E falsa sia per noi ogni verità , che non sia stata accompagnata da una risata”
Friedrich W. Nietzsche
Io milito per la causa palestinese e non per le singole fazioni palestinesi. Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palestina, che per me si estende dall’Oceano Atlantico fino al Golfo (si intende tutto il mondo arabo n.d.r.)… I miei personaggi sono pochi, il ricco e il povero, l’oppressore e gli oppressi… e non mi sembra che la realtà si discosti molto da questo.
Naji Al-Ali
Cantando per le strade
“Cantando per le strade, per i campi, /il nostro sguardo farà scaturire l’osservatorio
dal posto più lontano /dal posto più profondo
dal posto più bello,/dove non si vede che l’aurora,
e non si sente che la vittoria. /Usciremo dai nostri campi
Usciremo dai nostri rifugi in esilio /Usciremo dai nostri nascondigli,
non avremo più vergogna, se il nemico ci offende.
Non arrossiremo: /sappiamo maneggiare una falce,
sappiamo come si difende un uomo disarmato. /Sappiamo anche costruire
Una fabbrica moderna, /una casa,
un ospedale, /una scuola, /una bomba, /un missile.
E sappiamo scrivere le poesie più belle”.
Mahmud Darwish
1. OUVERTURE AL VELENO
Di nessuna chiesa è l’arte del fumetto. La meraviglia e lo stupore sono i fuochi della conoscenza e dell’intelligenza. Per evitare la stupidità, in arte come nella vita quotidiana, basta sapere che il profumo del biancospino influisce sulle costellazioni, diceva… il solo nemico dell’arte non è l’originalità (pretesa), bensì l’insignificante (accertato). La fumettografia ereticale è un modo di filosofare e tende alla sovversione di tutta la figurazione/ comunicazione ordinata nel lievito del mercantile e secoli di soggezione… a partire dalla sacra sindone a tutta la pubblicistica come forma propedeutica (non solo) popolare che cementa la demenza di pochi con la demenza di molti. Quando arrivano gli artisti veri, si alzano le forche. L’arte del fumento infatti, non serve a niente, proprio come la musica di Mozart.
L’esercizio della fumettografia è stato, quasi sempre, pura contemplazione del segno… il grande fumettista è colui che è consapevole di rappresentare una minaccia per l’ordine costituito… il suo veleno immaginario vagabonda nei cieli in utopia del libertario e mostra che “valori comuni generano donne e uomini comuni… si tollera quello che non si ama, e solo quando non lo si considera pericoloso per la costellazione dei propri pregiudizi” (Giulio Giorello)1. La critica della fumettografia non è solo corrosiva — se essa scioglie nel cianuro di china i valori e i codici correnti —… è una vera e propria minaccia contro chi minaccia la libertà di pensiero. Chi è di nessuna chiesa non si ritrova neppure in una chiesa di eretici… l’odio ha un recinto e la rete spinata, l’amore dell’uomo per l’uomo scopre che la fraternità ha uno sguardo, l’accoglienza un abbraccio.
La storia del fumetto è storia di genuflessioni o d’intemperanze che fanno scandalo.
I fumetti davvero grandi, si scagliano contro ogni forma di sudditanza e inventano la poetica della rêverie di una società libera e aperta. Si tratta di accedere al reale attraverso l’irriverenza dell’immaginario e fare di un gioco di segni/specchi il risveglio di una volontà creativa: “Il diventare opaco del mondo appare così, più che un allentamento della coscienza, come una condizione per il ridestarsi della coscienza attivamente immaginante. Il crepuscolo della rêverie è il crepuscolo della realtà stessa, non è un decadere dell’io nella passività del sonno e del sogno, ma un emergere dell’io «irrealizzante» nell’allontanamento della dimensione della realtà” (Gaston Bachelard)2.
Il reale è sempre sulla soglia del vero e in arte, come in amore o nella rivolta, tutto è permesso. Dove non c’è l’ebbrezza dell’oltrepassamento non c’è verità né arte… si tratta di minare la base, scuotere la cima dell’essere e fare dell’interrogazione il primo segno/gesto di disobbedienza. Nella culla consolatoria dell’infanzia amena, infelice o imbecille, i fumettari del mercimonio, sempre proni alla qualificazione del fumetto in “opera d’arte” ed essere riconosciuti nelle cloache del tempio del consumo mediatico come apostoli della stupidità eidetica… restano degli eterni bambini con la tendenza, sovente demenziale, di chi non si accorge della dolente umanità e preferisce disegnare lo stupidario d’immagini utili ai giornali, libri, riviste, televisione, cinema, pubblicità… sulle quali sorridere per un po’, coscienti che tutto resterà come prima e magari qualcuno dei bersagli/uomini politici scherniti possa acquistare una tavola e appenderla nel bagno dove gli ospiti la possono ammirare in intimità.
