di Luigi Zoja, Bollati Boringhieri Editori, 2007, pag. 115, Euro 7, 00
Il saggio di Luigi Zoja, Giustizia e bellezza, è una sorta di viaggio filosofico, antropologico, psicoanalitico sulla giustizia e la bellezza che le società di massa hanno in qualche modo cancellato dalla memoria storica dell’umanità. Andando a rileggere pagine intense di Aristotele, Kant, Jung, Levi, Newman, Buber, Borges, Pasolini… Zoja ricostruisce un’etica dell’esistenza planetaria calpestata dalla bruttezza e mostra che la giustizia non è separabile dalla bellezza. Di più. Che la bruttezza e l’orrore sono sovente diffusi sotto il nome di progresso.
Zoja si attesta ai concetti di estetica e di etica fondati dai greci, che si reggevano su due facce della stessa qualità: la virtù e l’eccellenza. Le frecciate di Zoja alla politica di Palazzo sono forti, acide, precise e in contrasto con le linee generali della partitocrazia scrive: “la piazza come piattaforma della cosa pubblica è scomparsa, e con essa è scomparsa la via maestra, naturale e gratuita, di educazione alla bellezza che per secoli, anche se non poteva evitare guerre e calamità, ingentiliva l’anima umana”. Il diritto alla bellezza era di tutti e tutti potevano insorgere contro la bruttezza di leggi ingiuste e di nefaste scelte sociali dei governanti.
Il libro disvela il mercato della comunicazione e, nel contempo, denuncia anche l’assuefazione delle masse ai simulacri di domesticazione sociale rappresentati dall’impero dei media, nessuno escluso. La nuova piazza virtuale è la televisione e sul video si “combattono” le schermaglie elettorali. Si combinano “affari sporchi”. Si uccide la democrazia che non c’è. Zoja, appoggiandosi a Eschilo, Sofocle, Rilke o Hölderlin, sostiene, a ragione, che il male è evitabile solo sconfiggendo la bruttezza che i grandi soggetti dell’economia (le multinazionali) e l’utilitarismo della politica (l’oligarchia dei partiti) riproducono nel passare dei governi. Anche la Chiesa di Roma non è assente dalla bruttezza e dall’ingiustizia, e dal Rinascimento ad oggi sono stati tanti i bavagli che ha imposto all’etica spirituale che non comprovava il suo potere divino.
Zoja passa in rassegna la storia della giustizia e della bellezza calpestate. Si chiede che arte e politica sembrano assolvere i desideri e i bisogni della civiltà di massa, e i possessori del consenso ne approfittano senza timore di allargare prostituzioni e genocidi. Ovunque i diritti umani sono violati, e il mercantile esasperato del neoliberismo è destinato all’insuccesso planetario e alla mortificazione dell’etica individuale. Con la modernizzazione, la privatizzazione e la tecnologia, gran parte del crimine è stato sottratto alla vergogna dell’esposizione pubblica, dice Zoja, e l’intero pianeta è stato esiliato in un’immensa “zona grigia” dove solo l’onestà e la riconquista della “vecchia etica” possono impedire i guasti delle democrazie dello spettacolo (della sacralizzazione del consenso). È scomparsa la piazza e al suo posto sono stati eretti i palazzi del “libero mercato”. Il fatto è, dice Zoja, citando Rifkin, che il mercato è scomparso. Il mercato era un luogo dove ciascuno aveva libero accesso, dove ci si incontrava liberamente e liberamente si scambiavano merci. Tutto questo è finito. L’accesso alla piazza è selezionato, affidato a filtri e condizionamenti. Il potere si accresce e corrisponde allo sfarinarsi della comunità, e quando la comunità sparisce, la morale inevitabilmente si ammala, annota Zoja. Quando una società lega la propria morale al profitto come unico valore, la giustizia e bellezza della comunità muore.
31 volte ottobre 2007