Hippolyte de Villemessant, il fondatore del Figaro, ha definito il carattere dell’informazione in una celebre formula:
“Per i miei lettori, — egli diceva —, è più importante l’incendio di un solaio
nel Quartiere Latino che una rivoluzione a Madrid”.
Il giornale si oppose alla Comune di Parigi del 1871, che lo soppresse!
Riprese le pubblicazioni a fianco dell’aristocrazia e della borghesia, dopo la caduta della Comune
Il cinema italiano sembra avere un profondo timore a ferire la pubblica morale e più che altro ad essere ferito al botteghino… lo sappiamo… lo statuto mercatale di Hollywood dice che un autore vale quanto incassa il suo ultimo film, e anche su questo perfino Charlie Chaplin era d’accordo!… i poveri ridono della loro fame! i ricchi passano alla conta dei dollari e lucidano i fucili! Non si sa mai!… magari da qualche parte fuoriesce qualcuno che vuole inviare dallo schermo fratture o desideri contro la serenità domenicale che dà ad intere platee quell’aria da fessi sulla quale riporre l’assunto: la merce è il vento che viene dagli dèi e lo spettacolo è il suo romanzo d’appendice! il fatto è che — “lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle imagini” (Guy Debord) —… e lo spettacolare, compreso nella sua totalità, non è solo il risultato e il progetto dei modi di produzione esistenti… è il cuore/modello del fanatismo degli affari e la farsa della simulazione politica/sapienziale, affidata alla lingua predominante… l’unico stile che sopportiamo è quello degli illetterati-colti, niente di meglio del tono canzonatorio che rende la vergogna del potere ancora più vergognosa!
Ogni bandito delle belle arti e di una qualche efficienza… evita di creare la propria leggenda! lascia ai probi delle accademie cercare di capire che dietro un martire, un eroe o un santo, si cela sovente un cretino! ma appena s’imbattano in una certezza storica (?!), ecco che smettono di cercare! Questi stolti dei salotti non hanno mai fatto caso che appena è stato impiccato un despota, subito dopo, — dai suoi liquidi —, sono nate spighe di grano!… chi eccelle nell’insubordinazione e nell’eresia non conta! fa parte di bave secolari, come le lacrime e la ricomparsa delle lucciole a maggio, al canto di Bella ciao!
Uno dei vantaggi della lingua mercatale… è quello d’essere compresa ai quattro venti della terra… non contiene pretesti che contrastano la veridicità di un altro universo!… nessuno rompe i coglioni a nessuno… l’indifferenza ha preso il posto dell’irrequietezza — di uno stato d’animo (Bruce Chatwin, annotava sul suo moleskine) —, che scorgeva il meraviglioso nell’ordinario… la sconvenienza di morire per eccesso di massacro del pianeta è solo l’ultima pandemia o, la prima, in cui l’approssimazione si avvicina al mattatoio! è più facile dissertare su dio, lo stato o gli indici azionari che avere la sfrontatezza d’aver capito che la civiltà dello spettacolo sarebbe abominevole se non fosse già condannata (E.M. Cioran, diceva). Non ci sono nemmeno più marciapiedi per le puttane dabbene… e questo è davvero un dramma! poiché erano loro le depositarie della realtà che comincia al di là della realtà… e concedevano quel tanto di gioia in cambio di non aderire al mondo dell’insignificanza!
Il cinema, già ai suoi albori di fine ‘800… ha debuttato su falsi sentimenti ed entusiasmi compiaciuti… ha provincializzato il mondo, invece di denudarlo! e il linguaggio dell’ebetismo che ha prodotto — fatti salvi i soliti randagi dell’utopia libertaria —, è l’avvento della mediocrità sull’intelligenza devastata dal mito… mentre il povero è afflitto nella disperazione, il ricco indossa la livrea della tolleranza, e così un nugolo di coglioni fanno del cinema (musica, sport, letteratura, dell’arte insomma), per raccattare un po’ di celebrità ed andare in culo a tutti, persino alla propria madre! Il cinema parla di poesia o di affari! le due cose non vanno insieme!… il film di Edoardo Ponti, La vita davanti a sé, è un esempio di come il linguaggioNetflix abbia permeato bisogni e sogni dei telespettatori… guardare senza capire o, meglio, lasciare alle piattaforme-linguaggi della rete… la violenza spettacolare o forti dosi di cattivo gusto con le quali allevare l’affabilità, la veemenza, la stupidità nell’illusione della libertà… un’opera d’arte muore quando non contiene più eresie!
