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SULLA FILOSOFIA DEL’ANGELUS NOVUS, DELLA SOCIETÀ CHE VIENE E LO SGUARDO LIBERTARIO DEL FLÂNEUR 1
ancora a Pier Paolo Pasolini, amico e maestro, perché i suoi accattoni indifesi, le sue puttane infelici, e la meglio gioventù che è andata a combattere una guerra di Resistenza con uno straccetto rosso al collo… sono angeli necessari a comprendere l’amore perduto di una dolente umanità e la conquista delle prossime primavere di bellezza al canto di “Bella ciao”…
“Un figlio nato lontano, nel mondo dei borghesi, con in mano la bandiera della Novità, scolaro dello Scandalo, erede della Rivoluzione, è morto di amore per un mondo di foglie bagnate dalla pioggia, e non ha trovato mai nulla di più dolce di quel tornare dei Padri nei Figli”. Pier Paolo Pasolini
I. DELLA FOTOGRAFIA DI STRADA
La fotografia muore di fotografia. La follia per la “bella fotografia” nasce da una cattiva educazione all’immagine che l’impero dei mass-media ha disperso nell’immaginario collettivo. L’ignoranza dei fotografi (specie i più foraggiati dalle marche di fotocamere, dalle gallerie del mondano o dalle aziende di calendari) è abissale. Credono di sapere tutto sul valore degli attrezzi di lavoro, sulle sensibilità delle pellicole, sull’avanzare del digitale nella presa del potere della fotografia da parte del popolo… e insieme ad una marea montante di squinternati che si attaccano al collo, come un giogo, la macchina fotografica e imperversano a ogni angolo delle metropoli, delle campagne o nei viaggi specializzati nel turismo sessuale sui bambini… non si accorgono che la loro cecità creativa è una sorta di schiavitù e di genuflessione ai riti e ai codici della società dello spettacolo. “Il governo dello spettacolo, che attualmente detiene tutti i mezzi per falsificare l’insieme della produzione nonché della percezione, è padrone assoluto dei ricordi e padrone incontrollato dei progetti che plasmano l’avvenire più lontano. Egli regna ovunque; egli esegue le sue sentenze sommarie” (Guy Debord).2 La storia della fotografia consumata non mostra l’inefficacia delle fotografie per la conquista di un’umanità migliore, è soltanto la somma delle vanità mercantili smerciate come “avvenimento” artistico.3 Di contro, la fotografia di strada insorge nella poetica randagia che la fotografia insegnata non è, né conosce. La verità spettacolare manifestata nell’impostura delle ideologie e delle fedi è il teatro delle maschere, dove l’uso manipolato della creatività cancella la selvatichezza della vita quotidiana e la principale produzione della società attuale è lo spettacolo. Ai quattro venti della terra il falso ha preso il posto del vero e il consumo delle immagini fa del cattivo uso della verità o della poesia, la distruzione della memoria storica. Il dominio dello spettacolo è tentacolare. Arriva ovunque e ovunque l’umanesimo della merce si è sostituito ai soggetti sociali. Nel tempo dell’inganno universale dire dell’amore dell’uomo per l’uomo è un atto rivoluzionario, forse. Fuori dalla soggezione dell’arte deposta nei confessionali dei tiranni e dei papi… Velàzquez, Goya o Caravaggio hanno magnificato la diversità come ricchezza sociale e sostenuto che l’arte è nella strada, e quando celebra il sacro o il mito soltanto, non è che la caricatura di se stessa o semplice genuflessione al potere. Carl Th. Dreyer, Robert Bresson, Georg W. Pabst, Robert J. Flaherty, Luis Buñuel, Glauber Rocha, Jean Vigo o Pier Paolo Pasolini… si sono distinti sullo schermo argentato con la stessa autorialità dei briganti di confine e si sono fatti disertori dell’ordine costituito. Avevano compreso che si credeva di lottare per la giustizia, l’eguaglianza, la libertà, ma nei fatti si lavorava alla costruzione dell’imperialismo economico. In questo senso hanno rovesciato l’ordine dei bisogni e opposto lo sguardo dei piaceri fuori dal forcipe delle ideologie. Nell’epoca del mercato globale ogni guerra è giustificata dalle promesse dei governi dei Paesi ricchi. Il genocidio continua. Dopo Auschwitz, Hiroshima, i gulag… il linguaggio delle armi ha preso il posto della ragione e i canti dei poeti e i pianti dei bambini sono seppelliti nella distruzione di massa dei popoli impoveriti. I limiti etici del profitto non hanno confini. I veri “nemici” dell’umanità sono i rigidi trattati di libero commercio, le armi nucleari, le tecnologie produttive basate sulla violenza, l’ingegneria genetica, le guerre del petrolio e dell’acqua, lo sviluppo del neocolonialismo di pace… “Il terrorismo è la guerra dei poveri, la guerra è il terrorismo dei ricchi” (Frei Betto, diceva). Maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno. La fotografia di strada è una scrittura visuale dei corpi. È un viaggio o un ritorno verso i valori dell’umanesimo, riconosciuti o fissati nella storia in un’immagine che è in grado di reinventare l’unicità dei ritrattati. Lewis Hine, August Sander o Diane Arbus, lavorando su visioni diverse dell’esistente, sono giunti al medesimo fine: non basta più trasformare il mondo, perché esso muta di pelle con le “truccherie” e i tradimenti delle politiche dominanti. Si tratta di interpretare adeguatamente questo mutamento affinché esso non produca il regno degli idioti che emerge dalla civiltà che si autodefinisce “moderna”. La lettera sull’”umanismo” di Martin Heidegger, lo studio sul potere di James Hillman, il trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni di Raoul Vaneigem o la critica radicale della società dello spettacolo di Guy Debord… dicono che “il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora. Il loro vegliare è il portare a compimento la manifestatività dell’essere; essi, infatti, mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono” (Martin Heidegger).4 La fotografia di strada, dunque, ruota intorno alla liberazione del linguaggio dalla grammatica per inserirlo in una struttura, figurazione altra, più essenziale, più originaria o poetica al pensare. Il fare-fotografia di strada significa fissare la verità dell’essere nella sua temporalità. Non si tratta di fotografare l’uomo, ma di fotografare questo uomo e come sta al mondo. La fotografia (come la macchina/cinema, la televisione, la telefonia, la carta stampata, i giocattoli o i cannoni…) esprime i luoghi e l’anima del potere e all’interno della teocrazia dei produttori di consenso, vive dappertutto tranne che nella Fotografia. La fotografia è un dio dei messaggi, della comunicazione, degli scambi commerciali, delle truffalderie politiche… cela che tutto quello che verrà sarà simile a quello che è già avvenuto. La rivolta degli schiavi è rimandata. La dimensione del potere subordina ogni forma di socialità con le esigenze del mercato e non tiene conto del regno dello spirito, di quel volo verticale verso l’emozione solitaria che si manifesta come libertà e rispetto dell’uomo. “Il potere spirituale può anche dormire nel villaggio e camminare con i lavoratori, perché questo genere di potere non è contaminato dai fatti della vita. È al di sopra del denaro, al di sopra del prestigio e della fama. La sua autorità è suprema o, per meglio dire, la supremazia è la sua autorità” (James Hillman).5 Andare avanti significa andare verso le periferie invisibili della terra, verso la fame dei popoli maltrattati, e indietro, verso il dolore degli altri. Il liberalismo delle idee, strano a dirsi, non ha mai voluto dire rispetto per i diritti umani dei più deboli e tolleranza del libero pensiero. Le politiche delle società “evolute” hanno pianificato le relazioni sociali e con il clamore delle forche hanno imposto un rigore della permissività fondata sulla violenza e il crimine istituzionalizzato. “Non siamo mai usciti dal tempo dei negrieri” (Raoul Vaneigem).6 Di più. La società spettacolarizzata non ha solo trasformato servilmente la percezione, ma soprattutto ha fatto del monopolio del-l’apparenza, la ricostruzione e il confortorio dell’illusione religiosa. “L’insieme delle conoscenze che continua attualmente a svilupparsi come pensiero dello spettacolo dove giustificare una società senza giustificazione, e porsi come scienza generale della falsa coscienza” (Guy Debord).7 Il sistema spettacolare esprime una sotto-comunicazione diffusa che smussa i conflitti sociali e ri/produce spettatori o complici. Quando alcuni storici, galleristi o critici della fotografia — iscritti nei gazebi dei saperi accademici o dell’avanguardia del vuoto — ci hanno chiesto a cosa serve, nell’epoca della tecnologia satellitare, la fotografia di strada, abbiamo risposto — a niente, come Mozart! —.
