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I CARACCIOLINI. Immagini di una memoria napoletana

Inserito da serrilux

I CARACCIOLINI. Immagini di una memoria napoletana

Questo scritto è dedicato a quei ragazzi di strada che ho conosciuto bene e si sono persi ai quattro venti della terra o sono volati nella vita sognata degli angeli… avevano i pantaloni corti con le toppe, una bretella di traverso e rubavano i baci al profumo di tiglio…!

…e a un poeta che un’estate degli anni ’50 mi fece comprendere che l’amore è nella strada e solo l’amore aiuta gli uomini e le donne a essere un po’ meno soli… per l’amore come per la libertà non ci sono catene… si chiamava Pier Paolo Pasolini.

I Caracciolini“Io stavo seduto alla punta della ferrovia vide arrivare una famiglia di forestieri che parlavano fra di loro, chiamarono dei facchini, allora rispose io brave gente mi fate il faore di chiamarmi a me in vece di chiamare i facchini perché io ho più fame gli altri perché nessuno mi vuole allora dissero i forestieri fai due o tre capovolte io le feci e mi dietero due lire poi dissero tutti siete porci voi napoletani io rispose voi vene abbusate che io non ho mezi di vivere altrimenti io fossi meglio di voialtri ma perora io non sono porco ma siete voialtri che prima ci fate fare le capovolte e poi ci chiamate porci ma ricordatevi che io sono buono di farmi voler bene da tutti. Voi che siete signori io mi levo il berretto ma per indeligeza son meglio di voi avete capito? Scusatemi gentilissima signora Civita io ringrazio tutti i superiori che mi hanno portato a questo stato ma io son piccolino e all’evolte fo delle piccole manganze ma però il signor Comandante mi rimprovera per farmi venire su buono. La cara signora Civita che se ne affliggi di me e tanto se ne cura da che io ero analfabeta ora scrivo da per me solo senza che nessuno mi díce níente e io lo devo tutto a lei che mi aiuta o come mia vera madre. La sera quando vado in branda penso quando i forestieri mi facevano fare le capriole ma io adesso vorrei vedere quel forestiere che mi chiamava porco in vece adesso vade vestito meglio di loro da marinaio Italiano e oppure un paio di scarpe nnere. Io ringrazio pure il reverente Viggiani che mi ha fatto venire. Se pure mi mandano in guerra io muoio col nome della mia cara signora Civita e col nome della patria e viva l’Italia”.

Lastro Raffaele, caracciolino

I. LA NAVE-ASILO CARACCIOLO

I Caracciolini

I CaraccioliniLa fotografia muore di fotografia, perché l’umanità è guardata sempre (o quasi) attraverso la propria ignoranza e la propria paura. La sola fotografia buona, è quella che possiamo vedere due volte, senza bruciarla. Il mercimonio di ogni arte bruttura l’uomo e lo rende prono a ogni potere. Una storia e coscienza di classe (György Lukács)1 della fotografia non c’è stata e tutti i luoghi di marginalizzazione forzata (ghetti, carceri, manicomi, campi di sterminio, periferie invisibili delle città…) entrano nella schedografia fotografica ma raramente sono studiati a fondo, quando non indicati come “modelli” da superare… la fotografia di strada è un atlante di conoscenze che vanno ben oltre le immagini scippate alla vita quotidiana… è il superamento della logica economica mercantile della moda, della guerra, dell’avanguardia… come strumenti invasivi e persuasivi della società dello spettacolo che accede a statuto di sovranità assoluta e deplora o punisce chi diserta o disobbedisce alle regole imposte.”Lo spettacolo è un rapporto sociale fra persone, mediato dalle immagini… lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione che diventa immagine” (Guy Debord)2.