La vita davanti a sé è cosetta gravida di “buoni sentimenti”… il figlio di Sophia Loren e Carlo Ponti mastica il cinema si da bambino… è autore di film (non proprio avvincenti) come Cuori estranei (2002), Voce umana (2011) o Il turno di notte lo fanno le stelle (2012)… nei suoi lavori non si scorgono sussulti o lampi autoriali che fanno rimpiangere il suo compianto maestro, Michelangelo Antonioni… bravo come pochi a costruire film, un po’ meno a raccontare storie che non dispensano sorrisi nemmeno sul suicidio della bella borghesia! Darei tutta la sarabanda filmica di Antonioni per una sequenza di Viridiania (1961) o di Nazarin (1958)… qui le puttane dei ceti alti sono prese nelle loro essenza di Madonne per tutte le stagioni… Luis Buñuel non dimentica mai di mostrare i dolori degli ultimi e non assolvere nessuna umiliazione della storia… ha la scortesia d’essere anarchico!
La vita davanti a sé è il rifacimento (su toni diversi e minori) del film di Moshé Mizrahi del 1977… tratto dal libro omonimo di Emile Ajar (pseudonimo del lituano Roman Kacew, conosciuto anche come Romain Gary), Premio Goncourt 1975… diciamolo subito… il film di Mizrahi ha una sua bellezza evocativa… l’interpretazione irripetibile di Simone Signoret e la fotografia Néstor Almendros ne fanno una specie di piccolo gioiello sulla marginalità… tra i tanti riconoscimenti ricevuti, si è fregiato persino del Premio Oscar come miglior film straniero… del tutto meritato. Mizrahi ha avuto la spudoratezza di andare in profondità delle “differenze razziali”, senza avere il rimpianto di un’altra realtà da riattualizzare, ma da rifondare!
I sorrisi prefabbricati sono un’armatura da frapporre tra l’anima esulcerata dalla malinconia e la vita quotidiana… il peso delle ferite personali non ha bisogno di maschere e ciascuno si fregia della “buona educazione” per non bruciarsi al fuoco dei rimpianti! Il bordo tra la stupidità e il genio è sottile, ma sono incompatibili!
Di La vita davanti a sé. Madame Rosa (Sophia Loren) è un’anziana ebrea (ex-prostituta) sopravvissuta alla Shoah… tiene a retta il ragazzo di una puttana romena (Diego Josif Pirvu) e il bambino di Lola (Abril Zamora), una transessuale (un po’ troppo sovra le righe, anche nel dolore)… il suo medico, dott. Choen (Renato Carpentieri), le affida la custodia di un ragazzino orfano senegalese, Momò (Ibrahima Gueye)… il loro rapporto è dapprima turbolento poi si trasforma in amicizia!… quando Rosa inizia a perdere la memoria e viene ricoverata in ospedale, Momò la “rapisce” su una sedia a rotelle e la porta a vedere un’ultima alba sul mare… poi si chiudono negli scantinati del palazzo… nella stanza segreta di Rosa… una sorta di santuario sull’olocausto dove Rosa si raccoglieva con i sui ricordi… e lì muore avvolta nell’affetto del ragazzino.
Il film si dipana sulla quotidianità di Momò… all’inizio ruba due candelabri d’argento a Rosa… il dott. Choen, che è il suo tutore, lo scopre e riporta a Rosa la refurtiva… i riferimenti a I miserabili di Victor Hugo sono scoperti e perfino belli… come quando Momò manda in pezzi il libro di Hugo e amorosamente Hamil (Babak Karimi) rincolla le pagine… Momò fa qualche lavoretto per Hamil e il corriere per uno spacciatore appena credibile (Massimiliano Rossi)… i rapporti di Momò con la piccola comunità di disadattati sono aspri, conflittuali… Lola e Rosa però riescono ad accettare l’inquietudine del ragazzo… e Momò comincia a intravedere la possibilità di un’altra vita.
In La vita davanti a sé c’è tutto… proprio tutto… ebrei, musulmani, extracomunitari, transessuali, vecchi, giovani… droga, prostituzione, clandestinità, delinquenza e l’assoluzione di tutti i peccati… ci si aspetta che papa Francesco esca da un vicolo di Bari con il crocifisso in una mano e un fiasco di vino dall’altra, e si metta a ballare la taranta con le puttane di porto prima della messa! La storiellina che Ponti elabora per la ricezione televisiva (infatti il cinema non c’è!)… ruota nel cartolinesco degli ambienti (specie nei notturni)… gli abbonati di Netflix sono appagati… qualche lacrima sul divano non guasta (con il pop-corn e la coca-cola tra le gambe, certo!)… poi viene un talk-show con i soliti giornalisti che pontificano sui morti nel Mediterraneo senza mai accusare i governi responsabili di carneficine impunite, che si spartiscono (con le banche) gli utili delle guerre!… detto da un barbone prima di restare ucciso dal freddo sul sagrato di san Pietro: « Se si piscia su un fiore di campo, cresce più in fretta o muore bruciato dalle preghiere di giubilo per l’umanità di una cosca di balordi! ».
