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C’era una volta a… Hollywood (2019), di Quentin Tarantino

Inserito da serrilux

C’era una volta a… Hollywood (2019), di Quentin Tarantino

“…Ciò non toglie che l’idea degli anarchici di annientare qualsiasi autorità resti una tra le più belle che mai siano state concepite”.
E.M. Cioran

Le baracconate del cinema americano tirano molto al botteghino e nelle sozzure dei festival internazionali del cinema più blasonati… il popolo accorre, i critici anche… le televisioni non fanno mancare il loro disarmo dell’intelligenza nei telegiornali… così tra un servizio sui migranti che affogano nel Mediterraneo, una guerra d’occupazione nel deserto, terrorismi al servizio di governi e mercanti d’armi o l’accendersi di rivolte urbane un po’ dappertutto… le star di Hollywood dispensano sorrisi, vestiti griffati e nelle interviste parlano anche che bisogna salvare il mondo… che bello! gli spettatori della civiltà dello spettacolo sono serviti! senza sapere mai che la libertà di pensiero si può manifestare soltanto nel crollo delle fedi, delle ideologie e dei mercati come contenuti senza sostanza o, alla meglio, dogmi che determinano i deliri dell’immaginario collettivo.

Una società si rivela prolifera di servi per la facoltà che essa ha nella domesticazione sociale… la seduzione del non vissuto quotidiano è una degradazione dell’identità e non sono certo i partiti, le religioni, i profitti bancari o la politica dei fucili a fertilizzare le schegge di utopia che si fanno avanti dai quattro venti della Terra… i portatori di nuovi fuochi della conoscenza invitano a riprendere l’antica spontaneità alla rivolta popolare e ricondurla verso valori perduti o traditi… gli anarchici non saranno mai lodati abbastanza per aver denunciato — e qualche volta fatto crollare — i crimini d’ogni potere e, più ancora, per non aver mai abbassato le armi contro l’arroganza, l’illusione e la tirannia.

Brad Pitt and Leonardo DiCaprio star in Columbia Pictures “Once Upon a Time in Hollywood”

Al cinema, come ovunque, “per raggiungere non tanto la felicità quanto l’equilibrio, dovremmo liquidare una buona parte dei nostri simili, praticare quotidianamente il massacro” (E.M. Cioran, diceva con il gusto del paradosso, ma non tanto)… sono i luoghi comuni che alzano le forche dell’indifferenza e il delirio del potere uccide la vita, che solo la rivolta rende possibile. C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino, appunto, non è solo un film, è soprattutto una merce che prefigura ed evoca la sovranità dell’apparenza sui bassifondi dell’esistenza spettacolarizzata… Tarantino — come Spielberg, Lucas, Cameron o i prodotti per l’infanzia di Walt Disney —… glorificano l’infeudamento dell’ignoranza, illustrano la vigliaccheria o la paura propizia all’epoca della colonizzazione mercatale… raccolgono le implorazioni del consenso e consegnano alla scuola del cinismo orde di beneficati senza desideri, solo bisogni… del resto, un cinema senza imbecilli sarebbe altrettanto noioso o inutile quanto un parlamento senza iene.

C’era una volta a… Hollywood si colloca tra la fine degli anni ’50 e il 1969… la storia è quella dell’attore televisivo Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), la sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt) e una serie di personaggi hollywoodiani più o meno delineati lungo il film… si ricordano (tra gli altri) Sharon Tate (Margot Robbie), Bruce Lee, Steve McQueen, Roman Polański, Connie Stevens, Sam Wanamaker, Dean Martin, Charles Manson… tutto è ben edulcorato con dovizia d’intenti… una desolazione priva di consistenza che trabocca d’insignificanze ben orchestrate a guisa di pubblici eterogenei, una predilezione del cattivo gusto portato a icona sacrale… insomma un film che ha il peccato e il merito di non dire nulla e quello che dice lo dice anche male.