Cartoline PostaliLo spettacolo è l‘insieme della comunicazione umana trascolorata in merce. La storia insegna che sovente la gioventù più bella muore in galera o costretta all’esilio… l’amore di sé e per gli altri è il solo mezzo per abolire lo stato presente delle cose ed esigere non solo il pane, ma anche il profumo dell’acacia rosa. Il pudore della fotografia sociale muore con l’innocenza e l’autenticità dei bambini di strada di Napoli e del mondo (non solo) nei primi del Novecento… può parlare di fame solo chi la fame l’ha conosciuta o chi l’ha aiutata a superare e a sconfiggere. Una signora della buona borghesia napoletana, Giulia Civita Franceschi (1870-1957) è stata l’artefice di un “sistema pedagogico” che porta il suo nome — “sistema Civita” —… era un metodo educativo singolare, si trattava di recuperare i bambini senza famiglia nelle strade di Napoli, ragazzi abusati in molti modi che venivano sottratti alla sicura delinquenza ed esposti a ogni tipo di malattie… poneva in primo piano i valori di accoglienza, dignità, solidarietà e faceva dei piccoli sbandati futuri uomini… era un’educazione del cuore che aiutava ogni bambino a riconoscersi nei propri valori e nei propri talenti… il Ministero della Marina fece dono alla città di Napoli la nave Caracciolo3 e tra il 1913 e il 1928 fu destinata ad accogliere gli orfani dei marittimi e dei fanciulli abbandonati di Napoli (750 anime belle) che giornalisti, storici e fotografi poi hanno chiamato “Scugnizzi”.

Giulia Civita Franceschi salì a bordo della Caracciolo nel 1913 e vi rimase fino al 1928, anno in cui fu allontanata dal regime fascista. Una delle maggiori forme di pedagogia dell’infanzia mai conosciute e apprezzate in tutto il mondo ancora oggi, cadde nell’oblìo, ma non c’è nessun potere, per quanto oppressivo sia, possa soffocare lo stupore e la bellezza dei buoni poeti (come Salvatore Di Giacomo) o di angelesse della povertà (come Giulia Civita Franceschi) che sconfiggevano i falsi valori dominanti (compresi quelli della chiesa).

I CaraccioliniGli scugnizzi divenuti marinaretti sulla nave-asilo Caracciolo, in un primo tempo erano accolti e lasciati liberi di muoversi e scoprire gli altri… poi avviati all’apprendimento della pesca e alla coltura dei mitili nel lago di Fusano… alla scuola affiancavano l’iniziazione al lavoro come meccanici, falegnami, pratica della vita marinara… l’età era compresa tra i 6 e i 16 anni… i marinaretti dormivano in brande attaccate ai soffitti… la Signora Civita era sempre a bordo della nave-asilo e infondeva ai ragazzi un’atmosfera di fraternità e solidarietà… i caracciolini, come testimoniano giornali, documenti, cartoline… resteranno fortemente legati e riconoscenti alla loro “madre” e innumerevoli sono i visitatori, anche internazionali, che si avvicenderanno sulla nave-asilo per conoscere il “sistema-Civita”.

Icaracciolini5Alcuni caracciolini moriranno in guerra, altri troveranno un posto nella “società civile”, altri ancora faranno fortuna come imprenditori della loro intelligenza… nessuno dimenticherà mai la Signora Civita Franceschi, né la nave-asilo della loro salvezza. Il primo “linguaggio” è stato il toccare, la prima “lingua” il canto, l’immagine poi ha raccontato che là dove le strade dei poveri s’incrociano, i loro cuori si danno del tu! “A queste creature la nave donò una seconda nascita. Vi arrivavano laceri, pallidi, sperduti e vi ritrovarono il sorriso e, quasi sempre, la salute del corpo, insieme a quella dello spirito. La famiglia, che non conoscevano, appare ad essi come una improvvisa rivelazione. Icaracciolini6Dimenticarono prestissimo le vedute turpitudini, l’eloquio volgare della strada, e le qualità sopite di gentilezza e di bontà raffiorarono, man mano che il corpo e l’anima rifiorivano in un ambiente, che, volutamente si intonava alla fanciullezza, sommersa da conoscenze intempestive o da pericolose libertà… questo popolo infantile, disperso nel vento e nel sole, nella miseria, è una caratteristica della nostra città” (Giulia Civita Franceschi, 1947).

Icaracciolini7Gli scugnizzi non furono solo “futuri soldati della patria” (Andrea Viggiani, sacerdote, 1914), più di ogni cosa i caracciolini sono stati l’espressione di una comunità amorosa che ha dato voce e corpo (immagine) a chi non l’aveva mai avuta.

Icaracciolini8“Ciò che ogni giorno ci uccide — diceva un saggio — non è la morte ma l’avvilente vita” (Edmond Jabès).

I caracciolini ci ricordano ciò che non è più… i loro volti, i gesti, gli sguardi erano colmi di speranze che alimentavano domani migliori… hanno colto le rose della vita e mostrato più tardi di essere uomini liberi e creatori dei propri sogni, al di là del bene e del male.