I fumettari dell’avanguardia stanno al giogo né più né meno di quelli più blasonati. Restano al palo della storia (non solo del fumetto) in attesa di essere “scoperti” da qualche “mercante illuminato” e intanto si danno da fare a sputacchiare disegni a destra e sinistra, sempre in nome della libertà d’espressione. I grandi del fumetto (Mafalda, Corto Maltese o Vauro) sanno che ciò che continua a durare ignora la durata… “diffida di coloro che arringano le masse. Di quelli che per ascoltar se stessi hanno bisogno di rivolgersi alla folla dei loro seguaci. Il tuo volto resterà loro sconosciuto, sempre… Non tarderanno a cancellare dalle loro tavolette il tuo nome. Con un tratto di penna” (Edmond Jabès)3. L’arte, tutta l’arte, cambia quando cambia il padrone che la smercia. Vi sono catene che soltanto l’uomo in rivolta spezza… il cielo stellato, da lontano, è una notte stellata. Da vicino, è niente. Un buco nero nell’universo dei poeti. — “Maestro, tu non prendi niente da me, disse il discepolo. — Da te prendo quel che t’insegno, rispose il maestro” (Edmond Jabès, ancora)4. L’arte che non ci attraversa la pelle è un campo d’inutilità disseminato di facezie… l’espressività del libero volere è cosa di uomini che sanno dire la mia parola è no! Gli uomini del no! fanno della propria disobbedienza, la propria arte. Lo schiavo, il tiranno e il prete si coagulano nell’odio per la vita e solo gli scellerati dell’eresia costruiscono il risentimento necessario contro una vita non vissuta. Rifuggire una società volgare, spettacolarizzata, consumerista, significa violare controlli e divieti e fare della trasgressione il viatico che porta alla violazione e la distruzione delle forme espressive imposte. Al crimine organizzato occorre rispondere con l’organizzazione del crimine e al di sopra delle rovine delle istituzioni, lavorare a un’eguaglianza pericolosa per l’ordine costituito. Incoraggiare la disobbedienza civile, la rivolta sociale, insegnare al povero a derubare al ricco. Rendere deplorevole ogni sorta di genocidio perpetuato dai paesi ricchi contro i popoli impoveriti. Disvelare l’infame farsa di Dio, dello Stato e dare ai pagliacci del potere la sorte che meritano. Niente più. La resurrezione dell’umanità è nel ritrovare il piacere a spese di chiunque (Sade, marchese) e mostrare il riso del boia sul crepuscolo degli dèi.
NO! AL SILENZIATORE!
Nella storia dell’arte a fumetti, Naji Al-Ali ha un posto centrale, anche se per molti versi poco conosciuto o celato dalla storiografia dominante. Naji Al-Ali del resto non era artista di facili ingabbiature… la sua opera (vignette, caricature, disegni), tra le più alte e impegnate nella storia del fumetto, esprime la grazia e la pesantezza della realtà incise sulla carta… nelle storie che racconta in punta di penna si legge l’impossibilità di perdonare chi ha fatto del male (lo Stato di Israele) e continua a farlo con la ferocia inaudita del più armato… gli ebrei hanno subito, è vero, la catastrofe della Shoah, tuttavia sembra che gli israeliani (non tutti gli ebrei) l’abbiano dimenticata e si comportano con uguale efferatezza nei confronti del popolo palestinese. La grazia sparsa nei fumetti del disegnatore non è consolazione, è luce. È la realtà calpestata dei palestinesi trasportata in migliaia di strisce (oltre quarantamila). L’immaginazione di Naji Al-Ali lavora per aprire le fessure sociali dove la grazia fa il covo e controbatte l’odio, l’amarezza, il rancore dei predatori israeliani. “Nel male, come nel sogno, non ci sono letture multiple.
Da ciò la semplicità dei criminali” (Simone Weil)5. I disegni, le vignette, le tavole di Naji Al-Ali ci insegnano a ben morire come ben vivere. La sua opera intera è un atto d’amore e di libertà mai cantato prima con questa forza e questa bellezza autoriale. Qui la grazia dell’esistente diventa pane e chi desidera veramente la salvezza di un popolo e la pace canta la gioia dell’uomo, non di Dio. Il velario della miseria umana che taglia si radica nella trasfigurazione della verità, inneggia contro il silenzio dei potenti e fa della disobbedienza una luce che illumina i giusti e gli ingiusti. La disobbedienza è la virtù suprema che ama il rispetto dell’individuo e nell’azione estrema figura la necessità universale di un popolo liberato.
