolescenza il tuo cuore stia in allegria nei giorni della tua giovinezza. Va’ dove ti conducono gli impulsi del tuo cuore, segui ciò che piace agli occhi” (Ecclesiaste 11,9). E ancora: “Non sono gli uomini fatti per le istituzioni ma le istituzioni per gli uomini”. Al di là di tutti i catechismi, se una verità non nasce nel fuoco della coscienza, è tradita.
10 Détournement di Oscar Wilde, “… i cuori sono fatti per essere spezzati” (De profundis, citazione a memoria).
11 E.M. Cioran, L’arte di gioire. Per un materialismo edonista, Fazi Editore, 2009