II. DELLA FILOSOFIA DELL’ANGELUS NOVUS
“Io sono povero. E questo è imperdonabile. È un delitto. Quando ci si fa onorare dai ricchi, si ha tutto del lacchè. Quando ci si fa riconoscere dai poveri minchioni di poveri, si ha tutto del ladro. Non ne ammazzano abbastanza, di poveri”. Louis-Ferdinand Céline
La poetica ereticale della fotografia di strada è una scrittura iconografica del diverso che avanza sulle macerie del banale che crolla. È la fotografia dell’angelus novus che si appropria della filosofia dello stupore di Immanuel Kant, Karl Jasper o Walter Benjamin e congela lo spazio e il tempo fuori dai “segni” dell’impotenza e dell’imposizione. La realtà non nasce dalla nostra coscienza e non ha nulla a che fare con essa. Resta a noi sconosciuta e inconoscibile, forse. La coscienza è sempre coscienza di qualcosa che rovescia le categorie della conoscenza date. Alla maniera di Giordano Bruno: L’atto che ci rende liberi da ogni forma di soggezione culturale/politica è sempre una rottura (il mistero del mondo finito è dentro di noi e quello del mondo infinito — finalmente degno dell’Uomo
— si manifesta nella bellezza che l’uomo può incontrare nella natura, nell’arte, nella sorgività dell’essere). In questo senso la finalità senza fine di Kant s’intreccia alla libertà dello spirito di Jasper e al risveglio dell’esistenza di Benjamin. Il linguaggio (in)diretto, metaforico, casuale… della fotografia di strada figura dunque, la felicità sofferta e quella possibile.
Nel fare-fotografia di strada, il momento dell’angelus novus è un colpo di dadi sul culo della storia. Conferisce all’istante scippato alla particolarità del qualunque, l’aura del singolare, dello straordinario, del fatato… è una rottura del consueto e in una specie di lotta amorosa tra ritrattato e fotografo, la comunicazione di un’esistenza che s’intreccia con un’altra esistenza e tutto ciò dà vita a una filosofia della meraviglia che fa dell’esperienza del limite, lo strappo con tutte le scritture cifrate, decifrandole. Walter Benjamin (García Lorca, Paul Klee, Wallace Stevens…) ha trattato l’avvento del-l’angelus novus come forza profetica che disvela le figure delle catastrofi annunciate nella
società opulenta e nei giardini dorati dell’arte. Il Giudizio dell’angelus novus sta nel suo sguardo radicale e nel terrore di verità che porta con sé. Al culmine delle rovine che annuncia, si fa forte il suo stupore estremo che si oppone o si chiama fuori non solo dai possessori della storia del potere ma anche da quelli che l’adorano. Il suo messaggio riguarda tanto il presente non condiviso, quanto il divenire libertario verso il quale s’invola.8 L’angelus novus di Benjamin, come l’angelo del meraviglioso di Herbert George Wells,9 sa benissimo che in questa società non c’è posto per gli angeli, tuttavia la discesa degli angeli dell’arte sulla terra è una specie di specchio dove si riflettono le ingiustizie della società umana. Il “lievito” della ribellione che l’angelus novus porta con sé, si scaglia contro la civiltà del profitto e dell’ipocrisia e denuncia il rovescio dell’eterno nell’immaginale degli uomini. Cogliere l’immaginario dal vero o rubare l’istante dell’angelus novus nell’Apocalisse del-l’ordinario, non è cosa facile. Henri Cartier-Bresson, August Sander o Diane Arbus sono, forse, i soli passatori di confine, i franchi tiratori della fotografia sociale che hanno profanato la forma pittorica prestata alla fotografia e affabulato un’etica dell’arte fotografica senza eguali. La loro opera è lì a sottolineare che la fotografia in forma di poesia è l’epifania del tragico scippata alle macerie della storia. È nel contempo la domanda e la risposta dell’accadere di fronte