In No al silenziatore, la prima edizione europea di Naji Al-Ali pubblicata da mio figlio Pier Paolo per la sua casa editrice (Traccedizioni)6, Saad Kiwan e Vauro Senesi hanno scritto:
-“L’hanno assassinato. Col silenziatore. Con quell’arma vile che ha fatto zittire per sempre decine e decine di uomini che cercavano la luce della libertà sfidando il buio calato sul mondo arabo. Era l’arma (e lo è tuttora) di chi ha il potere, ma non il coraggio di ascoltare la voce della ragione. L’arma contro la quale Naji ha lottato con tutte le sue forze, con la sua matita e le sue vignette. Il fulcro di tutta la democrazia, amava ripetere il grande vignettista nelle sue poche interviste che rilasciava o nelle sue rare apparizioni in pubblico. Quando mi è stato chiesto di scrivere queste parole di presentazione ho avuto un attimo di esitazione perché Naji non era un vignettista qualsiasi e non era solo un bravo artista. Agli altri vignettisti non mancava il senso dello humour, o xbattuta piacevole.
Ma Naji era semplicemente un genio.
E’ difficile quindi inquadrare in poche righe, ma il mio amore-bisogno quotidiano della sua vignetta mi spinge a provare. Erano gli anni più feroci della guerra civile in Libano. Una guerra che ha segnato forse, irrimediabilmente il destino dei palestinesi, dei libanesi e di tutto l’assetto regionale. I risultati di oggi sono in gran parte il frutto di quella amara e forse storica sconfitta subita da uno schieramento libano-palestinese che si voleva progressista e per il riscatto nazionale.
Oggi il Libano sta cercando di sollevarsi non si sa come, mentre i palestinesi si avviano divisi e lacerati verso un qualche regime di autonomia, risultato di un discutibilissimo accordo che nasce da lontano, proprio da quel disegno che con la guerra ha voluto distruggere il sogno di decine di migliaia di libanesi e palestinesi. Sono stati anni pienamente vissuti, con le bombe, i cannoni e… tante vittime innocenti. Ma anche con la speranza di svegliarsi la mattina con una buona notizia che proveniva dal “fronte”, ascoltando la radio e divorando i giornali.
Ecco, per me, e per decine di migliaia come me, la vignetta di Naji era il caffè del mattino.
Naji era il vignettista di Assafir, quel quotidiano libanese, nato come foglio della sinistra libanese ed araba, ma che deve la sua fama grazie anche alla rubrica di Naji.
I lettori di Assafir leggevano il giornale al rovescio: ancora prima di gettare lo sguardo al titolo di apertura e all’editoriale del direttore, guardavano subito l’ultima pagina per godere la vignetta e capire da dove tirava il vento.
La sua vignetta rappresentava la bussola per una nave che doveva affrontare il mare in tempesta. La nave palestinese sulla quale a Naji piaceva immaginare che fossero imbarcati tutti i poveri e i diseredati di questa terra. Il suo era uno stile semplice, chiaro e pungente. La sua visione era ampia e globale ed il suo impegno era fermo e lineare. Era un vignettista politico per eccellenza; partiva da un fatto particolare per affrontare il contesto del momento. Emblematici i suoi personaggi; dal piccolo e pensieroso Handala che rispecchiava spesso gli umori di Naji alla zia Hanifa, la saggia donna che rappresentava la coscienza del popolo palestinese.
La sua era una vignetta-commento, una vignetta-messaggio. Ecco perché parecchi di noi, in determinate giornate difficili, si accontentavano di leggere la vignetta o di farla raccontare dall’amico. Naji non disegnava solo per mestiere, ma perché ci credeva. Credeva nella giustezza della causa. La terra era quasi sempre presente nei suoi disegni, perché aveva un grandissimo richiamo su di lui; richiamava le sue radici, la sua storia. Anche lui, come tanti altri palestinesi, è stato costretto ad abbandonare il paese natale, all’età di dieci anni. Disegnare per lui non era solo una passione, ma soprattutto un mezzo per esprimere i suoi pensieri, per gridare alto la sua rabbia contro chi ha usurpato la sua terra, contro l’occupazione israeliana. Era un personaggio errante per eccellenza; penna e carta sotto braccio, approdava dove annusava un po’ di libertà per continuare a disegnare: Beirut, Kuwait, Beirut e poi Londra, il suo ultimo esilio dove e stato zittito per sempre. La sua sfida ai regimi era implacabile. «Quando non trovo piu un giornale che mi ospita, posso continuare a disegnare sulla spiaggia, sugli alberi o sul vento». Di lui, il grande poeta Mahmud Darwish ha scritto: «Solo lui riesce a scegliere per poi distruggere e far esplodere. Nessuno assomiglia a lui… però lui assomiglia a milioni di cuori perché è semplice; è un evento straordinario… di eccessiva umanità». La democrazia era un suo tormento; le sue critiche non hanno risparmiato nemmeno la dirigenza palestinese. Negli anni successivi all’invasione israeliana del Libano (1982) e la cacciata dei palestinesi, Naji era diventato fortemente critico nei confronti della linea assunta dalla leadership dell’ Olp. La sua presenza in Kuwait, da dove aveva continuato a lanciare le sue vignette non era più tollerabile. Fu costretto quindi a prendere la via di Londra.