 

II.GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI.

IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA

Icaracciolini9La storia della fotografia è storia di realtà tradite, menzogne e mercimonio… la fotografia sociale, quando è grande, parla di se stessa nel ricordo e nello stupore di un’epoca.

Le immagini dei caracciolini, degli scugnizzi napoletani, sono opera di fotografi-artigiani e al di là dell’occasionalità e dell’ordinazione esprimono una sapienza fotografica fatta di rispetto e dignità per i piccoli ritrattati… ci passano negli occhi ragazzi sporchi, coperti di stracci, impauriti… poi vestiti da marinaretti e infine da marinai… in abiti borghesi… c’è una fierezza particolare in quei volti e una malinconia antica che commuove… qui la fotografia si lascia attraversare dai corpi e va oltre il cartolinesco (scugnizzi che mangiano gli spaghetti con le mani per i fotografi di qualche club aristocratico), il patetico (scugnizzi che in cambio di un avanzo di pane fanno capriole sulle rotaie della stazione per sollevare la noia di viaggiatori in attesa di partire con Napoli nel cuore) o l’oleografico (scugnizzi sulle banchine del porto che si buttano in mare per andare a prendere a fondo i pochi soldi gettati dai turisti)… l’estetica del miserabilismo, che tanta fortuna ha avuto negli annali della storiografia fotografica, è bandita dalla presa di una realtà che “buca” la storia e riporta l’eterna miseria di questi ragazzi maleamati a interpreti di straordinaria bellezza.

Icaracciolini10In questa iconografia dell’infanzia violata non c’è traccia nemmeno di quel senso di sublimazione dei corpi (nudi) e profanazione metaforica tanto cari al barone Wihelm von Gloeden (1856-1931), uno dei molti fotografi che le gallerie più importanti del mondo si contendono a colpi di dollari e a leggere bene la sua opera, non è difficile intendere la fotografia ad uso delle sue inclinazioni sessuali. Lo scandalo è propedeutico al sistema e il cattivo genio è solo un mercante che si accontenta del tragitto ludico… la fotografia è anzitutto la confessione di un corpo ed è allora che l’immediato s’intreccia col giusto.

Gli stati sublimi del barone von Gloeden si nutrono di omissioni, di condizionamenti, d’interpretazioni allusive dei corpi di fanciulli in fiore… i corpi in amore dei caracciolini sono legati al pensiero di Nietzsche: “Ciò che non mi uccide, mi fortica”. Di più.

Icaracciolini11Le immagini dei caracciolini emergono tra corpo e coscienza e dicono ciò che il corpo esige. Questa fotografia dei corpi è l’affermazione della libertà pura che nasce nell’atto stesso che si afferma come impronta della storia. La fotografia d’impianto sociale è un modo di vedere la realtà e raccontarla. Le immagini di Jacob Riis, Lewis Hine, Eugène Atget, Paul Strand, August Sander, Walker Evans, Weegee, Robert Capa, Tina Modotti, Henri Cartier- Bresson o Diane Arbus… attraversano l’intera storia della fotografia e interrogano il suo manifestarsi. Le loro immagini-flânerie (passeggiata, passaggio, deriva) scavalcano i confini linguistici della fotografia museale e spaccano i confini che segnano oppressi e oppressori. La loro cartografia umana dà visibilità ai condannati al silenzio, alla povertà, alla costrizione, alla violenza… e va a comporre un’umanità senza frontiere che interroga destini individuali e destini storici.

Icaracciolini12La passione della fotografia di strada è la scoperta del sé di fronte all’ignoto e fa dei ritrattati di ogni-dove il centro del mondo. La fotografia della speranza che passa sui corpi, sui volti, negli sguardi dei caracciolini è speculare… i ragazzi guardano in macchina, stupiti, timorosi, qualche volta spavaldi… e da soggetti feriti ai bordi dell’ordinario si trasformano in narratori di un evento che è storia di vita vissuta… la macchina fotografica cessa di essere uno strumento che celebra il rito o “segno” dello spettacolare integrato nella comunità di appartenenza e diviene “specchio”, “cammino” e promessa di felicità possibile… gli scugnizzi napoletani fotografati nella loro crescita fino alla divisa da marinaio, figurano una memoria storica straordinaria e conservano il significato di un principio di giustizia che impedisce a chi vede, legge o scopre quelle immagini, di dimenticare.

