di Antonello Cresti e Renzo Cresti, a cura di Stefano Sissa. Con interventi di Giancarlo Cardini, Donella Del Monaco, Enrica Perucchietti, Pino Bertelli, Novaeuropa Edizioni, 2019
“Mio caro padrone domani ti sparo farò di tua pelle sapon di somaro
ti stacco la testa ch’è lucida e tonda così finalmente imparo il bowling”.
Paolo Pietrangeli, 1969
Ouverture
“Non si tratta di mettere la musica al servizio della rivoluzione,
ma piuttosto di mettere la rivoluzione al servizio della musica
come forma di resistenza sociale e insubordinazione contro
i linguaggi omologati dello spettacolare integrato”.
l’ultimo dei Mohicani
«La musica della civiltà dello spettacolo non ha né senso né utilità (se non per l’apoteosi di miti calcolati e dividendi bancari)… la febbre dell’adolescenza ne fa le spese… d’altronde una devastazione della storia è possibile solo quando si è sensibili allo spettacolo (non solo musicale) che offre il tracollo di una società come trionfo del superficiale. Nel 1969, in piena contestazione generazionale, un gruppo di scarafaggi si fa fotografare all’uscita di una sala di registrazione (Apple Records Studios) a Londra… e non trova di meglio per lanciare il loro disco di attraversare le strisce pedonali di Abbey Road… non c’importa un cazzo nulla di “svelare” il mistero promozionale (costruito anche male) di questa brutta fotografia di Iain McMillan (reperibile in Rete o nelle schedografie dei Beatles), e nemmeno c’importa ricordare quanti imbecilli si sono fatti fotografare sulle strisce di Abbey Road… ciò che conta è comprendere che la dissimulazione è la caratteristica principale del vero cortigiano… per vivere a corte (di una casa discografica, un governo o una religione) è necessario sembrare e non essere… chi mostra di avere un cattivo carattere non riuscirà mai a fare carriera. Il buon cortigiano può anche dissentire, ma in un certo binario sorvegliato dagli spin doctor del regno (quale che sia)… — consulenti ed esperti della comunicazione aziendale, promotori di campagne elettorali —… gli avvelenatori dell’informazione che hanno come precursore il pubblicitario Ivy Ledbetter Lee, il suo intento era quello di “far comprendere l’azienda al pubblico e il pubblico all’azienda”, quando occorre, passare alla “manipolazione della realtà”… per meglio approvare o favorire i crimini del potere giudicati necessari al benessere della Star, di un Profeta o dello Stato.
La critica musicale italiana è tra le più asservite del mercato dell’idolatria… mosche cocchiere d’ogni padrone, cortigiani senza grazia di una demenza accettata che fa bella mostra di sé nei salotti televisivi, nelle radio, sulla carta stampata… senza sapere mai che uno schiavo può tentare di essere libero! un servo mai! Un minimo di gusto porca puttana! di distinzione! altrimenti si pensa che davvero Vasco Rossi, Ligabue o quello scemo di Jovanotti siano dei rivoluzionari! L’eterna farsa continua! non sono i Miti che fanno i coglioni, ma i coglioni a fare i Miti! E pensare che il fascio della musicologia non è altro che una consorteria di mezzi dementi (manovrati e inventati dalla Caste discografiche, le medesime che producono film, giornali, telefoni, giocattoli, armi…)!!! appesi nei salotti o nelle camerette fra Gesù e Che Guevara! invece di essere tirati su per i piedi ai cancelli dei giardini pubblici!, ma con grazia e un certo stile!
Per fortuna ogni tanto qualcuno di questi idioti di successo si fa fuori… (o incidentalmente viene sparato come in un B-movie), così ci risparmia il rimpianto di non vederlo più dissertare per la povertà nel mondo e di non essersi levato dai coglioni prima!… e come diceva il mio “cattivo maestro” Louis-Ferdinand Céline: “Basta rileggere la Critica di tutte le epoche! È la cloaca di tutte le sciocchezze… Nulla è più falso, idiota, scoraggiante — È così, bisogna farsene una ragione — Chi vuole essere felice sia salumiere, nulla più — solo salumiere! lardo, zucchero, maccheroni — Tutto più chiaro e onesto, lì sta la felicità”. La cultura musicale da ritardati mentali che attraversa il mondo non è un mistero… essere complici di un sistema è sempre fare religione (del mercimonio), perlopiù per scemi o entusiasti del ridicolo! Non c’è niente di più stupido del voler essere oscuri, trasgressivi o discettare su universi convenuti, per sembrare profondi. Tranne l’uomo in rivolta, tutto è impostura »<1.
Il libro di Antonello e Renzo Cresti (non sono fratelli), a cura di Stefano Sissa, La scomparsa della musica. Musicologia col martello… è davvero un saggio/dialogo di filosofia/antropologia dei linguaggi musicali affabulato col martello… il riferimento all’incendiario della trasvalutazione di tutti i valori (Nietzsche) è pertinente… i Cresti e Sissa aggrediscono con grazia il ruolo della musica al tempo della civiltà dello spettacolo e disvelano l’industrializzazione progressiva come tomba della funzione o creatività epica, etica e sociale che ha avuto, forse o anche, epoche in cui conoscere era ascoltare e rompere i guinzagli dei costumi, delle morali o delle convenienze… ma gli affari sono affari, insegnano gli economisti dell’universo convenuto, e la celebrazione delle Star non è altro che la riproduzione (sovente anche stupida) di una musica fabbricata o rielaborata negli uffici delle etichette multinazionali… le stesse che fabbricano, film, serie televisive, pubblicità e cannoni… gli stupidi sui palchi riflettono una stupidità più grande, quella del pubblico adorante, senza sapere mai che al fondo bestiale dell’entusiasmo c’è l’imbecillità.