Forse a Naji piacerebbe essere ricordato come il primo ad aver previsto lo scoppio dell’Intifada, esplosa pochi mesi dopo la sua scomparsa” —.
L’arte a fumetti di Naji Al-Ali non ama né gli dèi né i padroni… la sua visione estetica è ricca di intuizioni che si avvolgono in ciò che è perentorio, affermativo, poetico… sono disegni che mirano a un’edificazione, la messa in forma di un’idea di libertà e fine dei soprusi… c’è una saggezza tragica, libertaria nelle sue vignette, caricature, figure… che fa a meno degli incensieri della politica istituzionale e dei programmi di partito… e l’arena dove sparge la sua seminagione di estrema bellezza eversiva è l’espressione di uno stile e metafora del mondo da conquistare. Ciò che non lo uccide lo mortifica (alla maniera di Nietzsche) e liquida con una risata la rapacità dei poteri forti. Esprime l’elogio del diverso che pratica il frammento e “nella dialettica tra significante e significato mette il primo al servizio del secondo. L’esistenza del verbo è subordinata a quella del senso che gli corrisponde” (Michel Onfray)7.
Di più. Naji Al-Ali ama gli angeli caduti, perché ribelli. Sa che attraverso la rottura del cerchio, la violazione dei margini, il coraggio dell’immaginale liberato si accede al cuore delle cose… nella cartografia della mediocrità gli eroi e i santi sono degli stupidi presi sul serio e trionfano sui loro fallimenti… solo gli incendiari dell’utopia fanno a meno dei funesti demiurghi dell’ordine e della morale… l’uso della penna, come quello del coltello, fa della vita un’opera d’arte.
Naji Al-Ali nasce nel 1937 a Asciagiara, un piccolo villaggio dell’alta Galilea, fra Nazareth e il lago di Tiberiade, in una famiglia di contadini. Padre, madre e quattro figli. Fino agli anni trenta nel villaggio di Asciagara, come in tutti i villaggi palestinesi, al di là delle loro credenze religiose, musulmani, cristiani, ebrei palestinesi (nativi in Palestina) vivevano in armonia… gli insediamenti di ebrei venuti da tutto il mondo mutarono il corso delle cose… i coloni sionisti si presero le terre dei palestinesi e gli attacchi militari fecero il resto… dopo la nascita dello Stato di Israele (1948) il villaggio di Asciagara fu raso al suolo (con molti civili) e l’ONU invece di fermare le stragi allestì i campi profughi. La famiglia di Naji Al-Ali trovò rifugio nel campo di ENI Al-Hilwe, nei pressi di Sidone, nel sud del Libano (dove i familiari del disegnatore ancora risiedono)8.
Il piccolo Naji Al-Ali fece lì le scuole elementari. Interruppe gli studi per lavorare come operaio stagionale. Si trasferì poi a Beirut. Viveva in una tenda nel campo profughi di Chatila. Nel 1957 andò a lavorare in Arabia Saudita nelle raffinerie del petrolio. Nel 1959 tornò in Libano e s’iscrisse all’Accademia delle Belle Arti. Aderì al movimento panarabo ma dette presto le dimissioni. Sulla rivista Al Hurriyyeh (del 20/8/1979) scrive: “Nonostante tutte le mie convinzioni, non riuscivo a ritrovarmi nel partito. Loro discutevano tanto, ho imparato molto. Da allora ho capito che il Giorno verrà e che la Rivoluzione avverrà”. In questo periodo di militanza fu arrestato sei volte e non gli fu più possibile proseguire gli studi in Accademia. Si trasferì a Tiro e insegnò in una scuola per tre anni. Per qualche tempo fa parte di un gruppo teatrale politico del movimento panarabo ma presto si volge alla caricatura, alla vignetta, ai fumetti… nel 1961 il quotidiano libanese Al-Yaum gli pubblica le prime vignette. È la nascita di un genio.
