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Tolo Tolo (2020) di Checco Zalone (Luca Medici)

Inserito da serrilux

Tolo Tolo (2020) di Checco Zalone (Luca Medici)

“Tutto ciò che serve per fare una buona commedia è un uomo, una donna e una pistola… questa occorre per sistemare il regista che non denuncia la tirannia della benevolenza… meglio fare allora l’assaltatore di banche che un qualsiasi film scemo”…

Anonimo Toscano

Sul cinema dell’imbecillità. Diciamolo subito! In un Paese dove nessuno è servo e tutti sono principi di sé… gente come Checco Zalone sarebbe passata per le armi per indecenza qualunquista (sospetta di riesumazione e apologia dell’iconologia fascista) o basso mercanteggio della moda italiana nel mondo… con quella faccia da scimunito che si ritrova è riuscito tuttavia ad entrare in sintonia con la versione catto-destrorsa degli italiani brava gente… un popolo di voltagabbana, ruffiani, corrotti e figli di puttana come non si sono mai visti sulla faccia della Terra… i film di questo figurinaio dell’imbecillità hanno raggiunto incassi stellari e le famiglie (intellettuali, politici, facce televisive, gente comune…) che entrano a frotte nei cinema ne escono ancora più stupidi, qualcuno perfino ride (?!)… di cosa (?)… di una dialettica dell’imbecillismo, di una fessaggine monumentale, di un ilota da quattro soldi che dispensa l’imbecillità come un destino (?): “Per morire senza rimpianti bisogna convincerci che il mondo è pieno di imbecilli” (Maurizio Ferraris). Tutto vero. Chi come noi è cresciuto nella strada e fa parte della confraternita della bottiglia, ha qualche principio e nessuna ambizione per i favori concessi da una società incapace di distinguere la vergogna da conati di vomito sul sagrato dell’idolatria (quale che sia)… ci siamo imbattuti nella vita come in un bordello e lì abbiamo capito che non ci sono santi né cazzi, stretti tra la moralità di facciata e un’esistenza delirante, ci siamo scelti l’eresia libertina e libertaria.


Checco Zalone avrebbe potuto essere un ottimo poliziotto, ma come comico (tantomeno come regista) può solo aspirare come addetto alle pulizie dei gabinetti di Mediaset (alla Rai tutti i posti sono già occupati da tempo… anche se Fiorello, Fabio Volo, Fabio Fazio, Luciana Littizzetto o Roberto Benigni si fanno in quattro per ascendere all’apogeo dell’imbecillità degli ascolti televisivi)… diciamolo meglio: basterebbe un vaffanculo alla bandiera, a dio, allo stato, alla famiglia, al lavoro e anche alla Croce Rossa… per iniziare e pensare che il cambiamento non è mai doloroso, solo la resistenza al cambiamento lo è, diceva… basta un amore per fermare una lacrima, e basta una lacrima per infrangere — per sempre — un amore (a ricordo di Edmond Jabès, filosofo della sovversione non sospetta, quando nei bassi di Napoli mi diceva che l’odio non si spegne con l’odio ma con l’amore).
Il tempo, la legge, la proibizione si esauriscono in una “vivenza” senza confini… “al culmine della felicità… amiamo sempre… malgrado tutto; e questo malgrado tutto copre un infinito”(E.M. Cioran). Il non poter gettare sui corpi in amore uno sputo né un sorriso è una precipitazione nell’infelicità senza desideri… è qui che frana la disarmonia del prestabilito. Bisogna avere un cuore in amore per generare una stella danzante (Nietzsche c’entra sempre quando s’interrogano le convinzioni, i valori, le morali…) ed è falsa ogni verità che non susciti almeno un’autentica indignazione contro l’ipocrisia della partitocrazia e dei governi al servizio delle mafie finanziarie internazionali… quando gli “spiriti brillanti” del disvelamento faranno a pezzi la falsificazione delle coscienze, allora e solo allora si potrà annunciare il crepuscolo degli dèi e dare inizio al grande incendio: che la festa cominci!
A ritroso. La maschera (davvero patetica) di Checco Zalone non ha niente di creativo, poetico o di maledetto… l’attore/regista sembra non comprendere la stupidità che interpreta… il modello è ormai inflazionato però, va detto, ovunque riscuote successo e consenso. Ogni epoca ha i suoi ciarlatani, così come ha i suoi saprofiti, i suoi bastardi e, ovviamente, i suoi imbecilli… il fascio del cinema italiano, principalmente, è qualcosa che sta tra l’immondezzaio e il sottoscala della storia… e siccome l’imbecillità è un comportamento i film sono in massima parte cosette raccontate da idioti per idioti… semplificati fino a raggiungere l’imbecillità generalizzata… produttori, autori, attori, critici, pubblico… si affratellano nella più atroce delle inclinazioni a servire, l’entusiasmo… i nascondimenti delle matrici populiste, dottrinarie, politiche, accademiche tradiscono i principi di verità, bellezza e libertà di pensiero… non si è mai imbecilli in solitudine, ci vuole non solo un contesto ma anche un terreno politico dove gli stupidi meno stupidi appaiono intelligenti… figurati! La sinistra al caviale e la destra all’olio di ricino sono la medesima gentuccia… al centro c’è tutta una casta di caimani sempre in debito con la grammatica ma assai abili nell’articolare delitti d’ogni risma e tutto nel nome del popolo italiano. E pensare che c’è stato un tempo in cui il piombo li aveva leggermente preoccupati e qualcuno aveva anche pagato (ingiustamente) le colpe che altri avevano commesso… a volte sbagliare di bersaglio è controproducente per l’innocenza del divenire. Ci sono state generazioni — come quella della Banda Bonnot (chiuse la Belle Epoque con la dinamite), la rivoluzione di Spagna del ’36 o del Maggio ’68 — che erano troppo sagge o creative per essere infelici.