Prosperano nella musica mercatale soltanto coloro che figurano trasgressioni permesse… a volta anche estreme, basta che non facciano sul serio! Se poi si fanno fuori in qualche modo, non è mai troppo male, i dischi salgono in classifica e i padroni della musica pubblicano anche i provini della Star che cantava nel cesso! Per tutto questo, e per quello che vale, abbiamo scritto col gesso sul muro di una fabbrica nel maggio ’68: “Con le budella dell’ultimo dei Beatles impiccheremo volentieri l’ultimo dei Rolling Stone, poi passeremo a Topolino”. La genealogia del fanatismo (anche religioso o politico) passa appunto dall’instaurazione del Mito e ogni domesticazione del linguaggio (non solo) musicale si trascolora in osanna del mercato globale. L’indecenza sta in chi ascolta e vede un cretino come un Ribelle, appunto, quando invece prega Dio (Bruce Springsteen), fa il saluto nazista ai fan (David Bowie) o si prende per maestro Hitler o il Papa (John Lennon)… in ogni Mito si cela un profeta di basso livello e quando disserta sul bene e sul male dall’alto dei suoi conti in banca, avanza un po’ più male nel mondo.
La scomparsa della musica introduce a un modo di fare e ascoltare musica… è un invito a ragionare in maniera radicale la cosa musicale (senza dèi né illusioni)… i Cresti, Sessa e i contributi di Giancarlo Cardini, Donella Del Monaco, Enrica Perucchietti respingono l’eccezionalità delle classifiche musicali, dei salotti televisivi, dei concerti oceanici come poetica dell’esistente e li screditano, a ragione, come edificio delle lusinghe… sanno bene che non è facile distruggere un idolo, “giacché non basta annientare il suo simbolo materiale, il che è semplice: si devono anche annientare le sue radici nell’anima” (E.M. Cioran), e questo comporta sopprimere l’uso uniforme della banalità e passare alla liquidazione pura e semplice dell’idolatria… i dialoghi tra i Cresti e Sessa attraversano tutti i generi musicali e mostrano che gli idoli, alla pari dei politici e dei carnefici, morirebbero di tristezza se non fossero pervasi da un consenso traboccante che l’incensa come modelli… peccato però che nel mattatoio delle definizioni non resta che il tanfo dei loro precetti e il lezzo dei padroni che asserviscono. La plebe che li applaude non accetta la soggezione all’inganno, se non in piena coscienza! Non tutto il rizoma musicale è così, certo… tuttavia un’agonia senza genio si aggira nell’immaginale mercatale del mondo ed è complice dello spettacolo inqualificabile dell’ingiustizia umana.
La scrittura differenzialista di La scomparsa della musica è una corrente sotterranea, una resistenza culturale sul fare-musica e riflessione sull’evanescenza del Rito… è una forma di dissidio e richiamo a una fraternità in rivolta che dà inizio alla demolizione del sistema spettacolare. A un certo grado di bellezza scritturale, ogni franchezza denuncia l’indecenza che la suscita… la disobbedienza segue il cammino inverso della falsità e la musica, come la vita, sarebbe intollerabile senza la poesia (o altri strumenti più radicali) che la nega. Per i Miti dell’industria culturale: come palcoscenico avrete un letamaio e come paradiso il cappio del boia! Non sarete degni che di una gloria da bordello e un trono di sputi. Ci siamo allontanati dalla musica quando ci è diventato impossibile ascoltare un cretino che riempie gli stadi senza che ci suscitasse il desiderio di prenderlo a calci nel culo… né Giobbe né Macbeth, solo la ridicolaggine di un Dio senza talento né cuore se non per l’aureola che gli hanno costruito addosso… vi è una volgarità musicale che induce ad accettare qualsiasi cosa, perfino idiozie appassionate o l’ebbrezza del ridicolo… il Mito sposa tutte le opinioni perché è servo di tutti i partiti… è il vassallo dell’educazione all’ipocrisia e portinaio di tutte le convenzioni… sotto il cielo falso della musica mercatale trionfano schiere di carogne e lì muore la bellezza dell’innocenza. Musicologia col martello, dunque… significa dare inizio allo smantellamento di volgarità verniciate di sublime e fare della musica dell’insubordinazione il ritorno alla riscoperta della “perduta gente”.
1 Questo scritto che apre la nostra piccola deriva scritturale del libro di Antonello Cresti e Renzo Cresti, a cura di Stefano Sissa, La scomparsa della musica. Musicologia col martello (con interventi di Giancarlo Cardini, Donella Del Monaco, Enrica Perucchietti, Pino Bertelli), Novaeuropa Edizioni, 2019, è un frammento tratto dal nostro pamphlet (inedito), Mio caro padrone domani ti sparo. La falsa rivoluzione della musica e i miti falsi della civiltà dello spettacolo.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 7 volte maggio 2019