I disegni di Naji Al-Ali appaiono nelle pagine di Al-Hurriyyeh (organo del movimento panarabo) e nella rivista del Kuwait (dove era emigrato all’inizio degli anni ’60), Attali’a, anch’essa espressione del movimento panarabo. Come giornalista e vignettista pubblica nel quotidiano kuwaitiano Assiyasat, fino al 1974. Torna in Libano nello stesso anno e collabora con il giornale Assafir, ne esce nel 1984.
Il lavoro del vignettista, del caricaturista di Naji Al-Ali è uno strumento di lotta a favore del popolo palestinese… espressione degli oppressi, dei poveri, degli umiliati… la rivista inglese Events considerò Naji Al-Ali come “uno dei testimoni fondamentali della nostra epoca storica”. Nel 1979 e 1980 vinse il primo premio alla “Mostra del Disegnatore Arabo” e diventò presidente della “lega Caricaturisti Arabi”. Nel 1982 l’esercito israeliano invase il Libano. Naji Al-Ali raggiunse le prime file di resistenza… non impugnò mai le armi ma portò la sua solidarietà a quanti combattevano contro l’aggressore. Attraverso le sue vignette incitava i combattenti a non deporre le armi e non farsi illudere dalle promesse degli americani… con la vittoria degli israeliani Naji Al-Ali fu costretto a passare sette mesi in clandestinità nei sotterranei di Beirut. Riesce a tornare in Kuwait. Qui scrive: “Il fulcro di tutto e la democrazia. Le nostre frecce vanno lanciate contro le catene, le maschere, le carceri e le leggi truffa … la repressione non ha mai regalato la democrazia … la repressione non cede spontaneamente … la repressione non si suicida … VA UCCISA. Per poterla uccidere, bisogna lottare. Nessuno ha la soluzione pronta. La soluzione nasce dal conflitto … per questo, il conflitto deve essere mantenuto vivo” (Al-Qabas, 12/5/l984).
Nell’aprile del 1984 la destra palestinese accusò Naji Al-Ali di essere al soldo della controrivoluzione e gli fu negata la partecipazione alla mostra per la Terra di Palestina che si teneva a Kuwait City. Il quotidiano “Al-Watan” del 15/4/1984 scrisse: “Naji Al-Ali è un fenomeno umano … un fenomeno Arabo-Palestinese figlio della Palestina, figlio della Terra, figlio del Popolo Arabo. Nessuno meglio di lui riporta i sentimenti, le aspettative, le depressioni, gli umori di milioni e milioni di Arabi … dall Oceano al Golfo … In altri paesi un fenomeno così raro come lo è Naji Al-Ali viene protetto, stimolato. Da noi, invece, per curare i propri interessi, alcuni dei nostri leader non esitano a distruggerlo … ad eliminarlo.…”.
In difesa del disegnatore si schierarono intellettuali e pezzi di popolo… ma nonostante questo la borghesia/destra palestinese non cessò di calunniarlo e nel 1985 ottenne dal governo del Kuwait, l’espulsione del disegnatore… tutti i governi arabi gli rifiutarono l’accoglienza e così si trasferì a Londra con la sua famiglia. Da Londra continuò a collaborare con il giornale Al-Qabas, quotidiano giordano, il foglio Saut Ascia’ b e l’organo del partito comunista israeliano Al- Ittihad. I disegni di Naji Al-Ali ormai venivano pubblicati in varie parti del mondo arabo… nel 1986 fece un’esposizione delle sue opere a Londra, con lo scopo di far conoscere agli inglesi la giusta lotta del popolo palestinese per i propri diritti… il diritto al ritorno, all’autodeterminazione e a uno Stato Palestinese indipendente sulla Terra di Palestina.
La sera del 22 luglio 1987, a Londra, Naji Al-Ali viene assassinato in un cinema da un sicario rimasto sconosciuto (israeliano o della destra palestinese?). Tuttavia Naji Al-Ali non è morto. Il suo genio creativo resta a testimoniare la sua instancabile battaglia culturale in favore degli oppressi di tutto il mondo.