La ritrattistica dei caracciolini è una sorta di album di famiglia… dove una profonda conoscenza della situazione drammatica impressa nei corpi dei ragazzi fotografati (non solo) in studio ai tempi della fotografia come impronta sociale… si rovescia in una scrittura iconografica epica dove dignità e rispetto fuoriescono ad ogni scatto… le immagini dei caracciolini sono opere d’intaglio nel corpo morto della fotografia celebrata (re, papi, capi di Stato, lotte operaie, bordelli d’alto bordo, guerre per esportare la democrazia, linciaggi dei dissidenti, arene sportive, miti di celluloide)… dirottano il linguaggio della fotografia a una diversa materialità o percezione dell’esistente che sino ad allora molti sembrava ignorassero.

Icaracciolini13“Il tempo narrato diventa tempo storico quando è assunto dalla memoria sociale e dall’azione sociale” (John Berger)4 e alla lunga il dissidio contro le convenzioni non è altro che la rottura del prestabilito e del sempre uguale. La scrittura fotografica “artigianale” degli scugnizzi / caracciolini porta una nota di disturbo o di eccellenza nella visione dominante dell’infanzia abbandonata, umiliata, offesa… la testimonianza artistica è importante quanto il testimone e insieme si riflettono nelle pagine dimenticate di un’umanità maltrattata, malfamata, repressa perché non aderente ai codici di comportamento della società imperante… le immagini degli scugnizzi / caracciolini esprimono al contempo un senso di sradicamento e di utopia dell’amore amato… l’approssimarsi della fine del dolore e la percettibilità di una sorta di attenzioni mai avute… non c’è spontaneità nei loro ritratti, c’è invece autenticità e rivelazione o bisogno di abbracci e carezze sempre sognati.

Icaracciolini14La sofferenza dei corpi e degli sguardi è respinta nella speranza come liberazione e fine di appartenenza a una vita feroce e a un futuro ancora peggiore… forse troveranno il loro posto nell’universo e oltre quella nave-asilo… i loro volti dicono che la verità è sempre alla fine della miseria e ogni verità è inseparabile dai comportamenti e dai sogni con i quali affrontano il mondo nuovo.

Le immagini degli scugnizzi / caracciolini comunicano la soggettività nel momento in cui l’oggettività del dolore viene superata… mostrano la consapevolezza che l’esperienza soggettiva è un fattore storico importante per riuscire a comprendere e interpretare un’educazione del cuore che segna la fine delle sofferenze. L’amore conferisce bellezza e unisce le diversità. L’amore non ha nulla da rimproverare o perdonare. L’abbiamo già detto altrove: — «È l’amore e la scoperta del sé che portano a superare un presente che non è sempre bello… a sconfiggere la paura con la conoscenza di essersi liberati dell’immobilità e dell’impotenza… è l’amore che porta nei cuori il soffio della felicità e inventa quello che di noi stessi è sconosciuto… è l’amore, così vicino così lontano, che ci riporta ad essere protagonisti della nostra storia e al centro delle nostre esperienze, amandoci… quando riconosci l’amore vuol dire che hai già perdonato… perché l’amore è quell’impossibile magico che ci fa toccare la dolcezza dei forti… che ci porta i baci al profumo di tiglio… è un eccesso di luce… è il blu che toglie al nero il mistero. Legati a una stella, la più lontana… e vai alla deriva dei tuoi sogni» —5.

Icaracciolini15La coscienza del dolore della fotografia di strada o popolare, si trasforma in conoscenza del dolore dell’intera umanità. Nell’anatomia fotografica del dolore degli scugnizzi / caracciolini (la veridicità dei corpi, delle posture, dell’intreccio autobiografico tra fotografo e fotografato…) in/sorge anche una fenomenologia della speranza depositata nel profondo degli sguardi… non c’è ragazzo che non abbia una luce riflessa negli occhi, ma non è quella dello studio fotografico, è qualcosa che fiammeggia oltre la fotografia, è la speranza, forse, della fine delle botte, della fame, dei riformatori… la fine degli abusi, delle lacrime rimaste invendicate… è la fine della disperazione e la conquista della parola… “La speranza è per loro [per tutti i “quasi adatti”] qualcosa da mordere, da mettere fra i denti… con la speranza fra i denti si ha la forza di tirare avanti anche quando la fatica non dà tregua, si ha la forza, se necessario, di trattenersi dal gridare al momento sbagliato, la forza soprattutto di non urlare. Una persona con la speranza fra i denti è un fratello o una sorella che incute rispetto. Coloro che sono senza speranza nel mondo reale sono condannati alla solitudine” (John Berger)6. Tutto vero. Si vive al di qua dell’utopia e si muore al di là della soglia del reale, sempre.