alla fotocamera. Per significare il mondo occorre scegliere la parte contro la quale stare. Fotografare vuol dire tenere nel più grande rispetto se stessi e i ritrattati che abbiamo di fronte, senza dimenticare mai che è indecoroso uccidere i bambini per febbre di fame, anche con la fotografia. La fotografia di strada è la costruzione di un percorso che segue l’istinto del gatto, l’intuizione dell’aquila, la passione ereticale dei cuori in amore… si tratta di costruire una situazione in rapporto con quello che si percepisce. La macchina fotografica (per noi) è uno strumento di conoscenza e non un grazioso giocattolo meccanico: “Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge: in quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale. Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore” (Henri Cartier-Bresson).10 La bellezza della fotografia non addomesticata ai linguaggi dominanti, non è quella che proviene dallo studio delle “belle arti” ma quella che contravviene o si oppone all’esposizione della banalità del male. Ogni ritratto è un autoritratto. È la scoperta di se stessi per mezzo della fotocamera e discorso sul mondo. “Il fotografo saccheggia e insieme conserva, denuncia e insieme consacra” (Susan Sontag).11 Su questi crinali estetici, mai considerati nella loro reale portata eversiva, la Neue Sachlichkeit (che traduciamo arbitrariamente in nuova cosalità) tedesca degli anni ’20 (in modo particolare la fotografia di Heinrich Zille), ha figurato la dignità della sofferenza e si è imbattuta una poetica del dolore che non è predazione, ma contaminazione e condivisione fuori dal simbolico e dal moralismo d’accatto. La fotografia sociale così fatta, ha destituito la mistificazione della realtà per destare le intemperanze generazionali e mostrare che questo non è il migliore dei mondi possibili.
III. DELLA FOTOGRAFIA DELLA BELLEZZA PER UNA FILOSOFIA SITUAZIONISTA DEL LINGUAGGIO FOTOGRAFICO
“Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone”. Pier Paolo Pasolini
“ Perché gli uomini restino civili o lo divengano, bisogna che tra loro si sviluppi l’arte dell’associazione e si perfezioni in maniera proporzionale alla crescita dell’uguaglianza delle condizioni”. Hannah Arendt
“Solo alcuni crimini di un genere nuovo, di cui certamente non si era potuto udire nel passato, avrebbero potuto non essere indegni di me”. Guy Debord
IV. DELLA SOCIETÀ CHE VIENE E LO SGUARDO LIBERTARIO DEL FLÂNEUR
“L’anarchismo non è la visione, basata su congetture, di una società futura. ma la descrizione di un modo umano di organizzarsi radicato nell’esperienza quotidiana, che funziona a fianco delle tendenze spiccatamente autoritarie della nostra società, e nonostante quelle”. Colin Ward
La società dello spettacolo è contemporaneamente il risultato e il progetto del modo di produzione esistente, diceva. La scrittura fotografica non sfugge al ruolo di domesticazione sociale, quanto al risveglio delle coscienze. Dentro e fuori la fotografia resta l’uomo liberato da ogni identificazione con il modello dominante e la pratica dell’accoglienza, della fraternità e dell’uguaglianza è il non-luogo dove si manifesta l’autentico. “Forse il solo modo di comprendere questo libero uso di sé, che non dispone, però, dell’esistenza come di una proprietà, è quello di pensarlo come un abito, un ethos. Essere generati dalla propria maniera di essere è, infatti, la definizione stessa dell’abitudine (per questo i greci parlano di una seconda natura): etica è la maniera che non ci accade né ci fonda, ma ci genera. E questo essere generati dalla propria maniera è la sola felicità veramente possibile per gli uomini” (Giorgio Agamben)12 della società che viene. La