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IRAQ. Ritratti dall’infanzia insanguinata

Inserito da serrilux

IRAQ. Ritratti dall’infanzia insanguinata

di Pino Bertelli, 2004 (con scritti di Simona Pari, Paola Grillo, Maurizio Rebuzzini, Diego Mormorio, Giovanni Micali, dell’Unicef, Premio Nobel per la pace)

Pino Bertelli rende liberamente disponibile questo libro su Traccedizioni.

anteprima delle fotografie del libro di Pino Bertelli, 2004 (con scritti di Simona Pari, Paola Grillo, Maurizio Rebuzzini, Diego Mormorio, Giovanni Micali, dell’Unicef, Premio Nobel per la pace)

Questo libro, in forma di rosa, è dedicato a Pier Paolo Pasolini,
che mi ha regalato la prima macchina fotografica, nel 1957 o ’58, forse.
Ricordo ancora le sue parole: “Non ti preoccupare molto della tecnica,
della macchina, della pellicola… fotografa col cuore e vai dove l’amore per gli ultimi, ti porta”.
Là dove le nostre ali si toccano, i nostri cuori si danno del tu!

TOCCARE LA PACE

Pino Bertelli BAGHDAD

Pino Bertelli, Baghdad 2003 – Fotografia di Adel Al-Tai

Toccare la pace. “La pace non è un’utopia né dipende da oscuri trattati internazionali: la pace è a portata di mano, basta toccarla e aprirsi al miracolo di vivere, respirare ed essere qui” (Thich Nhat Hanh), in pace. La guerra bruttura l’uomo e lo rende vigliacco. La violenza della società occidentale è planetaria. Per fermare la guerra occorre davvero toccare la pace. Per distruggere le bombe, fermare il genocidio, impedire il saccheggio dei popoli più poveri, occorre andare a fortificare la coscienza individuale e passare alla disobbedienza civile o esprimere l’amore come comprensione fra le genti di ogni credo e colore della pelle. Una volta che la pace nasce nei nostri cuori, abbiamo la consapevolezza della nostra crescita e la lotta da intraprendere è quella dell’amore di sé e per la comunità. Una società consapevole canta la pace e l’educazione alla pace comincia con il ripudiare la guerra.
L’ingiustizia sociale porta alla distruzione dell’innocenza e non ci può essere felicità per nessuno quando si uccide un bambino e il canto dell’usignolo muore sulla punta del fucile. Vivere è difficile o è un arte. Non si può dire di vivere se non impediamo con ogni forza l’accadere della guerra. Occorre lottare contro il mercato delle armi, la rapacità della politica, la genuflessione dei saperi… si tratta di costruire ponti tra i popoli, farsi giardinieri di anime belle e rompere con le tavole comandamentali dei terrori neoliberisti del mercato globale, della discriminazione razziale, dell’oppressione politica, delle miserie delle guerre… l’amore, l’accoglienza, la fratellanza tra i popoli non passa dalle “grandi” conferenze economiche o sui banchi dei “grandi” consigli delle nazioni ricche… ma è l’amore in azione che porta alla felicità di un uomo, come di un popolo, quando cessa di sognare e chiede di toccare la pace. Educare alla pace vuol dire lavorare per il recupero della dignità di ogni uomo e aiutare chi è in difficoltà ad uscire da ogni forma di disagio. Educare alla pace significa entrare in rapporto con l’altro che soffre e donargli un po’ d’amore senza chiedere perché? Educare alla pace è sconfiggere la crudeltà delle guerre benedette e nutrire di amorevolezza fraterna chi le guerre le subisce sulla propria pelle e non nei telegiornali o sulla carta stampata.
Non è possibile conquistare nessuna libertà, sotto nessun Paese, se non facciamo della pace il primo segno dell’uomo libero.
E libero è colui che non teme la disapprovazione delle sue idee ed è capace di fare della pace un’utopia concreta. La pace è di tutti gli uomini o non è di nessuno.
Della disobbedienza civile o della critica della non violenza. Ovunque si trovino uomini, donne, bambini… martoriati dalla guerra, dalla cupidigia, dall’indiffernza… lì nascono le idee di non obbedienza o di dissidio che chiedono il rispetto dei diritti più elementari dell’uomo, quelli che si riconoscono nei principi della libertà pubblica e della pubblica felicità. Fare la guerra significa mancanza di pensiero o violazione della bellezza (della memoria) dei padri e assassinio del pianeta azzurro. Quando una società è ingiusta, crudele, dispotica con la propria gente, la disobbedienza civile o la critica della non violenza partecipa al suo disvelamento e alla sua caduta. Quando il fine della società è l’espropriazione del bene altrui e il genocidio una sorta di fertilizzante per le guerre di tutto il mondo, allora la disobbedienza civile diventa espressione di nuovi valori e di altri impegni sociali, dove la riaffermazione della libertà, della pace, del diritto… risponde al rifiuto di ogni teatro di guerra.
L’introduzione della disobbedienza civile nelle nostre istituzioni politiche potrebbe costituire il rimedio migliore contro questa impotenza ultima del controllo giurisdizionale” (Hannah Arendt). Si tratterebbe di un primo passo verso un pratica della pace e dell’arte di vivere con la consapevolezza di avere intrapreso il cammino verso la comunità della gioia sognata dai bambini, dai folli e dai poeti nei canti popolari degli antichi. Chi semina amore, raccoglie l’amore.
