“Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà.
Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l’Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente, repubblica socialista”.
Bobby Sands
Il cinema sovente umilia l’insieme delle verità storiche, ricrea un mondo a misura della propria indecenza e lo annienta… l’ebetudine dello spettatore sta nel credere nella profanazione della realtà e non nell’orgoglio dei diseredati che si fanno ribelli alle costellazioni del trasporto estatico! Millenni di sofferenze toccano gli estremi dei crimini più raffinati e delle manifestazioni più grossolane, perpetrati contro gli scellerati che si oppongono alle classificazioni, alle dottrine, ai miti che li strangolano dentro e fuori del cinema… l’impudicizia da Oscar è nell’effervescenza dei cuori di coloro che credono alle demonologie dei potenti e nei loro bilanci contano più delitti di quanti ne abbiano al loro attivo le tirannie più sanguinarie, diceva… e sono di gran lunga gli assassini più coscienziosi, poiché abbracciano tutte le fedi a secondo del giro di storia. Tutte le puttane serventi della politica lo sanno… cominciano da un conflitto con l’ordine costituito e finiscono col sostenerlo nelle carneficine. “I vigliacchi muoiono molte volte innanzi di morire; mentre i coraggiosi provano il gusto della morte una volta sola” (William Shakespeare). La vita non è tollerabile se non per il grado di rivolta che vi si mette.
Sir Kenneth Branagh nasce a Belfast nel 1960… presto lavora con il grande attore e regista Shakespeariano, Laurence Oliver, e si afferma come uno dei più influenti registi della sua generazione. I suoi adattamenti cinematografici delle opere del Bardo (Enrico V, 1988; Molto rumore per nulla, 1993; Hamlet, 1996; As You Like It Come vi piace, 2006), attraversano il pensiero di Shakespeare in maniera straniante (Bertolt Brecht, però non c’entra)… del tutto visionaria… una rivisitazione che si ammanta di una certa fascinazione strutturale… film che attanagliano lo spettatore a una valenza comune, a un’impressione di vivere sull’orlo di una libertà espressa come contaminazione del mondo che crolla o punisce gli eretici d’ogni eresia.
Sir Branagh, per la sua opera cinematografica e teatrale, ha ricevuto molti premi internazionali e candidature all’Oscar (forse con Belfast raccatta qualcosa)… inoltre ha confezionato lavori decisamente artigianali come Thor (2011), Jack RyanL’iniziazione (2014); Cenerentola (2015); Assassinio sull’ Orient Express (2017); Il super genio del crimine (2020); Assassinio sul Nilo (2022)… visto la sua inclinazione per la bonomia verso l’esercito inglese in Belfast, non ci stupirebbe se il prossimo film fosse una commedia-rosa sulla biancheria intima della regina di Gran Bretagna, Irlanda del Nord e reami del Commonwealth, Elisabetta II… non si è fatto sfuggire nemmeno la produzione e l’interpretazione della serie televisiva poliziesca Il commissario Wallander (2008-2016)… tanto per stare al passo coi tempi… ovunque però Sir Branagh è bravo… si distingue tra l’ironia dei personaggi e le necessità del mercato… anche un notevole interprete di Shakespeare ha diritto alla banalità.
In Belfast, Sir Branagh racconta in qualche modo la sua infanzia (dice lui), nel sottofondo della guerra di liberazione irlandese… Buddy (Jude Hill) è un ragazzino di 9 anni che vive in un quartiere popolare della città… il padre fa il carpentiere in Inghilterra, Buddy è avvolto dall’amore del fratello più grande, la madre e i nonni… siamo nel 1969 e qualcosa è accaduto nel mondo, c’è stata la rivoluzione della gioia del ’68 che ha infranto i linguaggi/costumi dominanti e cercato di spazzare via i potentati con tutti i mezzi utili… ma forse Sir Branagh non se ne è accorto… sembra non sapere nemmeno che l’Irish Republican Army già dal 1922 stava combattendo per l’indipendenza dall’impero colonialista britannico, e tra il 1969 e il 1972, i battaglioni di sua maestà (Free Derry) uccisero civili e combattenti dell’IRA in bella copia… il 30 gennaio 1972, a Derry, i paracadutisti inglesi ammazzarono 472 persone (passata alla storia come la “Domenica di sangue”)… e la Regina decorò il colonnello Derek Wilford per la strage. Le carogne sono sempre ammantate di regalità!