Dalton-DiCaprio è un “volto conosciuto” della televisione ma non è ancora riuscito a sfondare sul “grande schermo”… Booth-Pitt da più di dieci anni è controfigura, autista, fattorino del “divo”… fanno i simpatici e ci riescono bene… le platee li applaudono con devozione… il botteghino conferma l’inclinazione di Tarantino a comprendere ciò che vuole il mercato… a fronte dei 95 milioni di dollari occorsi per produrre questo filmetto (nemmeno ben fatto)… C’era una volta a… Hollywood sembra volare verso incassi stellari e forse anche qualche dannato premio internazionale… la critica servizievole (non solo americana) lo incensa come “capolavoro”, in Italia solo (o quasi) Paolo Mereghetti dice che Tarantino è “un bambino viziato che vuole far credere che i suoi giocattoli sono i più belli del mondo”, non è poco… avere successo non è cosa facile: vi si segnalano spesso pagliacci o ciarlatani in formato grande. L’agente di casting Marvin Schwarzs (Al Pacino, che fa un cameo un po’ lezioso) procura a Dalton-DiCaprio la possibilità di recitare in tre spaghetti-western e un film di spionaggio in Italia… dopo sei mesi torna a Los Angeles con la moglie italiana Francesca Capucci… ma non è più in grado di pagare i lavori di Booth-Pitt e decidono di farsi un’ultima bevuta nella casa di Dalton-DiCaprio a Beverly Hills… lì accanto c’è l’abitazione di Robbie/Sharon Tate (moglie del regista Roman Polański, in procinto di partorire)… festeggia con gli amici Jay Sebring, Wojciech Frykowski e Abigail Folger il ritorno del marito da Londra… a notte inoltrata tre membri della Manson Family (Tex Watson, Susan Atkins, Patricia Krenwinke) — giovani sbandati che vivevano nello Spahn Ranch, un set cinematografico ormai in disuso, situato nella contea di Los Angeles, seguaci del criminale Charles Manson — irrompono nella casa di Dalton-DiCaprio per sterminare quelli che rappresentano l’ipocrisia hollywoodiana che “insegna a uccidere fin da bambini” (dicono)… Booth-Pitt, sotto l’effetto dell’’LSD, ammazza a mani nude Patricia Krenwinke e con l’aiuto del suo cane Brandy uccide anche Tex Watson… poi si accascia per le ferite riportate, si salverà. Susan Atkins viene bruciata con il lanciafiamme (come in suo vecchio film) da Dalton-DiCaprio… l’attrice Sharon Tate incuriosita dai rumori che provengono dalla casa di Dalton-DiCaprio, guarda l’autoambulanza che porta via Booth-Pitt e invita il vicino a bere qualcosa… il lieto fine è d’obbligo a Hollywood.

L’uccisione di Sharon Tate, Jay Sebring, Wojciech Frykowski e Abigail Folger (8 agosto 1969) è solo un pretesto per Tarantino e l’infila in C’era una volta a… Hollywood per chiudere un film che non ha nulla che vedere né con la nuova ondata del fare-cinema americano né con la rivoluzione della gioia scoppiata nel’68… Tarantino scrive una sceneggiatura infarcita di citazioni da b-movie e nemmeno s’accorge o non conosce la trasversalità poetica/politica di autori come Joanas Mekas, John Cassavetes, Robert Frank, Alfred Leslie, Maya Deren, Stan Brakhage o Kenneth Anger… fa di più, espelle dal suo film le turbolenze di un’epoca quando le giovani generazioni dettero l’assalto al potere, non per possederlo ma per meglio distruggerlo… quando tutto sembrava possibile… la distruzione del sistema capitalistico pareva imminente… i lavoratori rigettavano il ruolo di schiavi… l’imperialismo e la burocrazia venivano affrontati dal radicalismo giovanile e ovunque morivano sulle barricate, nelle strade, nelle prigioni… per la conquista di un mondo più giusto e più umano… sotto qualunque taglio culturale/politico lo si veda, il ’68 è stato il più grande movimento del Bene in lotta contro il Male mai più visto sulla faccia della terra.

Anche i film della Nuova Hollywood c’entrano poco con C’era una volta a… Hollywood… Il laureato (1967) di Mike Nichols, Easy Rider (1969) di Dennis Hopper, Il mucchio selvaggio (1969) di Sam Peckinpah, Un uomo da marciapiede (1969) di John Schlesinger, Mariti (1970) di John Cassavetes o Fragole e sangue (1970) di Stuart Hagmanntanto per fare qualche nome, e seppur fatti all’interno della macchina/cinema, erano film che tentavano di ridestare l’immaginario cinematografico… qualcosa che mostrava una liquidazione non tanto delle falsificazioni imperanti, quanto di fine delle speranze tradite… una società si rivela glorificata per la disinvoltura che mette nella fecondazione della mediocrità… se cessa di sedurre si riduce a un cumulo di banalità e di vestigia del peggio… sotto il luccichio di Hollywood, da sempre, si esibisce e si nasconde un genere di parassiti che va disvelato, senza mancare nei particolari.