Le mille una Baghdad erano sulla via del deserto che mi riportava a casa… guardavo il mare di sabbia, le carcasse di ferro dei carri armati ai lati della strada, i pilastri della corrente elettrica abbattuti… non ci sono più danze del ventre, né cammelli selvaggi, né boschi di cedri che avevano popolato i miei sogni di bambino… e nemmeno i cavalieri arabi che spariscono dietro le dune o cantano alle stelle in qualche oasi, dove l’acqua è pura come la purezza delle donne in amore. Solo macerie, fuochi e fame. Con la punta delle dita toccavo i contorni del cielo, ripensavo al bambino con la faccia sotto le bende intrise di sangue che mi guardava muto (mentre gli rubavo l’anima con la macchina fotografica), avvolto in un sudario di dignità di rara bellezza e poi quando lo sfasciano… senza una lacrima, mi guarda, proprio dentro gli occhi… sembra dire — “Io non ho fatto niente… ecco cosa mi avete fatto voi” —. Il padre piange, il medico e l’infermiera dell’ospedale da campo di gomma, sono commossi, il bambino non ha più la pelle del viso… il sangue gocciola dalla ferita al braccio e sporca il lenzuolo di carta del lettino. Mi stringo alla macchina fotografica, per non piangere. Non sono cose da grandi e poi proprio di fronte a un bambino.
Non ci riesco e con un mezzo sorriso bastardo gli dono un po’ di lacrime di miele, di quelle che escono dal cuore e non sai trattenere nemmeno con qualche bestemmia santificata. Esco nel sole e mi accendo un sigaro toscano. È lì che ho aperto il mio taccuino che profumava di mirto e di acacia e ho scritto a memoria una poesia di Tagore (L’angelo bambino) che dicevo a mio figlio, davanti al mare, nei giorni di festa: “Essi gridano e si danno battaglia, dubitano e si disperano, non c’è tregua alle loro dispute. Lascia che la tua vita scorra in mezzo a loro come una vampata di luce, bambino mio, immutabile e pura, ed in silenzio reca loro la gioia.
Essi sono crudeli in invidia e cupidigia, le loro parole sono come coltelli nascosti, assetati di sangue. Và e vivi in mezzo ai loro cuori ostili, bambino mio, e fa che i tuoi occhi gentili cadano su di loro come la pace serena della notte sulle miserie del giorno. Lascia che vedano il tuo volto, bambino mio, e così conoscano il significato di tutte le cose; fa che ti amino e si ameranno l’un l’altro. Vieni e prendi il tuo posto nel cuore dell’infinito, bambino mio. All’alba apri e solleva il tuo cuore come un fiore nascente, e al tramonto reclina la testa e in silenzio completa la preghiera del giorno”.
I bambini sono magici ed estremi, perché come i folli e i poeti, hanno la capacità di vedere gli angeli e la semplicità con la quale raccontano le loro visioni è la stessa con la quale l’angelo bambino con la faccia insanguinata (della mia fotografia) collega la realtà ai suoi sogni di amore e di libertà tra le genti. Il suo sguardo obliquo, malinconico, ma non vinto, ci costringe a guardare la fantasia amorosa di ogni risveglio e niente è più reale della fantasia. Il suo silenzio di dolore, ci invita a risorgere nella luce dell’anima dei bambini e dice che quando c’è sofferenza, cattiveria o discriminazione, l’anima si ammala e la bellezza del bambino muore con il respiro dell’angelo.
La società dell’arcobaleno nasce là dove franano le barriere razziali, religiose e militari. Non ci può essere nessuna educazione se non c’è libertà. La libertà è il presupposto di ogni educazione e la sola educazione degna di attenzione ha come fine, la libertà di pensiero. Le religioni (musulmana, cattolica, ebraica) non pongono troppi problemi, non chiedono soluzioni, non figurano dubbi, perché la fede e i dogmi che predicano, sono contenitori dove la grazia dei cieli e il verbo di un qualche Dio innalzano l’obbedienza a virtù. Ma non ci può essere libertà laddove c’è obbedienza servile. La sola libertà possibile è il viaggio di se stessi verso il proprio cuore. Più il mondo sprofonda nello spettacolo delle armi e delle merci, più gli uomini dell’amore, dell’accoglienza, dell’ospitalità… si avvicinano alla felicità.
Toccare la pace o conoscere la vita sognata degli angeli, diceva. Occorre percepire il mondo con il cuore, non con la testa… perché gli dèi si trovano nelle cose della vita quotidiana. La filosofia della bellezza è semplice: l’immaginazione è un luogo di transito ma anche il posto in cui esserci. Ciascuno è l’angelo del proprio destino. E l’angelo lo incontri ad ogni età, in ogni sogno, in ogni carezza piumata di lacrime… perché significa farsi grandi lasciando negli occhi e nel cuore lo stupore e la meraviglia dei bambini. Dove ha volato un angelo, lì regna l’amore.

Baghdad, 13 volte giugno 2003/Piombino, 7 volte aprile 2004

 

Manifesto per una fotografia dei diritti umani resistenza sociale, disobbedienza civile e poetica dell’immagine

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