« Ho ucciso io Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento ».
Giovanni Brusca, u verru (il porco), collaboratore di giustizia
Il cinema italiano non è solo commedia (e anche fatta male, lodata e premiata dagli abatini serventi della critica italiana)… c’è anche un cinema d’impegno civile che bussa agli occhi della passività generalizzata e, come nel caso di Sicilian Ghost Story, mostra che gli idolatri dell’infelicità (politici, preti, mafiosi, militari, gente comune) sono anche i depositari o i silenti complici di crimini efferati… come il rapimento e l’assassinio di Giuseppe Di Matteo, un ragazzo ucciso dalla mafia poco prima di compiere 15 anni, dopo 25 mesi di prigionia, 779 giorni di terrore. Correva l’anno 1996.
Giuseppe era il figlio dell’ex-mafioso e collaboratore di giustizia, Santino Di Matteo. Il ragazzo fu prima strangolato e poi disciolto nell’acido nitrico. Gli esecutori materiali del delitto furono Vincenzo Chiodo, Enzo Salvatore Brusca e Giuseppe Monticciolo, il mandante, Giovanni Brusca. (Per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe, oltre che Giovanni Brusca, sono stati condannati all’ergastolo circa 100 mafiosi tra cui Leoluca Bagarella, Salvatore Benigno, Salvatore Bommarito, Luigi Giacalone, Francesco Giuliano, Giuseppe Graviano, Salvatore Grigoli, Matteo Messina Denaro, Michele Mercadante, Biagio Montalbano, Gaspare Spatuzza). Tutti macellai di vario taglio… compresi Matteo Messina Denaro, U siccu («il magro»), il latitante tra i più ricercati al mondo, Bernardo Provenzano, «innu u’ Tratturi» (Bernardo il trattore, per la violenza con cui massacrava i nemici) o Salvatore Riina, detto «Totò, La Belva»… questo è il lordume, il putrido, il lezzo… la cloaca è qui come altrove… a Roma ad esempio… nemmeno troppo celata tra i parlamentari di ogni partito e nelle forze armate, senza scordare le trame della chiesa… le connivenze tra politica e mafia sono al fondo della corruzione nella quale affoga un’intera nazione. Il silenzio e l’omertà si pagano con il garantismo, s’intende solo dei potenti.
Naturalmente sulla mafia si fanno film, miniserie televisive, si cerca di far passare che la mafia uccide solo d’estate… perfino un cretino come Roberto Benigni ci ha provato a fare cassetta con Johnny Stecchino (1991)… fatti salvi alcuni film di denuncia sociale come — In nome della legge (1949) di Pietro Germi, Mafioso (1962) di Alberto Lattuada, Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi, A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri, Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani, Lucky Luciano (1973) di Elio Petri, Cento giorni a Palermo (1984) di Giuseppe Ferrara, Placido Rizzotto (2000) di Pasquale Scimeca, Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti, Alla luce del sole (2005) di Roberto Faenza, In un altro paese (2005) di Marco Turco o La siciliana ribelle (2009) di Marco Armenta —… è davvero difficile vedere film che trattano a fondo le trattative fra Politica e Cosa Nostra… ogni generazione innalza martiri ed eroi ai carnefici che l’ha preceduta e le vittime restano immolate all’altare della patria, della chiesa e dell’ordine costituito.
Anche nel secondo episodio del film Tu ridi (1998) di Paolo e Vittorio Taviani, si allude alla medesima vicenda di Sicilian Ghost Story… tuttavia qui si entra più in profondità nell’assassinio, c’è meno gradevolezza o è meno giocoso il rapporto tra il ragazzo e i carcerieri (come in Tu ridi)… Sicilian Ghost Story, con dolcezza e poesia, è specchio/memoria della degradazione culturale/politica e della coscienza sociale (non solo in Sicilia)… figura la mancanza di valori nelle istituzioni che fuori dalle promesse elettorali sono responsabili con i delitti più raffinati o più grossolani perpetrati ovunque in Italia… basta guardare i probi politici in faccia per distaccarsene e rigettare i loro misfatti… millenni di sofferenze — tali da innaffiare di sangue l’intero paese — hanno impresso gli itinerari dell’odio e disseminato di cadaveri la storia di una nazione… la politica, la chiesa, il sistema economico contano nei loro bilanci più delitti di quanti ne abbiano al loro attivo i criminali più coscienziosi… sempre fedeli alla degenerazione della legalità, a cominciare dalla sputacchiera del parlamento.