Va detto. I combattenti dell’IRA rinchiusi nel carcere di Long Kesh (Irlanda del Nord) non venivano riconosciuti come prigionieri politici e trattati da criminali… tra questi c’era Robert Gerard Sands (Bobby), attivista della Provisional IRA… arrestato nel 1977 per detenzione di una rivoltella e condannato a 14 anni di segregazione. Le sue parole: «Avevo visto troppe case distrutte, padri e figli arrestati, amici assassinati. Troppi gas, sparatorie e sangue, la maggior parte del quale della nostra stessa gente. A 18 anni e mezzo mi unii all’IRA (Bobby Sands)». I prigionieri dell’IRA protestarono contro la disumanità dei carcerieri e dopo quattro anni di angherie danno inizio a scioperi della fame… mentre è detenuto, Bobby Sands viene eletto membro del parlamento britannico e dopo aver rifiutato il cibo per 66 giorni, muore il 5 maggio 1981. Altri 9 prigionieri dell’IRA si lasceranno morire di fame in nome
della giustizia e della libertà.
Alle anime sensibili per i movimenti di liberazione, rimandiamo al film di Steven McQueen, Hunger (2008)… la storia di Bobby Sands è trattata in maniera asciutta, quasi sacrale, e l’irlandese Michael Fassbender dà a Sands un’austera forza veridica. A Belfast, tra il 1969 e il 2001, negli scontri tra partigiani dell’IRA, cattolici, protestanti e civili… sono rimaste uccise oltre 1.500 persone… ancora oggi i due quartieri sono divisi da un muro e i cancelli o varchi lungo di esso vengono chiusi ogni sera alle 21.00 e riaperti alle 06.00 della mattina. Nella gerarchia dell’impostura, re e regine occupano il primo posto, alla loro destra tengono Dio, alla sinistra i tiranni che si occupano dell’assassinio di massa.
Di Belfast. Il film di Sir Branagh è quasi un film da camera, anche riuscito… la fotografia in bianco e nero, l’attorialità orchestrata con lucidità, lo sguardo ingenuo del ragazzino che assorbe tanto la violenza dei protestanti quanto la passività dei cattolici… i giovani protestanti (fomentati dal prete della loro chiesa) picchiano le famiglie cattoliche, saccheggiano i supermercati dei cattolici, impugnano le armi per fare piazza pulita di tutti quelli che non la pensano come il loro credo impone… ed ecco che sopraggiunge l’esercito britannico che circonda il quartiere… i soldati della regina però sono affabili… arrestano il cattivo protestante ma non alzano i fucili contro nessuno… proteggono tutti… specie i possedimenti della Corona… la famiglia di Buddy monta sul pullman che li porterà a Londra, al sicuro da tutte le sommosse a venire. Lì c’è la vera grandezza del potere che si erge a protezione di tutti i sudditi, basta che tacciano, s’accontentino e se fanno qualche protesta (magari perché i televisori sono troppo cari), non facciano sul serio.
Sir Branagh è uomo di mestiere… si vede… incentra il film su sentimenti svezzati… il ragazzino è il filo conduttore tra una famiglia protestante, aperta a tutte le religioni e la comunità… il padre (Jamie Dorman) vuole emigrare in Inghilterra o in Australia perché l’Irlanda è infuocata di discriminazioni, la madre (Caitríona Balfe) è legata alla sua terra e accetta l’esodo con molte perplessità, il nonno muore per un male contratto in miniera e la nonna osserva rassegnata la partenza della famiglia. Ci sono inoltre delle furberie accattivanti… come quando Buddy, insieme all’amica Moira (Lara McDonnell), ruba la scatola di detersivo nel saccheggio del supermercato (che la madre costringe a restituire), o la storiella amorosa di Buddy per Chaterine (Olive Tennant), compagna della scuola cattolica… il tutto condito con una sapiente conduzione dei protagonisti che ci fa sentire persino il rumore delle lacrime.