Checco Zalone appartiene a quella folta schiera di comici da centri commerciali… la commediaccia italiana inscatolata negli anni ’80 e pervenuta in tutta la sua imbecillità fino ad oggi… l’impero dell’identico dispone di folle ammaestrate e là dove il diverso è proibito s’instaura la devastazione della dignità… l’apparenza è anche la messinscena dei suoi riti, cerimonie, autocelebrazioni che imperversano prima sul grande schermo, poi furoreggiano in televisione… il riconoscimento si definisce in rapporto all’istituzione che lo autorizza… che sia un mito, un operaio, un pazzo o un emigrante… se vuoi essere parte integrante della società spettacolare devi soggiogare la tua coscienza al culto dei mercati e accondiscendere all’obbedienza dell’economia politica… fare della morale (di giustizia e libertà) dei padri una morale da servi: i padroni non l’hanno mai avuta. Non c’è poi molta differenza fra lo sfruttamento del cinema mercatale e quella dei campi di concentramento… i campi sono l’immagine del terrore e dell’inferno, quello della macchina/cinema è l’inferno edulcorato di storie d’ordinario terrore… il fine è il medesimo… quello della meccanica fascista/nazista (lo stalinismo o il maoismo sono altre cattive copie della disperazione umana): la dominazione violenta dei corpi e dell’immaginario per generare il trionfo della barbarie.
Dopo Cado dalle nubi (2009), Che bella giornata (2011), Sole a catinelle (2013), Quo Vado? (2016), film sceneggiati da Zalone e Gennaro Nunziante, diretti da Nunziante, che hanno incassato montagne di soldi, quindi la ragione è dalla loro parte… Zalone debutta come regista con Tolo Tolo… che anche a vedere con santa pazienza si cade in un’ineffabile disfatta della curiosità… si potrebbe uscire dal cinema sui titoli di testa o dare alle fiamme l’intero baraccone… porca puttana ladra… ma come è possibile soltanto concepire film di tanta intensa imbecillità e come è possibile che milioni di citrulli si facciano prendere per il culo da un citrullo come loro?… qui forse c’è la risposta all’ascesa dei totalitarismi nella storia o delle sante inquisizioni delle chiese… nemmeno le porcherie natalizie — che presentano un benessere così vergognoso da far rabbrividire anche le pantofole griffate del Papa —, raggiungono la cialtroneria qualunquista di Tolo Tolo… non c’è niente di più ridicolo di un comico che non fa ridere, è come ignorare il disdoro di un popolo incapace di avere una qualche identità… il sorriso, l’amore e perfino il tragico provengono dalle scaturigini della gioia o del dolore… le immagini, le parole, i sogni hanno la forza di distruggere come di creare… quando sono autentici possono cambiare il mondo. I cretini e i colti d’occasione non hanno riserve di bellezza né di giustizia per non impedire a questo balordo di dissertare su guerre, terrorismi e migrazioni… la genialità dell’eresia comica non lo riguarda, però il suo ebetismo ha comunque fatto centro… lo dice il botteghino… anche la critica della genuflessione lo afferma… del resto l’ignoranza paga sempre! Specie chi fa dell’organizzazione della benevolenza la riproduzione sociale dell’uniformità.