Sicilian Ghost Story non è come in molti hanno scritto una favola, fantasy, horror, anche… vero niente… è uno dei pochi film italiani che trattano una tragedia di mafia attraverso la surrealtà del cinema… non ha niente a che vedere con le serie televisive (fabbricate per attentare o educare l’immaginario giovanile ai fatalismi del mercato globale) né ha a che fare con le furbate melliflue di molto cinema del sospetto e dell’utilitarismo… quello, per intenderci, che fa dell’estetismo del sangue o della cronaca manipolata l’inganno continuato contro i sud della terra. Il crimine costituito distrugge la conoscenza, la conoscenza ridestata disvela il crimine e qualche volta lo sconfigge.
Sicilian Ghost Story si dipana su due binari… quello dell’amore tra due ragazzi e i sogni che legano la loro esistenza fuori dalla mafia, dalla famiglia, dallo stato… il fatto accade in un piccolo paese della Sicilia, ai margini di un bosco e di un lago… Giuseppe, un ragazzino di tredici anni scompare. In paese non si ha notizia della sua sorte. Luna è una compagna di classe innamorata di lui e non si rassegna alla sua improvvisa sparizione. Comprende presto che Giuseppe è stato rapito dalla mafia perché il padre — pentito — è considerato un infame dalla gente. Luna si ribella al clima di omertà e complicità del paese e con una amica (Loredana) si tingono i capelli di blu, distribuiscono volantini in piazza e denunciano la scomparsa di Giuseppe… le persone mostrano disinteresse, distacco, insensibilità all’iniziativa delle ragazze… Luna si oppone al silenzio dei propri genitori, a quello della famiglia di Giuseppe e attraverso l’immaginario (l’onirico) cerca di andare oltre il reale… s’immerge nel fantastico e attraverso le acque gelide di un lago riesce a salvare il suo disperato amore. Ma è solo un sogno. Luna cerca anche di morire… non ci riuscirà perché la sua amata civetta avverte l’amica e insieme al padre di Luna la riportano alla vita. Il film si chiude su Luna, Loredana e due ragazzi sdraiati su una splendida spiaggia siciliana… Luna sorride, guarda il nuovo amore, forse… poi lo sguardo si perde là dove finisce il mare e comincia il cielo.
L’architettura filmica di Sicilian Ghost Story è evocativa, certo, tuttavia l’uso un po’ abusato del grand’angolo (anche suggestivo) e l’eccessiva lunghezza (105 minuti), dovuta a riprese ornamentali (non solo nel bosco) che nulla aggiungono al racconto… rischiano davvero di far passare una favola amara in un fantasy televisivo… le inquadrature forti e ricercate o concitate degli autori, però definiscono un’ossatura visionaria di notevole valenza creativa. La camera da presa si muove addosso agli attori con leggerezza e delicatezza… sfiora gli alberi, il lago, le pareti della caverna /garage di Luna con quel senso di mistero che c’è nella bellezza selvatica della natura… e anche se alcune soggettive non sono giustificate o non hanno seguito nel percorso espressivo, lo sguardo pagano dei registi respinge tutto ciò che è stato appreso sulla mafia e riportano il film nell’alveolo della verità. C’è più Swift che i fratelli Grimm in Sicilian Ghost Story… o forse c’è una novella Alice nel paese della mafia che, come diceva Lewis Carroll (non proprio così), è di un’innocenza irreparabile che le permette tutto, anche di ricorrere al disprezzo degli irriconciliati contro l’eterno dolore degli ultimi.