3. I FUMETTI DI HANDALA E LA RIVOLUZIONE PALESTINESE
Naji Al-Ali è il creatore di Handala, un bambino un po’ spelacchiato, con i piedi scalzi nel sole, i vestiti rattoppati e le mani intrecciate dietro le spalle. Si vede (quasi) sempre di spalle. È una presenza muta, non parla mai, rappresenta l’identità secolare del popolo palestinese ed è anche il logo della “Commission for Freedom and Justice Through Humor” 9. Handala (o Hanzala, dall’arabo “erba amara”) è appunto un’erba amara, spinosa, che nemmeno il deserto uccide. Appare in quasi tutte le vignette del disegnatore palestinese. Naji Al-Ali lo disegna con la testa che ricorda un piccolo sole (ho una lampadina…) che guarda verso il futuro… lo sguardo è rivolto ai villaggi massacrati dalle bombe, ai martiri palestinesi, al neocolonialismo delle multinazionali del petrolio… Handala si lascia alle spalle il dolore dei palestinesi e guarda in faccia i loro assassini… nessuno vede le lacrime del bambino, solo coloro che producono morte e fanno un cattivo uso della storia. Handala è un bambino strappato al suo villaggio, alla sua famiglia, alla gioia dell’infanzia vissuta sulla sabbia dei padri… si rifiuta di crescere nei campi profughi e mostrerà il suo volto solo quando la situazione del popolo palestinese sarà rovesciata, potrà tornare al villaggio, riprendere a crescere e diventare un uomo libero. C’è infatti una vignetta dove si vede Handala che con una corda tira un fucile con la baionetta inficcata nella terra come fosse un aratro, il padre tiene stretto il manico e la madre semina cuori in un notte di mezza luna. Un capolavoro. Handala disvela l’ingiustizia di tutte le guerre, la menzogna della politica, la forza in utopia dell’uomo in rivolta… trasmette un’etica, una morale, una saggezza, una filosofia di resistenza e insubordinazione. La rivoluzione palestinese passa attraverso la sua icona che la veicola, la racconta, la trasporta, la decifra e mostra che solo chi afferma la propria ignoranza, illumina d’intelligenza e chiede il rispetto delle differenze di cultura, credo, colore della pelle, di pensiero… il silenzio del consenso è dittatura. È la verità che cambia le infamie delle tirannie. La libertà è misura di tutte le cose. La fraternità si arresta davanti ai campi degli israeliani concimati con i corpi dei palestinesi. La disuguaglianza è il prodotto dell’economia-politica internazionale e la missione civilizzatrice del neocolonialismo che porta in sé mostra i conquistatori impegnati nella soppressione del povero/ribelle a favore del servo/schiavo delle democrazie consumeriste e dei regimi comunisti. I criminali di Stato e quelli delle chiese monoteiste lavorano sulla verità dei mercati, delle guerre di pace e della mistica delle elezioni… si preoccupano di ricucire gli strappi dei loro eccessi. Ogni richiesta di democrazia autentica va democraticamente soffocata. La comunità del controllo globale affoga nell’epoca del disastro, ma non è ancora un’orda festosa quella che impugna i propri diritti civili, assalta i palazzi del potere e prende a calci in culo i pezzenti e gli usurpatori della democrazia della gioia.
Le vignette, le caricature, le strisce di Naji Al-Ali esprimono un evento sublime di rottura, si oppongono alla fatalità storica e alla soggezione degli artisti di fronte alla sacralità o alla galera che il potere concede loro… Handala figura l’innocenza del divenire e grida contro l’impudore della stella di David che ha cercato di soffocare (invano) la voce e i corpi dei padri palestinesi per sorte divina… il bambino con le mani incrociate dietro le spalle auspica la rivolta, la dissonanza, la differenza e la sua postura, i pochi gesti, l’insolenza della sua poetica della libertà indica “la conoscenza del dolore che si trasforma attraverso il dolore” (Michel Onfray)10 e la rovescia in rivolta. Non c’è una strada più onorevole per arrivare alla felicità, oltre a quella della pazienza dell’asino, che quella della rivoluzione. Handala insegna la buona creanza agli israeliani e avanza il rifiuto di ogni autorità in materia di libertà. È in anticipo sui tempi. La sua critica della violenza israeliana si allarga alla critica delle democrazie autoritarie (e dei regimi comunisti) e dà libero corso alle passioni, ai desideri, ai piaceri attraverso lo scatenamento della fantasia. La violenza della democrazia è giunta in fondo al punto cui perviene fatalmente qualsiasi potere costituito fondato sul principio della rappresentanza politica: “La rivoluzione dei pochi contro i molti (oggi concretamente si tratta di una manovra che favorisce un processo di impoverimento della povertà, nel quale in definitiva le misure di protezione sociale sono generalmente destinate a tutelare chi nel mondo è già socio-culturalmente garantito)” (Pierandrea Amato)11. La critica della violenza della democrazia l’avevano già studiata Stirner, Nietzsche, Benjamin, Camus, Meinhof (la bella)… e tutti sono arrivati allo stesso palo esistenziale: l’uomo libero è il solo creatore dei propri valori.