Tolo Tolo (che sembra significare solo solo, dice Zalone)… racconta di un italiano scappato in Africa inseguito dai debiti… lì scoppia la guerra civile… cerca di rientrare in patria insieme a un gruppo di migranti… è il solo bianco… si innamora di una ragazza che accompagna un bambino verso il mare… la madre è morta e il piccolo Doudou deve andare a Trieste per ricongiungersi al padre… naturalmente tutto è bello quello che finisce bene… Doudou troverà il padre, la ragazza sposerà Zalone in sogno e una mongolfiera lo porterà in cielo (vestito da colonialista) dove dispenserà cicogne e bambini all’intero pianeta… Zalone non trova di meglio che chiudere il film con un balletto musicale che plagia male le pubblicità di certi caffè (il plagio è un’arte!)… quando non c’è poesia l’artista bada all’ornamento e l’ornamento è un mezzo per nascondersi… un genio è sempre incompreso, dello stupido si comprende tutto.
In Tolo Tolo le gag non ci sono… nemmeno i nove mesi di lavoro e i venti milioni di euro spesi per realizzare questa stronzata si vedono… la critica dell’italianità becera non passa dalle camicie, mutande, cinture, mocassini, pantaloni “firmati” e nemmeno dalla crema per il viso che Zalone sparge nel film… quando incontra un fotografo francese che filma storie di migranti con la leggerezza del boia di Londra e, guarda caso, è anche il testimonial su Vanity Fair della medesima crema… anche l’ultimo dei beoti comprende che qui si fa del cretinismo nemmeno elegante… lo schermo comunica il primato del mercimonio sulla struttura narrativa. La messa in scena Nicola Di Bari, Nichi Vendola, Massimo Giletti o Enrico Mentana… è funzionale all’insensatezza o alla volgarizzazione del lasciar correre… infiorettano i sepolcri della rappresentazione finta di una tragedia vera.
Zalone non si lascia sfuggire nemmeno la possibilità di ri/fare il Duce (con tanto di canzonet-
ta fascista) sulla pelle dei migranti… la fuga dalla prigione libica di Zalone, la ragazza, il bambino è una menzogna formulata male e detta peggio… il riscatto per la liberazione del fotografo poi, sembra uscito da un manuale sulla diplomazia della Bocconi, dove s’apprende come trattare gli ultimi nelle varie forme di costrizione… ma lo stupido resta stupido anche con una laurea in sociologia della distruzione o un Oscar in mano per ostentata dichiarazione che la vita è bella. La più grande farsa della cultura è che ad occuparsi di idee (libri, cinema, musica, fotografia, pittura, architettura, carta stampata o l’arte delle bocce) siano uomini che non hanno alcuna attitudine intellettuale, poiché non sono bruciati dalla maledizione del vero come dinamite! “Perché essere difficili quando con un minimo sforzo potete diventare impossibili?” (Buster Keaton, diceva). Essere in sintonia con tutto, apprezzare tutte le cose e non disprezzare niente, non è il migliore dei gusti: « Si deve imparare a dire “sì” e “no”.   Dire sempre “sì” lo ha imparato solo l’asino, e chi ha uno spirito come il suo » (Friedrich Nietzsche). Il cinema non esiste, esiste solo la sua interpretazione.


La sceneggiatura di Zalone e Paolo Virzì è una sequela di siparietti piuttosto televisivi (come i
sogni di Zalone) e sono in contrasto con le riprese aeree (fatte col drone insomma) che confezionano l’intero film nel cartolinesco… il montaggio (Pietro Morana), la fotografia (Fabio Zamaron), le musiche (Checco Zalone e Giuseppe Saponari) e le canzonette alla Di Bari-Cotugno smielate lungo la costruzione filmica… esprimono bene la nullità delle evidenze e il redditizio che ne consegue, mai il contagio dei “cattivi esempi”… a memoria di ubriaco, non ho ricordo di un film sgangherato, pretenzioso o semplicemente stupido, così inutile per l’educazione all’intelligenza. Il ludico portato all’estremo cerca l’eternità.
Non si ride della carriera politica di un analfabeta asceso agli scranni del parlamento negli osanna elettorali… non si ride dei migranti che affogano nel Mediterraneo e fuoriescono dal mare cantando e ballando come Esther Williams in Bellezze al bagno (1944)… non si ride sulle battute mussoliniane come: “Il fascismo è come la candida, con il sole e lo stress viene fuori”. Il fascismo caro Zalone è un cancro e va estirpato alla radice. Altro che riderci sopra e quando fai il verso al Duce ti viene anche male… Qualunquismo e fascismo sono sinonimi… i ragazzi della Resistenza che si sono messi uno straccetto rosso al collo (Pier Paolo Pasolini, diceva), hanno preso il fucile, sono andati alla macchia per conquistare una società più giusta e più umana — e molti sono stati uccisi dai nazi-fascisti —, lo hanno fatto anche perché tu possa dire le cazzate che dici e fare film per le platee instupidite della civiltà dello spettacolo… il cinema è morto! Il cinema resta morto! perché ci sono stati e ci sono buffoni senza talento come te che l’hanno ucciso. Amen e vaffanculo!

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 8 volte gennaio 2020

 

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