Il cinema, certo, non è tollerabile se non per il grado di verità o di coraggio che vi si mette o che lo nega. Il cinema muore quando non ha più la forza di incrinare i miti sui quali poggia… e quali siano i meriti o i premi che riceve un film, o si prefigura la scomparsa dei pregiudizi (e il crollo degli idoli che si portano dietro) o si è corresponsabili della falsa raffinatezza (non solo cinematografica) che impera in quest’epoca dove lo spettacolo è tutto e la verità nulla! Mai dimenticare che la civiltà dello spettacolo è parte di un sistema mercatale che mortifica ogni libertà e ogni libertà, come ogni religione, è finita quando smette di generare eresie o rivolte.
La graziosa interprete di Luna, Julia Jedlikowska, davvero poco siciliana ma poco importa, tanto è forte la sua presenza androgina sullo schermo… il montgomery rosso, i capelli corti, il corpo acerbo di ragazzina già grande, lo sguardo imbronciato, il sorriso aperto… la incastonano nell’intero film e ci accompagna con grazia e determinazione nell’accidentato percorso che la porta al suo amore, ma solo in sogno! Luna, credo, figura l’innocenza negata che disvela un casellario di errori e orrori… in qualche modo dice che non c’è bisogno di credere a un’istituzione per sostenerla, né di amare un tempo del consenso per giustificarlo… dato che ogni accordo tra crimine e politica è dimostrabile e ogni avvenimento che lo denuncia legittimo.
Gaetano Fernandez (Giuseppe) è il ragazzo assassinato… fa molto meglio il prigioniero che il rampollo di buona famiglia… bravi e molto i genitori di Luna (Vincenzo Amato e Sabine Timoteo). La Timoteo poi è splendida nel ritratto di una madre un po’ nevrotica e alcuni primi piani la rendono davvero drammaticamente bella. Tutti i comprimari hanno volti e corpi di una realtà nuda, di un universo archetipale impoverito, privo di qualificazioni sociali… irrompono nello sprofondare del vero e ciò che li suscita è anche quello che li divora. I ragazzi a scuola, la madre di un alunno che si mette al banco di Giuseppe, il maresciallo dei carabinieri, i carcerieri… sono parte di uno spavento prolungato che si avvicina all’idiozia… solo la voglia di vivere di Loredana (Corinne Musallari) e la volontà di giustizia di Luna rompono una tristezza plebea e una santità da ritardati… la conclusione di una conoscenza (e coscienza) oltraggiata non ammette nessun vestimento o aureola dell’ingiustizia subita… la verità tradita trafigge il cuore di Luna e di tutti gli spettatori, forse… e mette fine alla secolarizzazione delle lacrime.
La fotografia (lavorata sui grigi, marroni, neri intensi) di Luca Bigazzi avvolge il film nel surreale voluto dai registi e contribuisce non poco alla visione corrosiva dell’opera… il bosco, il lago, la caverna/garage dove si nasconde Luna, i luoghi dove tengono prigioniero Giuseppe sono filmati con quel senso dell’assurdo o dell’incanto proprio a chi conosce i segni e i sogni d’infanzie spaventate dove non c’è posto per la speranza né per la santificazione… la scenografia, la musica e il montaggio lirico, aderiscono alla sapiente fattualità filmica e alla disperazione etica che contiene… in questa coralità affabulativa Sicilian Ghost Story si chiama fuori da ogni metafisica della consolazione… si fa portatore della ragione lucida, rigetta l’evidenza e contro il pane della genuflessione e il vino dell’indifferenza lascia il canto d’amore, straziante, meraviglioso, invincibile di una ragazzina contro la cattiveria del mondo che la circonda.
L’imbecillità (non solo nel cinema) regna, perché la soggezione e la stupidità hanno pervaso tutti gli anfratti della vita sociale… corruzione, prostituzione, mediocrità — nella loro insignificanza — si equivalgono… la civiltà consumerista è la piazza dei supplizi, della domesticazione dei nuovi servi della gleba e i criminali delle mafie continuano ad essere gli sgherri dell’oscurantismo politico, religioso, economico dei marcitoi (il bottino delle banche) del possesso. L’ideologia del mercato reprime, la politica dei governi giustifica. Il delirio dello spettacolo continua. Amen e così è!
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 21 volte settembre 2017