di Thierry Guilabert, Edizioni La Fiaccola, 2013, pag. 156, Euro 13,00
La storia veridica del curato di campagna Jean Meslier di Thierry Guilabert, entra nelle pieghe di un prete apostata, ateo e rivoluzionario, messo all’indice dalla santa romana chiesa… una sorta di anarchico proudhoniano — prima che Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) coniasse la parola Anarchia in modo positivo —, fautore di una teologia dell’uguaglianza o, meglio ancora, di una rivoluzione dell’esistenza liberata da tutti gli altari e le forche dell’autoritarismo (anche quello burocratico). Meslier, attraverso le letture delle sacre scritture, Montaigne, La Boétie, La Bruière, Vanini e altri filosofi ereticali si schiera a fianco dei poveri, dei miserabili, delle vittime, dei contadini, degli sfruttati, delle donne vessate del proprio tempo… alla sua morte (28 o 29 giugno 1729) lascia un corposo manoscritto (conosciuto come Il testamento di Jean Meslier) in poche copie (quattro), dove attacca non solo la religione cristiana ma disvela l’impostura e l’ipocrisia di tutte le chiese del mondo. Di Gesù Cristo scrive “che era mortale, che lo era a un punto tale, da morire ignobilmente sulla croce… [e si chiede] come s’è potuto attribuire la divinità a un fanatico, un miserabile pendaglio da forca”? La risposta è: le dottrine cristiane favoriscono la tirannia e il predominio di pochi su tutti, e tendono “chiaramente al ribaltamento della giustizia, all’oppressione dei poveri e dei deboli e sono contrarie al buon governo dei degli uomini”. Invitano alla rinuncia della ragione.
Le invettive salaci di Meslier mostrano le complicità della gerarchia ecclesiastica con re, nobili e potenti dell’epoca, dispiacendosi anche per la mancata presenza di generosi assassini che la facessero finita con la ferocia dei Cesari. Ricordiamolo. Meslier è colui che ha coniato il detto, tra i più belli, che ha accompagnato le giovani generazioni in rivolta del Sessantotto: «Io vorrei, e questo sia l’ultimo ed il più ardente dei miei desideri, io vorrei che l’ultimo dei re fosse strangolato con le budella dell’ultimo dei preti». Nè Dio né Padrone dunque… le migliaia di pagine colleriche che ha lasciato in eredità agli uomini dell’indignazione sono di pubblica utilità e un canto d’amore verso il vivere bene, il vivere felici, annota Meslier.
Michel Onfray apre il libro di Guilabert con la passione ereticale/edonista che gli è propria e dissemina le idee sovversive di un comunista libertario e internazionalista a fianco della bellezza insorta degli ultimi, degli impoveriti. “È importante leggerlo — scrive Onfray —, ma anche e soprattutto metterlo in pratica”. Le veridiche avventure di Jean Meslier non è solo la biografia di un curato ribelle all’ordine costituito, è sopra ogni cosa un trattato d’insubordinazione contro la giustizia ingiusta e un augurio a costruire una società federata, di mutuo soccorso e libera creatività… che sono le basi per conquistare l’autogestione dell’esistenza: l’eguale possibilità di godimento dei beni sociali da parte di tutti gli uomini e le donne della terra.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 12 volte dicembre, 2013.