Icaracciolini16La fotografia della realtà degli scugnizzi / caracciolini — la ritrattistica di studio o l’immagine rubata nella strada, nei vicoli, sulle banchine di Napoli o sulla nave-asilo — e/segue un ordine indiziale e non aderisce al reale come somiglianza… supera il foto-documento e diviene testimonianza di qualcosa che è stato… la realtà è vista come rappresentazione e non come effetto della realtà… la fotografia della realtà così affabulata “definisce il senso fotografico come indice, come traccia significante il cui legame con la cosa che rappresenta è quello di essere stata fisicamente prodotta dal suo referente” (Rosalind Krauss)7.

Quel che ho ricevuto in eredità dalla fotografia popolare — diceva — è la speranza di un amore vero… il candore della conoscenza dei primi passi, la saggezza selvatica che a volto scoperto manifesta la bellezza della speranza e inchioda la verità delle rovine nella limpidezza dell’amore.

Icaracciolini17Nei cieli svaligiati delle parole volate via e nelle vestigia delle immagini che aggirano amabilmente le difficoltà e le imposture legiferate, non c’è più nulla da leggere. La figurazione dei corpi, l’anatomia dei segni, la psicologia degli sguardi di questi ragazzi di strada si legano a una filosofia morale che li trasporta fuori dall’industrializzazione del ritratto fotografico celebrato dopo il 1860 e sopravvissuto, profanato, distorto o evangelizzato fino ai nostri tempi… qui le meraviglie e le possibilità della fotografia mostrano che la fotocamera si introduce là dove l’occhio umano non coglie che frammenti di vita… nei primitivi della fotografia c’è già tutto ciò che serve a un fotografo (anche dopo la rivoluzione digitale) alla restituzione di un pensiero che è traccia di verità o ingiustizia… la fotografia contiene ed estende le tecniche e le estetiche di ogni forma d’arte e s’instaura nella storia come strumento ereticale di percezione simbolica che può modificare punti di vista o suggerire intenzionalità politiche o mercantili tese alla dominazione delle masse… le scritture socioestetiche della fotografia di strada, in modo particolare, costituiscono o costruiscono situazioni nelle quali gli enunciati (le immagini) si chiamano fuori dal narcisismo delle mode e delle convenienze e inaugurano una visione altra della realtà… fare fotografie dunque è una sorta di condivisione con l’ascolto e raccogliere così storie e testimonianze di ciò che gli uomini, le donne stanno vivendo o soffrendo.

Icaracciolini18Gli equivoci e i pregiudizi sull’arte della fotografia sono molti… “il pregiudizio oggettivista, innanzitutto, che identificava la specificità della fotografia, in nome di un concetto feticcio di arte incontaminata dalla tecnica — meccanismo di difesa abbastanza trasparente che vediamo riprodursi con puntualità ogni qualvolta una cultura dominante o parte di essa veda profilarsi una minaccia alla propria legittimità costituita — infine l’equivoco individualista, luogo comune accreditato da un certo tipo di discorso psicologico, che situava la pratica fotografica nella sfera pressoché imprendibile della fantasia individuale” (Milly Buonanno)8.

Le scritture fotografiche più alte, come quella degli scugnizzi / caracciolini, non sono un fare-fotografia estemporaneo o soltanto tecnico, scritturale, ma un lavoro di scelte etiche ed estetiche che colgono la democratizzazione del ritratto fuori dai canali della ricettività collettiva e dal ricordo o dalla nostalgia del “come eravamo”.