Naji Al-Ali disegna Handala magistralmente… il segno è scarno, sicuro, schietto… arte pura, finissima. In una vignetta si vede Handala sullo sfondo che tira i sassi nella notte, sotto la luna, e in primo piano un braccio che impugna una pietra che gronda sangue… c’è anche un fiore nato tra i sassi… l’impatto è forte, commovente, diretto… il nemico è il nero che avanza ma la rivoluzione palestifnese non muore… si batte con ogni mezzo e rivendica l’esistenza di una poetica dell’anima di sfrontata bellezza. Anche di fronte a Cristo in croce e con al collo le chiavi del paradiso, Handala resta perplesso… forse riflette sull’impostura e gli inganni alimentati dai rabbini, dai preti e dagli imam… si chiede se Mosè, Gesù e Maometto erano tre impostori, bugiardi, affabulatori, imbroglioni venuti a sedurre il genere umano e fondare l’autorità della Chiesa e dello Stato sulla stoltezza degli uomini… forse pensa soltanto che in nome di Dio e del Paradiso da qualche parte, gli uomini continuano ad ammazzare altri uomini. Naji Al-Ali si avvicina con grazia ai massacri degli israeliani… in un disegno Handala è davanti a una casa distrutta dalle bombe… sulla parte destra c’è un bambino morto che tiene un fiore in una mano… dietro di lui alcuni pezzi di legno formano una croce… Handala è di spalle, con le mani incrociate… sembra quasi piangere e muoversi… è una rêverie di grande malinconia che disprezza la dismisura dell’ordine israeliano ed elogia, in punta di lacrime, la rivoluzione dei sassi… in qualche modo va a toccare il fondo di anime delicate e al di là della realizzazione estetica vivono la pietà laica come contro-morale della storia. Naji Al-Ali si accosta al dolore delle donne con la leggerezza del poeta o con la coscienza creatrice di chi conosce a fondo ciò di cui parla… quando disegna la zia Haifa, la rappresenta nella saggezza tragica della donna che è la coscienza profonda, irriducibile del popolo palestinese. Una delle vignette tra le più importanti è quando figura Handala (con le mani incrociate dietro le spalle) che guarda una donna piangente sotto un cielo di stelle di David… tiene in una mano il ritratto di un familiare ucciso dagli israeliani… è un’immagine fantastica che approfondisce una situazione di guerra, contiene la finezza popolare della commedia dell’arte, si richiama alle origini della comunicazione che rinnova e moltiplica la gioia del meravigliarsi. Incredibile, singolare, insolente è la vignetta di Handala che guarda una bambina giocare al salto della corda… le mani che tengono la corda spezzano le gambe alla bambina… l’ingenuità e lo stupore s’intrecciano e l’immaginazione si apre verso l’avvenire. Ancora una vignetta/disegno di notevole disperata vitalità… Handala osserva una donna crivellata di colpi… sanguina su un deserto arido e 12 una mezza luna illumina la scena… chi ama la luce ama la verità… Naji Al-Ali lo sa bene e ci offre l’immaginale che ci fa vedere ciò che sovente non vogliamo vedere… è ancora una rêverie che costituisce una finestra di accesso per un mondo più giusto e più umano. In molte altre vignette/disegni Handala si aggira fra bidoni di petrolio delle multinazionali, filo spinato e carri armati, corvi e forche, confini squassati dalle bombe, bandiere israeliane e vessilli palestinesi calpestati… l’intera opera di Naji Al-Ali restituisce la coscienza ai sognatori e conferisce a ogni tavola la dolcezza di vivere. Handala sogna… sogna mondi in amore e ci trasmette il senso delle radici di un popolo… è l’infanzia vivente della rivoluzione palestinese. Mostra anche che la collera dell’infanzia ferita non si attenua e sostiene che le collere primitive risvegliano infanzie dimenticate. Naji Al-Ali riesce perfino ad uccidere Handala. Si tratta di una vignetta dove Handala è riverso su uno spazio bianco, addossato alla notte senza luna… i pantaloni corti, le toppe sulla maglietta, i piedi nudi… ha una freccia infilata in un tallone e del sangue rosso si allarga sulla carta… qui Naji Al-Ali si fa maestro dell’interrogazione indiretta e in un’estetica dell’angoscia restituisce la virtualità del reale. La sua poesia si unisce alla memoria dei viventi e risveglia l’età antica della bellezza sfigurata che le consente di rivivere nella comunità che viene. L’intera opera di Naji Al-Ali è una metafora del cosmopolitismo… tratta della rivoluzione palestinese ma il suo immaginario si estende all’immigrato, all’esiliato, al rifugiato, al deportato, all’apolide, al profugo… tutte categorie che riguardano lo straniero… si affranca alle persone costrette alla lotta o all’esilio perché la loro vita e la loro libertà sono minacciate a causa della loro razza, della loro religione o delle loro opinioni politiche… è la lotta del povero contro il ricco e poggia sulla richiesta del diritto cosmopolitico all’ospitalità universale, che è la condizione della pace perpetua tra tutti gli uomini, Kant diceva. Più ancora, sosteneva il filosofo della colomba, “nessun trattato di pace deve essere stipulato con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura… nessuno stato indipendente deve essere acquistato da un altro mediante eredità scambio compera o donazione… col tempo gli eserciti permanenti devono essere aboliti… nessuno stato si deve intromettere con la forza nella costituzione di un altro stato… nessuno stato in guerra deve permettersi atti di ostilità tali da rendere impossibile la reciproca fiducia futura”12.
