L’età della rivolta
La trasgressione anarchica di Luis Buñuel è segnata nella Trilogia della rivolta – Un cane andaluso (1929, 25′), L’età d’oro (1930,60′) e Las Hurdes/Terra senza pane ( 27′) – … qui sono fissati i principi radicali dell’anarchia come liquidazione dei simulacri e dei rituali di sottomissione, soggezione, tirannia… celati nei dogmi – Famiglia, Chiesa, Esercito, Stato – che la civiltà dello spettacolo dissimula nei gazebi criminali della convivialità transnazionale.
“…basterebbe che la bianca palpebra dello schermo potesse riflettere la luce che le è propria per far saltare l’universo. Ma per il momento possiamo dormire tranquilli, dato che la luce cinematografica è accuratamente dosata e controllata… mi sentivo attirato da una certa idea di rivoluzione. I surrealisti, che non si consideravano terroristi né attivisti armati, lottavano contro una società che detestavano usando come arma principale lo scandalo. Contro le disuguaglianze sociali, lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, influenza abbrutente della religione, il militarismo rozzo e colonialista, considerarono a lungo lo scandalo come il rivelatore onnipotente, capace di mettere a nudo le molle segrete e odiose del sistema da abbattere… La maggior parte di quei rivoluzionari… Erano figli di papà, o meglio rampolli di buona famiglia. Borghesi che si ribellavano alla borghesia. Ne sono un esempio. A tutto questo bisogna aggiungere, in me, un certo istinto negativo, distruttivo, che ho sempre sentito più forte di qualsiasi impulso creatore. L’idea di incendiare un museo, per esempio, mi ha sempre allettato più dell’apertura di un centro culturale o dell’inaugurazione di un ospedale. Non c’è confronto”.
Luis Buñuel
I. L’età della rivolta
La trasgressione anarchica di Luis Buñuel1 è segnata nella Trilogia della rivolta — Un cane andaluso (1929, 25’), L’età d’oro (1930, 60’) e Las Hurdes/Terra senza pane ( 27’) —… qui sono fissati i principi radicali dell’anarchia come liquidazione dei simulacri e dei rituali di sottomissione, soggezione, tirannia… celati nei dogmi – Famiglia, Chiesa, Esercito, Stato – che la civiltà dello spettacolo dissimula nei gazebi criminali della convivialità transnazionale. “Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini…
Lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente… il modello presente della vita socialmente dominante” (Guy Debord). La demenza non è mai stata così splendente e ordinata come quella esposta nelle vetrine del consenso della società liberista/telematica. La perdita della realtà corrisponde al rovesciamento della verità prostituita e organizzata su scala sociale… là dove il potere economico, politico, dottrinario… strangola ogni forma di libertà, le armi della critica si trasformano in critica di tutte le armi e mettono fine a una soggezione troppo a lungo sopportata. “La storia dell’uomo non è altro che la descrizione della sua sete di potere e della sua conseguente perdita di umanità” (Anaïs Nin). Il sogno, come arma di comunicazione audiovisuale, trova nella pattumiera della quotidianità, i valori dell’utopia e le trasgressioni dell’anima. Un cane andaluso è l’incontro di due sogni. Quello libertario di Buñuel e quello artistico di Dalí (che peraltro disconosce). Concepito dentro una morale/etica surrealista, il film introduceva nel cinema l’arma dello scandalo e diveniva una bestemmia contro le disuguaglianze sociali, lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, l’influenza abbrutente della religione, del militarismo e del conformismo sociale. Lo diceva per metafore. Per associazioni visive. In un montaggio serrato di grande forza espositiva. Lo scopo di Buñuel non era quello di cambiare il mondo (Marx) ma di far esplodere la società, cambiare la vita (Rimbaud). Sotto ogni scheda elettorale giace un cadavere. In ogni uomo alberga un bravaccio in attesa di menare le mani e aprire i forni crematori. I campi di sterminio (di sinistra o di destra) sono sempre alle origini di un governo, chiesa, banca (o Fondo Monetario Internazionale…) dove l’umanità intera scarica i propri peccati. Ed è per questo che gli assassini e i santi sono eguali. Ambiscono alla stessa assoluzione… quella della storia. L’amore è l’ultimo pezzo di civiltà che viene bruciato. Fascismo non è obbligare a dire ma impedire di dire (Roland Barthes, forse). Gli stupidi e i tiranni sono sempre ammazzati troppo tardi. Smisurata è l’insorgenza del cuore. L’amore moltiplica i suoi specchi. La stoltezza dell’educazione, li spezza.