fotografia di strada è una scrittura dei corpi. La figura umana significa il vero, è l’immagine che brucia la copia. La decostruzione della simulazione iconografica fortifica le differenze in difesa della dignità dei senza voce ed emerge dal grigiore dei grandi magazzini della cultura di massa come un grido di vendetta. Lo statuto indicale della ritrattistica fotografica recupera memoria e immaginario, e se ne frega di assumere “un’attenzione-tensione costante a ciò che è esterno alla coscienza individuale, al mondo, ovvero al «mondo dopo la fotografia», come lo chiamava Robert Smithson”.13 Fare una fotografia è un modo per ri/scrivere la realtà, per toccare qualcuno che è entrato nel nostro sguardo e ha donato la sua anima alle nostre carezze. Gilles Deleuze,14 Jean Baudrillard,15 Mario Perniola,16 hanno bene analizzato l’era della società omologata e sono arrivati alla conclusione che il corpo è sempre più intrappolato nell’immagine che riproduce di sé e si trascolora nell’immagine di un immagine: in un simulacro. Il détournement dell’arte come simulacro della merce esige una fattualità del piacere che incrocia il sentire dei soggetti con la poetica dell’artista. L’arte è stata al servizio dei potenti sul filo dei secoli e, sovente, la mediocrità è stata celebrata al posto della poesia. Il tanfo del prestigio si bagna nell’acqua sporca del profitto. Tutto è permesso, perché niente è vero dell’arte mercificata. Il rovesciamento dell’arte alla rovescia passa per il soffio creatore dell’utopia e solo l’innocenza e la felicità degli angeli tentatori hanno disvelato nella storia dell’arte e nel divenire dell’uomo nuovo, che l’arte devota alla merce si porta dietro anche la sua putrefazione. La fotografia di strada o della flânerie si dilata e si trasforma in funzione di non appartenenza a nessun simulacro, cenacolo o cattedratica del potere… la fotografia della flânerie lavora nelle sbavature della società oscurata dalla pubblica opinione… sotto un certo taglio la scrittura fotografica della flânerie esprime un’estetica di resistenza e un’interrogazione della parola unica come decodifica del reale… un uomo, un popolo o un governo che pretende di avere la soluzione di tutti i mali del mondo è già un seminatore di terrore… chiamarsi fuori da un’umanità della violenza che non merita essere difesa è una necessità o un’arte del colpo di mano… l’amore, come la libertà, non è sulla punta del fucile ma nei baci al profumo di tiglio… di un’epoca ricordiamo soltanto la maschera dei tiranni e i genocidi che i governi hanno prodotto… nessuno si accorge dei bambini che muoiono per fame ai quattro angoli della terra… gli assassini sono sempre gli stessi… abitano i palazzi del potere santificato e si muovono con disinvoltura tra il macello e la cloaca dei parlamenti, idolatrati dai loro elettori o fedeli. Il naufragio dell’intelligenza emerge da un oceano di solitudini che cercano una qualche forma di felicità nell’epoca più criminale della storia dell’uomo. Le montagne della luna sono un canto della malinconia ed è lì che il flâneur accende i fuochi dell’immaginazione e gira in tondo… fin quando ci saranno ancora persone al mondo che rifiutano ogni potere, chiesa o stato… possiamo non disperare del tutto di conoscere una rivoluzione sociale che vada a gettare le fondamenta di una società di liberi e di uguali. Ogni uomo ha diritto di esigere per sé e per gli altri la libertà dello spirito e nessuno può essere libero fin quando esiste il potere, la casta, il sistema delle democrazie autoritarie o dei regimi comunisti. La fine degli sfruttati è negata sino a quando non sarà attuata la caduta pura e semplice degli sfruttatori. La fine dei padroni nasce