Tutto vero. Tutte le creature umane hanno il comune possesso della superficie della terra. Nessuno può dunque appropriarsi legittimamente di ciò che è di tutti. A ragione Jacques Derrida quando scrive che occorre rivedere la storia del diritto internazionale e fare del diritto d’asilo o del dovere dell’ospitalità, la rifigurazione di una nuova cosmopolitica e grida: “Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo!”13, unitevi nella lotta universale contro gli oppressori e gli sfruttatori… la rifondazione di nuove comunità e appartenenze ad altre forme di società sono tutte da inventare. La dolcezza delle utopie ci appartiene e gli spazi liberati dei quali parlava Foucault, le eterotopie, ci affascinano… “ogni società può perfettamente riassorbire e far scomparire un’eterotopia che aveva creato in precedenza o organizzarne altre che non esistevano ancora… Si arriva così a ciò che c’è di più essenziale nelle eterotopie. Esse sono la contestazione di tutti gli altri spazi, e questa contestazione si può esercitare in due modi: o creando un’illusione che denuncia tutto il resto della realtà come illusione, come nel caso delle case chiuse… oppure creando realmente un altro spazio reale tanto perfetto, meticoloso o ordinato, quanto il nostro è disordinato, mal organizzato e caotico” (Michel Foucault)14. Le eterotopie sono spazi aperti, sensibilmente anarchici, che neutralizzano tutti gli altri spazi e una volta che vi entriamo, la differenza è assoluta. Le eterotopie sono pericolose, lavorano segretamente al rovesciamento dei linguaggi e ripudiano i luoghi comuni… creano nuovi modi del comunicare e nuovi corpi del piacere… si battono contro la desertificazione della coscienza, la povertà dell’intelligenza e fanno della sparizione radicale della politica, la fine dell’innocenza. Nelle eterotopie il rispetto dei diritti dell’uomo si trasforma in ricerca della felicità… l’intuizione è il risultato e la vita quotidiana il fervore dionisiaco dell’arte di gioire tra liberi e uguali.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 10 volte giugno 2010
1 Giulio Giorello, Di nessuna chiesa. La libertà del laico, Raffaello Cortina Editore, 2005
2 Gaston Bachelard, La poetica della rêverie, Dedalo, 1972
3 Edmond Jabès, Il libro dell’ospitalità, Raffaello Cortina Editore, 1991
4 Edmond Jabès, op. Cit.
5 Simone Weil, L’ombra e la grazia, Bompiani, 2002
6 Naji Al-Ali, No al silenziatore, Traccedizioni, 1994. Quando alcuni amici palestinesi hanno proposto a mio figlio Pier Paolo e a me la pubblicazione di No al silenziatore nella nostra casa editrice, abbiamo aderito all’iniziativa con gioia. Era la prima edizione europea dell’opera di Naji Al-Ali. L’intero ricavato del libro è andato in aiuto al popolo palestinese. Il libro ci ha procurato non pochi guai con la DIGOS… tuttavia pensavamo e pensiamo ancora che questa opera sia tra le più belle e folgoranti mai apparse nell’arte a fumetti, e anche il più altro grido di libertà che un artista abbia seminato in favore del suo popolo e per la bellezza della vita quotidiana. Ogni opera d’arte che non ci avvicini alla bellezza e alla libertà, non vale nulla.
7 Michel Onfray, La scultura di sé. Per una morale estetica, Fazi Editore, 2007
8 Per una trattazione più ampia della vita politica di Naji Al-Ali e un’analisi profonda della sua opera legata alla rivoluzione palestinese, vedi: http://www.tmcrew.org/int/palestina/najialali/vitanaji.htm
10 Michel Onfray, L’arte di gioire. Per un materialismo edonista, Fazi Editore, 2009
11 Pierandrea Amato, La rivolta, Cronopio, 2010
12 Immanuel Kant, Per la pace perpetua, Fletrinelli, 2004
13 Jacques Derrida, Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo!, Cronopio, 2005
14 Michel Foucault, Utopie Etorotopie, Cronopio, 2004