II. Un cane andaluso (1929)
Un cane andaluso è la scelta di un’identità, di un corpo liberato dai dogmi dell’adorazE ANione e della confessione. Un viaggio nella distruzione necessaria di Dio, Patria, Famiglia, Esercito… l’Utopia possibile nasce sulle fosse comuni colmate dai cadaveri eccellenti della quotidianità interrogata. Una settimana di sceneggiatura “orale”, “automatica”, “senza etichetta”, quindici giorni di riprese, metà soldi della produzione scialacquati nei locali notturni di Parigi… sono al fondo di Un cane andaluso, con il quale Buñuel porta uno dei più furiosi attacchi all’insieme della cultura borghese e al fascio delle istituzioni. La prima presentazione pubblica del film fu organizzata a pagamento nella sala “Ursulines” (Parigi), al cospetto del gruppo dei surrealisti (Man Ray, Aragon, Max Ernst, André Breton, Paul Eluard, Tristan Zara, Pierre Unik, Magritte…) e di scrittori, pittori, architetti che facevano già parte della “crema parigicontano… una cinquantina di persone si recarono al commissariato di polizia e sporsero denunzia, affermando che “bisogna proibire quel film osceno e crudele”. Accadde anche che due donne abortirono durante la proiezione ma il film non venne proibito. “Ma che posso io — scrive Buñuel — contro i ferventi di ogni novità, anche se questa novità oltraggia le loro convinzioni più profonde, contro una stampa venduta o insincera, contro questa folla imbecille che ha trovato bello e poetico quanto, in fondo, non è che un disperato, un appassionato invito all’omicidio?”. Per alcuni, l’abitudine a mangiare non ha mai significato prostituzione dell’arte. Ogni disobbedienza ha i suoi atti. I suoi colpi di mano. Occorre osare ciò che è dichiarato impossibile. E l’impossibile è nella conquista del possibile magico proprio all’uomo in rivolta di Albert Camus. La produzione degli stupidi si annida nell’ipocrisia della cultura occidentale, specialmente. Ci rifiutiamo di sostenere che il comunismo dei salotti e il cristianesimo dei ministeri siano i baluardi della speranza (non solo) proletaria. Il pensiero della rivolta è l’unica passione che rende l’uomo autentico. E l’uomo autentico è anche l’uomo della rinascita. Il patriottismo è il rifugio delle carogne e l’ultima fermata prima del tempio dove gli schiavi sono tutti e uomini nessuno. Sulle altalene della borghesia non esiste libertà. Il pane della saggezza è amaro come il colpo di pistola che illumina la notte senza stelle degli oppressi in rivolta.
Nel film non c’è nemmeno un cane… c’è però l’autenticità della rivoluzione surrealista… Buñuel lavora sull’insolenza dell’onirico e a ogni giunta di montaggio dice che la coscienza e la libertà esistano ed è la vita in rivolta a mostrarlo… Un cane andaluso non è (solo) un film sperimentale (come in molti hanno scritto), soprattutto è un’opera/manifesto dell’anarchia e sostiene che l’esistenza dell’uomo è tanto più umana quanto più è libera. E laddove la libertà è in agguato e si presenta come contraddizione, consente a ciascuno di desacralizzare la ragione imposta, denudare la vita quotidiana e i valori della morale dominante. I personaggi/corpi del film non raccontano nessun delirio onirico (come sovente si legge nelle schedografie ufficiali), dicono invece che solo la gioia ci salverà… e anche il cinema conta poco davanti alla miseria dei sentimenti che ci soffoca… in fondo all’uomo, malgrado tutto, c’è la poesia e la vera rivoluzione sociale è trovare ovunque la fine del rancore che chiede solo la fine del dolore… “nessun regime resisterebbe a due mesi di verità: intendo dire tanto il sistema marxista quanto le nostre società borghesi o fasciste” (Louis-Ferdinand Céline)… anche il crimine dei crimini perpetuato dalle religioni monoteiste (ebrea, cattolica, islamica) va distrutto alla radice e al posto di ogni forma di idolatria (che tocca il cuore delle folle) occorre seminare il concetto, ognuno per sé e la terra per tutti. Le carcasse dei privilegiati sono un ottimo concime per l’annunciazione di novelle eu-topie e nessuno più sarà governato in questo modo e a questo prezzo. Nè governanti, né governati dunque… solo uomini liberi di godere e far godere secondo i propri piaceri.