A ritroso. Sir Branagh è abile co-produttore, sceneggiatore e regista di un film che fa breccia sulle emozioni degli spettatori… le persone del quartiere si conoscono e anche se hanno religioni diverse, in qualche modo si capiscono… ciascuno è portatore della propria verità e l’atmosfera della strada racchiusa tra due barricate, sembra proprio la ribalta di una pièce teatrale per buone famiglie. Ci sono le violenze dei giovani protestanti, è vero… ma il regista li relega a qualche smargiassata o poco più… e i ribelli dell’IRA? Non ci sono. Perché? Forse Sir Branagh temeva di disturbare i sonni della corte d’Inghilterra o forse sapeva che tutte le formule di salvezza portano alla forca! Certo, l’umanesimo del sangue è più pericoloso dell’opportunismo spettacolare, lo sappiamo… tuttavia quando si cancella l’amaritudine di una lotta sociale e la si camuffa con sermoni del colonialismo accettato che ne detta la farsa… ciò che resta di un film, come di un uomo o di un popolo, è la fatalità senza splendore.
La fotografia di Haris Zambarloukos è levigata, quanto aggraziata… dà una certa preziosità figurativa al film, ma a ben vedere resta in superficie della narrazione… lavora sulle luci alte e oscilla tra il reale edulcorato e la realtà mistificata. Gli inserimenti a colori nulla aggiungono, semmai tolgono, al racconto filmico, eccetto forse l’inserto teatrale (ci mancava che si rievocasse anche la costruzione del Titanic a Belfast nel1912, per passare all’adulazione segreta di una città martoriata dalla guerra civile). Il montaggio di Úna Ní Dhonghaíle si limita ad “aggiuntare” le sequenze e la musica di Patrick Doyle adorna Belfast di una gradevolezza fuori tempo… qui ci sono insomma tutti i surrogati per un film di successo, certo… gli entusiasmi di critica e pubblico s’insinuano in sciocchezze superiori, mantengono le giustificazioni, le spiegazioni o le scuse, sul piano dell’ordinario… il fatto è che Belfast si chiama fuori dalla necessità d’impugnare un frammento storico importante, per niente controverso, del tentativo di liberazione di un popolo dagli invasori.
Sir Branagh è un riguardevole direttore di attori… il ragazzino è sciolto, ma non è vivo quanto basta per capire la confusione che ha intorno… l’interpretazione dei nonni (Judi Dench e Ciarán Hinds) è superba… ritagliano il film in angolazioni ironiche, addossate a giusti dialoghi e si prendono la scena in una sottostoria di pregevole fattura… lavorano tra il corpo e il non detto… la postura e gli sguardi… la non educazione e l’universo lirico della vita quotidiana. Il padre è abbastanza legnoso… parla d’amore ma non lo mostra… la madre è il grumo etico di tutta la vicenda, tuttavia all’attrice scappano atteggiamenti dal mondo della moda dal quale proviene… specie come indossa golfini, cappellini e pantaloni… quando si siede in una poltrona sembra indicizzare un profumo di Dior o uno straccio di Armani… è troppo algida per restituire i palpiti d’amorevolezza di una casalinga.
Il film finisce con tre dediche: A quelli che sono partiti; A quelli che sono tornati; A quelli che si sono persi… caro Sir Branagh… quelli che hanno lottato per l’autodeterminazione di un popolo e sono stati ammazzati dai fucilieri della regina, non si sono mai persi… però hanno permesso a gente come te di fare un cinema alla crema sulle loro spoglie… fai parte delle belle canaglie disseminate nei cimiteri dove riposano le consolazioni, i princìpi e le formule dell’inganno e la tristezza del tuo cinema esprime bene i rantoli d’obbedienza al potere che ti ha allevato in un gazebo di merletto e forche. Sparati un colpo alla testa, il poco sangue che ne uscirà non dovrebbe spaventarti!
Tra il cinema in forma di poesia (a ricordo di Pier Paolo Pasolini) e il consenso al botteghino, l’incompatibilità è totale. Nemmeno le frenesie sessuali di Teresa d’Avila per Gesù Cristo, presentano una mistica-spirituale da squilibrati, quanto i cammini di perfezione celati nelle immagini di Belfast… nei templi della fede si benedicono le guerre e re, regine, dittatori e generali ancora prosternano i popoli a secoli d’ingiustizie. Ogni generazione innalza monumenti ai carnefici di quella che l’ha preceduta, diceva… ma non tutte le vittime hanno accettato d’essere immolate al trionfo di un Regno o uno Stato! Alcuni sono stati uccisi perché si sono dissociati dalla soggezione generalizzata e altri nasceranno ancora per riprendere la lotta verso la conquista della bellezza dell’umano nell’uomo.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 17 volte marzo, 2022