Icaracciolini19Ogni opera d’arte riflette la personalità intima del suo autore. La fotografia sociale è la scelta dei significati che proclama e in una certa misura afferma le intenzioni esplicite dell’autore… “Incapace dell’arte raffinata della contemplazione silenziosa e immota che si impone davanti a certi paesaggi o a certi monumenti [a certi volti…], il fotografo impenitente [il fotoreporter del sangue facile, il pubblicitario senza estro, l’esteta di crocifissioni inconfessate, il fotoamatore imbecille…] si esaurisce in una laboriosa ricerca di immagini. Finisce per dimenticare di guardare ciò che fotografa, viaggia senza vedere e non riconosce mai altro che quello che il suo apparecchio gli restituisce… Nel linguaggio di tutte le estetiche, la frontalità significa l’eterno, in opposizione alla profondità attraverso la quale si reinserisce la temporalità, e il piano esprime l’essere o l’essenza, in breve, intemporale” (Pierre Bourdeau)9. Tutto vero. Il ritratto, più di ogni altra forma del fotografare, è sempre un autoritratto, l’oggettivazione dell’immagine di sé negli occhi dell’altro.

Il valore di una fotografia si misura innanzitutto dalla bellezza implicita dei ritrattati (non importa a quale strato sociale appartengano) e più di ogni cosa la fotografia è sempre un’interrogazione o segno di qualcosa che non è o che stato tradito.

Icaracciolini20Lo scandalo della fotografia popolare è quello di non “illustrare”, riprodurre, falsificare i significati, ma di rinviare il proprio discorso fuori dalle norme consacrate e dal discredito obbligatorio devoti al mercimonio della “cultura colta”. Critici, storici, mercanti del tempio della fotografia… tuonano dalle loro tribune erudizione culturali sulla fotografia che non conoscono, né praticano… la gerarchia della legittimità fotografica passa dai loro scanni, dalle loro riviste, dai loro saggi dove dissertano su tutto il sapere dei linguaggi fotografici e nulla sanno del sangue dei giorni della fotografia popolare… i fotografi appassionati, romantici o utopisti, coloro che sono sempre a un passo dalla galera o dalla follia (o dalla poesia, forse), “rompono con le regole della pratica comune e si rifiutano di conferire alla loro attività e al suo prodotto, il significato e la funzione riconosciuta” (Pierre Bourdeau)… sono loro che sviluppano la teoria estetica delle loro opere e interpretano l’esistenza della fotografia come arte autentica.

Icaracciolini21La fotografia popolare degli scugnizzi / caracciolini va a sconvolgere l’ordine convenzionale del visibile che esce dalla tradizione pittorica e letteraria come percezione dell’esistenza, fuori dall’obiettività e dalla perfezione estetica va — oltre la posa — e si assume il coraggio di rispettarsi e di rispettare come esigenza creativa. I fotografi- artigiani degli scugnizzi / caracciolini hanno lavorato sulla trasposizione del significato e fatto emergere la bellezza del linguaggio fotografico. “Per la mentalità moderna, la distanza tra etica ed estetica è chiara. L’estetica può rimanere personale e relativa.

L’etica ha scopi universali” (Luigi Zoja)10. Per i filosofi greci la bellezza è intimamente legata alla giustizia, sono due diverse facce della stessa qualità: la virtù e l’eccellenza, diceva. La bellezza è uno stile, la giustizia è il florilegio della sua poesia. Il realismo della realtà è tutto qui. Qualunque imbecille può fare una buona fotografia, ma solo un poeta può comprendere e cogliere l’immagine della bellezza e della giustizia come testimonianza del proprio tempo… di nessuna chiesa è la fotografia popolare.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 3 ottobre 2009

1 György Lukács, Storia e coscienza di classe, Sugar Editore, 1967
2 Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1978
3 Per una trattazione storica più dettagliata e compiuta della Nave-asilo Caracciolo e del lavoro pe­dagogico di Giulia Civita Franceschi, si veda la straordinaria mostra — “Da scugnizzi a marinaretti” —, a cura di Antonio Mussari e Maria Antonietta Selvaggio (che è stata esposta nella Summer Shool dell’università Orientale di Napoli, a Procida, il 21 / 28 settembre 2009) o il sito www.MuseodelMareNapoli.it
4 John Berger, Sul guardare, Bruno Mondatori, 2003
5 Pino Bertelli, L’angelo del non-dove. Encomio sull’eresia dell’amore e sulla ribellione del cuore dei ladri di sogni, Traccedizioni, 1996
6 John Berger, Modi di vedere, a cura di Maria Nadotti, Bollati Boringhieri, 2004
8 Milly Buonanno, La fotografia, a cura di Pierre Bourdeau, Guaraldi, 2004
9 Pierre Bourdeau (a cura), La fotografia, Guaraldi, 2004
10 Luigi Zoja, Giustizia e bellezza, Bollati Boringhieri, 2007

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