La rottura con le convenzioni filmiche, la distruzione della storia, la concatenazione atemporale delle sequenze e l’estraniazione interpretativa… fanno di Un cane andaluso una sorta di finestra sull’anima dei protagonisti e specchio/riflesso degli spettatori/lettori che vedono nel film il viatico della loro esistenza… Buñuel dissotterra inibizioni e vergogne inconfessate, invalida tutti i poteri e mostra (per assenza) la verità agonizzante della famiglia, del lavoro, dell’esercito e la miseria dei poveri… sembra dire che “bisogna essere fuori del mondo come un angelo o come un idiota per credere che la scorribanda umana possa andare a finire bene (E.M. Cioran). Ognuno si aggrappa ai propri bisogni e ciascuno è colpevole della propria ingenuità. Non tutti hanno la ventura di morire giovani, farsi fuori o finire ammazzati dall’ordine costituito… l’amour fou è la sola follia che rende visibile la felicità dall’infelicità. E per l’amore come per la libertà non ci sono catene. L’immaginario libertario di Buñuel intreccia il desiderio del limite con il mito dell’eterno ritorno e la pulsione individuale ha sempre un riscontro sociale che nulla ha a che fare con il pensiero androgino che cola nel sangue dall’occhio tagliato… la luna, la bicicletta, la donna/merlettaia alla finestra (Vermeer), il libro con la sua raffigurazione, la mano mozzata, le formiche nella mano dell’uomo, l’efebo circondato dalla gente (che poi è una donna), due fratelli delle Scuole cristiane, due pianoforti a coda e due carogne di asini putrefatti le cui teste penzolano sulle tastiere, seni nudi, una racchetta da tennis attaccata alla parete come un crocifisso… sono frammenti di tutta una simbologia epifanica disseminata in Un cane andaluso… eventi liberatori che sfidano il destino e lasciano l’inconscio debordare nell’energia del piacere. L’anarchia di Buñuel è sovente crudele, mai volgare. Ha sempre qualcosa di anomalo e di raffinato che ispira paura e rispetto… la rivolta sorge dall’ostinazione e non basta una risata per seppellire la scuola dei cadaveri… occorre il desiderio profondo, selvaggio, incolto o creativo che dichiara guerra all’ordine dello spettacolare integrato e ci aiuta a ben vivere come a ben morire. Un cane andaluso morde la logica del quotidiano. Ne determina l’assurdità. La metafora libri/rivoltelle con le quali il personaggio uccide il suo doppio, si mostra come rifiuto del reale per renderlo comunicabile. Le formiche che escono dal palmo della mano, la macchia sul muro che si trasforma in farfalla “testa di morto”, carcasse d’asini che penzolano dalla cassa armonica di due pianoforti in una stanza (tirati dal personaggio con delle corde, alle quali sono attaccati due sacerdoti…), la lama del rasoio che taglia la pupilla di un occhio mentre una nuvola striscia sulla faccia della luna… sono l’armamentario linguistico con il quale Buñuel infrange l’unità lineare dell’ordinario, che è presenza domestica, aridità e maschera di un mondo dominato (da una minoranza di rapaci arricchiti con le guerre, le banche, i mercati globali…) nella dimensione del nulla. I frammenti narrativi di Un cane andaluso descrivono il reale attraverso segnali obliqui, strisce, rallentamento del tempo e détournement dello spazio filmico… allusioni, rimandi, rovesciamenti di senso esercitati (affabulati) nel discorso psicoanalitico (non solo sulle trame del politico). Ogni piano di lettura corrisponde a stati di desiderio, a processi inconsci provocati da immagini dell’arbitrio che, nei loro intarsi, convocazioni, schemi mutuati dall’attività onirica, riportano il discorso dell’analisi a una ri/documentazione del reale. L’occhio tagliato di Buñuel schianta la superficie dello schermo, racconta la disperazione dell’apparenza, lo spettacolo dell’effimero, la mistica della violenza e l’odio borghese… “la sua crudeltà non è che la proiezione della sua tenerezza” (André Breton). La religione, l’educazione, il tradimento, l’amore, l’immaginazione, la morte, la liberazione impossibile dai feticci che inaridiscono l’uomo e lo condannano alla “servitù volontaria” sono i templi sacrali at/traversati da Buñuel (in tutto il suo fare-cinema) per nientificare il crepuscolo del politico e l’accecamento della storia. Un cane andaluso cospira contro lo smarrimento della memoria incatenata dei “senza speranza”, si porge alla clandestinità nichilista/ ereticale dell’immaginario sovversivo. Hannah Arendt, riprendeva un detto che circolava tra le plebi incatenate nelle segrete di Caterina la Grande, e diceva — “ciò che smette di crescere comincia a marcire” —. Di fronte a tanta sfrontatezza di alcuni dei suoi sudditi… la regina di tutte le Russie innalzava i patiboli e imponeva alla servitù di non pensare. Spetta al boia rompere il collo dei dissidenti e alla politica della menzogna perpetuare la servitù. I pericoli maggiori non vengono però dai rivoluzionari di professione… “il più radicale dei rivoluzionari diventa un conservatore il giorno dopo la rivoluzione”(Hannah Arendt)… l’autorità costituita si deve guardare bene dagli eretici dell’eresia… è questa canaglia clandestina che in mancanza d’ogni arma ha avvelenato i pozzi della conoscenza e continua a parlare il linguaggio a cubetti del porfido e a cercare sotto il manto disselciato della strada, le spiagge lucenti dell’Utopia.
Scheda: UN CHIEN ANDALOU (UN CANE ANDALUSO,1929) di Luis Buñuel
Regia: Luis Buñuel
Soggetto: Luis Buñuel, Salvador Dalí
Sceneggiatura: Luis Buñuel, Salvador Dalí con Pierre Batcheff Simone Mareuil Luis Buñuel Fano Messan Robert Hommet Jaime Miravilles Salvador Dalì Fotografia di Albert Duverger Montaggio di Luis Buñuel Musiche di Richard Wagner (Tristano e Isotta), Beethoven e due tango Scenografia di Pierre Schilzneck
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 5 volte gennaio 2012.
1 Per una trattazione approfondita e fuori dai denti sul cinema in anarchia di Luis Buñuel: Pino Bertelli, Luis Buñuel. Il fascino discreto dell’anarchia, BFS, 1996