(a cura di Neil Novello), Castelvecchi 2018, pp. 216, € 17,50
I giorni del dissenso. Le notti delle barricate di Giorgio Cesarano, è un diario-testimonianza scritta a caldo nel vivo della protesta studentesca a Milano nel ‘68. Cesarano — pregevole autore di opere marxiste /comontiste /situazioniste come Critica dell’utopia capitale, Manuale di sopravvivenza o Apocalisse e rivoluzione (con Gianni Collu) —, racconta le idee, le speranze, le lotte degli studenti contro le forze dell’ordine… anche i comizi nelle piazze, le assemblee nelle università occupate… gli incontri con i lavoratori… ed è in quei giorni infiammati che abbiamo conosciuto Cesarano al tavolo di un bar, sorrise e, come scrive nel libro, quelli di Classe operaia di Piombino lo coinvolsero a sfogliare il questionario di un seminario di politica attiva (contro i sindacati)… fu gentile e al tempo stesso scostante, tuttavia abbiamo seguito il suo percorso culturale, politico e sostenuto con l’editore Varani, la pubblicazione di Critica dell’utopia capitale. Ci piace la visione della dismisura dispersa nei sui lavori e, più di ogni altra cosa, ci affascina il tentativo (riuscito) d’innalzare la parola alla forza e alla bellezza del cielo stellato.
I diari di Cesarano sono anche altro e molto di più della cronaca di una giovinezza per niente perduta, che la voleva far finita con la superficialità dei salotti borghesi… figurano il romanzo autobiografico di un intellettuale che rifletteva sulle proteste generazionali che esplodevano ai quattro venti della terra… per descrivere le emozioni, le passioni, le invettive dei giovani che si rovesciavano contro revisionismi, riformismi, burocrazie e tradimenti dei partiti (specie quelli della sinistra)… Cesarano usa un linguaggio particolare, una forma di idioletto che non lo fa leggere proprio d’un fiato… tuttavia la flânerie comunitaria che fuoriesce dai suoi appunti, esprime una delle forme discorsive più alte dell’immaginazione rivoluzionaria… raccoglie in queste pagine un diverso modo di esprimere, di significare e di agire di quei ragazzi che andavano a processare le autorità politiche, accademiche e dei partiti… a ragione, volevano salvare il mondo e insorgevano per afferrare la realtà ancora inconquistata.
Cesarano s’immerge nella fiumana della contestazione e scrive: “Non si modifica la struttura della scuola senza modificare le strutture della società, la scuola di classe è tutt’uno col sistema di classe, chiedere riforme settoriali non ha senso bisogna volere il rovesciamento del sistema… all’illegalità e alla sopraffazione poliziesca si deve rispondere con l’illegalità e con la lotta di tipo guerrigliero clandestino (e citando Ernesto “Che” Guevara), il compito di un rivoluzionario è fare la rivoluzione”. La notte delle barricate è dedicato ai ragazzi delle bottiglie (che non erano erano molotov, dice Cesarano, ma proprio semplici bottiglie vuote che tiravano contro la polizia)… quella giovane marea montante osava sfidare manganelli e fucili con la gioia e in quella primavera milanese disselciavano le strade per cercare sotto il selciato il porfido dell’utopia, si rivoltavano contro la società dello spettacolo e annunciavano i nuovi mattini di una società più aperta, più libera, più umana.
La sinistra istituzionale non capiva l’esondazione di quella disobbedienza radicale… i pugni chiusi contro il cielo, le grida sguaiate, le provocazioni violente… non chiedevano al PCI di fare le barricate, le facevano e smascheravano anni di parole istituzionalizzate che avevano sconfessato la democrazia uscita dalla Resistenza… avevano modi diversi di esprimersi, volevano modi nuovi di vivere. “Quando il potere gettò la maschera gli oppressi dettero di muso in sciabole fucili e gas” (Cesarano) e andavano ad annunciare l’“autunno caldo” del 1969. Il pane, le rose e il piombo accompagneranno il dissenso del ’68 fino al 1977, poi ciascuno seppellirà i propri morti e altre caste di potere soffocheranno l’entusiasmo popolare.
Cesarano avvertiva nei suoi scritti la necessità di abbattere la società burocratizzata (quella occidentale come quella dell’Unione sovietica) e come Pasolini e i situazionisti, chiedeva il reincanto della politica, vedeva che non ci può essere nessuna pace e nessuna benedizione per coloro che non sanno praticare il dissidio… mirava a un’opera futura, a una costruzione difficile ma non impossibile della società liberata… le sue pagine sono a volte intime, amicali, altre impudenti, velenose… il suo libro è un’accusa lancinante contro secoli d’inciviltà. Non si trattava di cambiare il mondo (Marx) ma di rivoluzionare la vita quotidiana (Rimbaud). Nei ragazzi del ’68 non vede l’imperativo della confusione o le mitologie dell’insensato… coglie piuttosto il disinganno della ribellione e crede, come loro, che il sistema religioso, economico e politico, responsabile di profonde miserie e discriminazioni, vada abbattuto o rinnovato. L’Odissea, Shakespeare e Don Chisciotte (ma anche la dérive di Debord) si mescolano nella sua poetica estrema e parola dopo parola si giunge a inceppare l’indecenza della banalità… sono i linguaggi innovativi che decretano la fine degli imperi e prima o poi diventano universali e conducono al rovesciamento di una società che si spegne… che una società del disprezzo, delle disuguaglianze e dei terrorismi finanziari sia destinata a perire è possibile ed è persino auspicabile.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 7 volte luglio 2018