La cinescrittura di Tarantino è una cosetta raffazzonata… quasi una comparsata che galleggia tra televisione e cinema… più che altro è un susseguirsi di chiacchere, scopiazzate filmiche, ammiccamenti al box-office lungamente rodati e approvati da studi di mercato della produzione… una sfilata di riferimenti che conducono lo spettatore nell’idiozia del plauso generalizzato… quando si crede a tutto o a niente, i gesti, gli sguardi, le parole, i corpi diventano parte di una religione elementare, quella della merce: un’opera d’arte che finisce in volgarità appagate nell’approssimazione, perde la sua poesia nel ridicolo. Il fascio dei saperi, delle economie, delle dottrine… è una sommatoria d’inutilità celebrate nel culto della soggezione e della confessione in pubblico e determinano il fascino dell’allegoria elettorale, il resto è dissoluzione d’infinite certezze. Ogni forma di resistenza culturale implica il rifiuto e la conseguente rovina delle cattedrali dell’ordine costituito.

L’attorialità di DiCaprio, Pitt, Pacino e di tutto il contorno figurale di C’era una volta a… Hollywood è lavorata sulla decadenza del mito e al contempo sull’aderenza della star in un universo di merletto… il prestigio del nulla che corrisponde a uno stile, quello del mercato! Quando la vita non è che menzogna smaliziata è apparenza soltanto, e il pubblico è parte integrante di questa apparenza che è una farsa del vero, del giusto e del bello. Gli artisti di second’ordine coltivano regni di cattiva qualità. “Bisognerebbe rincominciare a sparare sui pubblici orologi o sui governi o sui mercanti d’armi, se vogliamo far cambiare davvero qual cosa”, diceva un sergente di Emiliano Zapata in pensione (!?)… o forse è stato solo un sogno — dopo una serata passata con la Confraternita della bottiglia —… quando mi trovai a pensare a Jules Bonnot che cantava (forse): “Chi si rivolta o insorge, raramente sarà schiavo”! Ma questo è un altro film.

La fotografia del film di Tarantino è lavorata fino al manierismo da Robert Richardson e si raccorda bene agli standard televisivi ai quali il film è destinato… il regista è abile a muovere la cinecamera addosso agli attori e negli ambienti… la formula tarantiniana è sempre la stessa… movimenti di macchina che si spengono con la mancanza d’idee originali… visione maniacale sulla faccia degli interpreti (ingessati tra l’iconologia della star e la schizofrenia gestuale)… ricostruzione nostalgica e ricolorata delle scenografie… più di ogni cosa ciò che appare più evidente in tutto il cinema di Tarantino è l’insufficienza creativa del montaggio… Fred Raskin, infatti, esegue gli ornamenti estetici del regista e ciò che deborda dallo schermo non è altro che una soap-opera dove lo stile della superficialità diventa dogma… ma il cinema che assorbe le riserve di emozioni è un sepolcro nel cuore.

“Il modo di produzione del cinema è l’anarchia: io spero che possa continuare ancora per un po’, che si possa continuare ancora a fare un po’ d’anarchia con il cinema” (Marco Ferreri, diceva). La macchina/cinema è stupendamente tollerante con i propri cortigiani, perdona tutto, tranne il genio (Luis Buñuel, Jean Vigo, Glauber Rocha, Jean-Luc Godard, Robert Joseph Flaherty, Roberto Rossellini o Pier Paolo Pasolini)… ecco perché del cinema di Tarantino e di cosa ne pensano critica e pubblico non c’importa un cazzo nulla!… esprime certo una sottocultura del linguaggio cinematografico… tutto spalmato su idoli, feticci e rituali mercatali che li consacrano miti!… di che? di che cosa? come non sapere che generare miti e aderirvi, inginocchiarsi e lottare, morire perfino per essi significa perdere l’incanto aurorale della libertà e il destino rivoluzionario al quale è destinato? Il cinema — come qualsiasi altra forma d’arte — inizia in epopea e finisce in commedia! Al culmine dell’effervescenza mercantile, il cinema e l’insieme della vita quotidiana sono ingozzati di ideali che franano sotto il peso di troppe convinzioni/convenzioni e decretano l’intolleranza dell’avvenire… in mancanza di meglio, è sempre bello vomitare sugli stupidi quanto sui tiranni.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 13 volte novembre 2019

 

 

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