La sceneggiatura di La vita davanti a sé è di Ponti e Ugo Chiti… i dialoghi sono piuttosto esili, si arenano nel naturalismo che porta Momò in paradiso e tutti vissero feliciti e contenti… anche la leonessa che sogna il ragazzino va al funerale di Rosa (?!)… la transessuale fa pace col padre, la puttana romena si riprende il ragazzo, lo spacciatore è del tutto comprensivo e lascia libero Momò… il dottor. Choen continua a lavorare a fianco degli emarginati… l’infingimento della sofferenza mostra che non c’è niente di peggio della santificazione delle buone maniere… nessuno dei personaggi esce dalla letteratura… non c’è qualcosa di vivo, di vissuto o di vero in questo film… l’ipocrisia dell’impersonalità riduce tutto a una beatitudine da forsennati dell’obbedienza!
La fotografia (Angus Hudson), le musiche (Gabriel Yared) e il montaggio (Jacopo Quadri) traghettano il film di Ponti all’interno di un’adulazione cortese dell’emarginazione… la spontaneità di Ibrahima Gueye permea l’intero racconto e ciò che esce dal video è una certa furbizia scenica, più che l’interpretazione abrasiva di un ragazzo difficile!… Sophia Loren si lascia godere nella sua bellezza sfiorita ma di là di poche inquadrature ravvicinate e sguardi incrociati con Momò e Lola, resta lontana dalla grandezza interpretativa che le viene attribuita dai velinari d’occasione… non è la vecchiezza che fa l’afflizione, ma la dignità mai vinta di un’ingiustizia subita! Rosa e Lola appaiono un po’ puttane e un po’ maestrine… credono forse che gli spossessati della vita non hanno bisogno di rancori ma di comprensioni di fronte all’ingenuità che li assolve tra il miracolo e i propri imbarazzi! Non c’è felicità se non nell’innocenza e ci pensa dio, lo stato o il gesuitismo delle “anime candide” ad integrare nel corpo sociale i predestinati al rimpianto!
Il film di Ponti si raccorda con la pietà consolatoria d’un presepe di periferia… senza turbamenti né spiegazioni… si frequenta la miseria senza leggerla… il disagio è una confessione in pubblico e i poveracci sono destinati all’indulgenza e alla commiserazione… occorre diffidare delle persone troppo perbene… hanno sempre bisogno di qualcosa da adorare, foss’anche un despota… la sfilata delle loro amenità conviviali anticipa la sterilità dell’ammirazione e dell’ottimismo, che sono le virtù e le propensioni che portano alla complicità con epoche erette sulle gogne della sottomissione! Cazzo! è tutta la mattina che sono furibondo! Gli intellettuali di sinistra sfilano con fucili a tappi e drappi in bella posa come le guardie bianche in Ca
paiev (1934) di Georgij Vasil’ev e Sergej Vasil’ev… la propaganda non muta di pelle! né colore!… com’è possibile che tanta imbecillità trionfi? perdere tempo con tanta gentaglia? la cosa incredibile che si possa aderire a qualcosa o a qualcuno che affonda le proprie radici nell’anima criminale della storia!
Guardarsi dai probi come dalla peste! Sotto la scorza della modestia celano sempre le catene dell’oppressione! I privilegiati lo sanno! ed esigono dai loro servitori la sparizione di coloro che esecrano! Cristo, un impostore isterico, asceso alla posterità senza un minimo di stile… continua ad avere discepoli ossessionati dalla reincarnazione in un mondo migliore tra i cieli… siccome il potere puzza sempre dalla testa, la degenerazione delle fedi, dei credi, delle ideologie impediscono l’avvento della società egualitaria che vuole eliminare le disuguaglianze… il bene comune e una diversa ripartizione delle ricchezze non li riguardano… devastazioni, usurpazioni, guerre, corruzioni, ruberie… sono il cemento della malevolenza autorita- ria… la verità, come la bellezza e la giustizia, si consumano quando non si trovano più le paro- le per viverle! Se la salvezza dell’uomo è opera di dio, dello stato o del cannone, allora è pre- feribile l’esecrabilità del diavolo… il cinismo anticipa sempre ogni ideale o fede o martirio… il lungo esercizio del disprezzo e l’impossibilità di dimenticare porta a comprendere che il cen- tro dell’inganno universale è la fogna! Gli scettici sono tirati a sorte fra gli angeli-anarca e vengono sempre prima di tutte le aurore di trasfigurazione radicale del divenire! E comunque, senza nessun rimorso!
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 23 volte novembre, 2020