sulla fine dei servi. “Ne deriva l’assoluta necessità della rivoluzione, che deve liberare tutti gli uomini dal Potere affinché il loro spirito sia libero. Il solo fine della rivoluzione è di liberare lo spirito degli uomini attraverso l’abolizione totale e definitiva del Potere” (Elsa Morante).17 E questo può essere possibile solo con l’unione delle differenze e un’azione comune (senza classe né partito), un grande movimento popolare che (come nel 1968) insorga contro i gangli del “nuovo fascismo” e infranga alla radice i codici e i valori di una società che ha il totale disprezzo per la persona umana. La fotografia della flânerie contiene uno smarrimento, la libertà di vedere e reimmaginare l’infamia del mondo… ogni fotografia è schizofrenica… non sempre o quasi mai coinole a Maggio. L’incinerazione delle convenzioni non è solo auspicabile per il flâneur, anche l’ostilità aperta contro ogni forma di autorità per il flâneur non è disdicevole… è il linguaggio degli stolti che lo spaventa e anche il genio prostituito lo infuria… il flâneur sa bene che l’esercizio del potere non si armonizza molto con la bellezza irriverente dei poeti e il rispetto dell’umanità intera. La fotografia della flânerie non appartiene a nessuno, figura un’interazione tra la deriva autobiografica e l’architettura della storia che gronda di sangue innocente… anche il boia di Londra era un sognatore e come i ribelli che impiccava era posseduto da qualcosa di meraviglioso, dallo stupore che non impedisce ai bambini di volare e come Alice attraversa lo specchio del reale per andare a conoscere i passaggi illuminati dell’amore che non conosce frontiere né limiti… lo sguardo del flâneur — come il cappio del boia — colleziona attimi di eternità… il flâneur è impavido, scanzonato, impertinente, sa che la macchina fotografica è una maschera, un gesto, un corpo in amore o non è niente… il flâneur non si sente a casa in nessun posto e tutto il mondo è la sua casa… “chi non ha visto un bordello alle cinque del mattino non può immaginare il tedio verso cui è diretto il nostro pianeta, disse il filosofo”.18 L’indignazione del flâneur è il suo stato naturale… laddove
incomincia a bestemmiare, laddove alza i pugni contro il cielo, si porta ai margini del-l’eternità e libera il pensiero ludico dei cacciatori di sogni nel deserto che avanza… non cerca la beatitudine ma va incontro al supremo rifiuto di tutte le forme di società organizzata. Tutti possono vedere gli angeli, i demoni, gli aiutanti, nelle lacrime dei forti, nel sorriso dei bambini o nella malinconia dei poeti… la deriva dell’arte fotografica della flânerie ci porta sul Boulevard delle passioni estreme, dove ogni gesto si carica del destino degli altri e mette in relazione la fotografia con la predica storica dell’infamia. Nel tempo incanaglito dello spettacolo come forma normale di delirio, “l’immagine fotografica è sempre più che un’immagine: è il luogo di uno scarto, di uno squarcio sublime fra il sensibile e l’intelleggibile, fra la copia e la realtà, fra il ricordo e la speranza” (Giorgio Agamben).19 Il giorno del giudizio è rimandato. Le fotografie di strada somigliano ai volti dei maestri carbonari, degli angeli ribelli o dei messaggeri delle stelle che non sempre conoscono i contenuti delle lettere/icone delle quali sono portatori… ma saranno proprio loro a non fa dimenticare il perduto, a ritemprare in noi il dimenticato, a metterci in relazione con la memoria popolare sfigurata sui marciapiedi della storia e a preparare il regno del-l’amore dove ciascuno è principe di sé.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 2006 – 2009
10 Henri Cartier-Bresson, L’immaginario dal vero, Abscondita, 2005