Naviga per Categoria

Francesca Grispello. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza

Inserito da serrilux

  • Francesca Grispello. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza
  • Francesca Grispello. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza
  • Francesca Grispello. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza
  • Francesca Grispello. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza
  • Francesca Grispello. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza

alle magnifiche fanciulle delle fiumane di miele nei canneti fruscianti di vento e di sale…

“Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e…
cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che possono esserti date poiché non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora. Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano giorno in cui avrai la risposta”.

Rainer Maria Rilke

I. Sull’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza

Ouverture in forma di seduzione scomposta. In principio non fu la luce sofltanto, ma l’amore certamente… e siccome siamo anarchici in tutto, con la sfrontatezza o l’insolenza che ci è solita, vogliamo credere che il corpo sia il luogo, il covo o il ponte dell’anima… il che non è poi molto bislacco… per decifrare il codice dell’anima e comprendere il carattere, la vocazione, il destino o la condivisione profonda del corpo col mondo (James Hillman, diceva, anche se non proprio così), occorre anche accogliere il “compagno segreto” (il duende, il daimon, il genio, l’angelo necessario o custode per i cristiani) che accompagna chi lo vuole là dove finisce il mare e comincia  il cielo… e intraprendere il cammino sul fiume del divenire in cerca di approdare nei significati profondi dell’esistere… non c’è un viatico per raggiungere la felicità, il viatico non solo è la felicità ma respinge dappertutto l’infelicità. La felicità di ciascuno consiste nella capacità di amare e di essere amati. L’amore, la bellezza, la giustizia, la pace vengono da dentro, inutile cercarle fuori… combattere la paura a vivere o il rancore o la cupidigia significa cercare il cambiamento e affidarsi al respiro liberato del cuore. La grazia, la passione, il desiderio dell’arte di gioire sono l’accezione del mistero, della magia, dell’incanto che si fa vita e s’abbevera alla sorgente del giusto, del bello e del bene comune… l’amore di sé e per l’altro contiene la forza di distruggere e di creare, quando è una flânerie dell’anima può cambiare il mondo.

I maestri dell’arte di gioire che continuiamo ad amare, a saccheggiare, a tradire, anche… ci hanno lasciato le diversità nei loro sacchi di saggezza, con loro abbiamo appreso che la conoscenza del dolore si può trasformare in coscienza dell’amore e mostrare che ogni pudore muore con l’innocenza del desiderio che abolisce regole e divieti… è vero, “giriamo a vuoto nella notte e siamo consumati dal fuoco” (Guy Debord) della verità come dinamite!… ed è per tutto questo che attraversiamo il furore dionisiaco di Averroè, Agostino il berbero, san Giovanni della Croce, Siddhārtha, Thomas Müntzer, Carl Gustav Jung, Simone Weil, Etty Hillesum, Hannah Arendt, Marguerite Porete, Elizabeth Smart, Jana Černá, James Hillman, Hans Jonas, Martin Buber, E.M. Cioran, Michel Onfray, e anche le favole sulle rivolte dei poveri che mi raccontava mia nonna partigiana mentre buttava le sardine sul ferro della stufa -… vogliamo andare a coniugare la forza prometeica dell’ultimo degli straccioni con la poetica del fuoco dell’ultimo dei ribelli… vi è più ragione nel corpo liberato che in tutte le saggezze insegnate!… è nel piccolo trattato di ateismo del barone Paul H.D. d’Holbach (pubblicato clandestinamente nel 1768) che abbiamo trovato la risposta o l’interrogazione ai fasti dell’idolatria e del pregiudizio, e i diversi modi per abbatterli alla radice: “È chiaro che chi pensa in questo modo sul clero [o sulle “sante” istituzioni”] non ha fede né legge. Non può essere virtuoso né un buon cittadino, padre, marito, amico, soldato, magistrato, medico eccetera. Insomma, è buono solo da bruciare al fine di impedire agli altri di imitare il suo modo di pensare”1. I campi di sterminio, le crescita delle disuguaglianze, le guerre… esprimono la morale tutta divina della tenebra e della servitù volontaria (verso la finanza, la politica, le mafie) sulle quali si basa la civiltà dello spettacolo.


Ora nel nome del padre, del figlio, dello spirito santo e dei dividendi delle banche o degli ascolti televisivi o dei social-network… vengono commessi delitti senza gloria… i partiti hanno una speciale predilezione per i “figli” più stupidi… li allevano nella confessione, nel pentimento e all’obbedienza… il più piccolo atto di rimpianto è sufficiente per riconciliarsi con lo Stato o con Dio… il premio è la speranza… non solo elettorale… anche se vengono ammazzati in guerre che non li riguardano, i fedeli a tutto avranno certo una medaglia al valore e un cippo nei giardini pubblici dove pisciano i cani… non è poco… per gli estasiati delle macellerie… se i politici fossero chiari sarebbero presto spacciati e appesi ai lampadari del parlamento… sulla cattedra della verità non hanno posto l’assassinio paludato che assolve gli sgozzatori di resistenze e insubordinazioni… per non vedere l’imbecillità della politica o delle chiese o dei saperi, basta chiudere gli occhi e imparare presto a leccare il culo a despoti (sovente ignoranti e illetterati quanto i loro bravacci) che fanno ricorso al ferro e al fuoco per indottrinare i propri sudditi o accoliti. Resta comunque l’impenitenza! Perseverare nel peccato! Rimanendo ribelli contro ogni forma di tirannia! L’impenitenza è detta finale, diceva. Uccido chi mi uccide! come amo chi mi ama! I maestri carbonari con il coltello in mano vanno rispettati perché sono iracondi contro il giudizio universale e non scendono a patti con nessuno che non sia all’altezza delle loro lame… anche la balena bianca li ha sputati perché non erano digeribili.


Il gesuita padre Malagrida venne arso dall’inquisizione nel 1761 perché convinto che “non è peccato neppure veniale uccidere un re [ papa, primo ministro, presidente, finanziere, generale o anche l’operaio ] che perseguita i santi”, sfrutta e violenta gli ultimi… Gesù Cristo si era dimenticato di dirlo, ma l’angelo del non-dove, che ne sa almeno quanto lui e forse di più, ricorda che la ragione dominante si forgia con l’aiuto dei condannati alle carneficine… i politici sono solo marionette manovrate con i fili della finanza! Quando si dice che Dio è in collera significa che alcuni estremisti hanno fatto saltare in aria i mercanti del tempio di Wall Street e anche lo Spirito Santo della Borsa… quando la surrealtà si mescola al proponimento di mutare l’immutabile, ogni cosa è possibile. Rivolta: dicesi di un uomo o un popolo che si prende il diritto di rigettare ogni costrizione e di porvi rimedio (con tutti gli strumenti utili)! Non si uccide un Dio invano! Ci vuole perseveranza e immaginazione! Occorre spargere il suo corpo nei campi degli empi (che si sono macchiati di irreparabili ingiustizie o crudeltà) per non farlo risorgere e portare di nuovo nel mondo il detto: “A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (versione di Marco, versetto 4,25). Da quando accendo il camino con le pagine della sacra Bibbia, non ho mai più avuto freddo.


Parola del Santo Prepuzio (qui si accetta un mezzo sorriso)… per essere un buon cittadino è importantissimo non avere nessuna forma di pensiero o averne una molto ristretta… nemmeno i Cenobiti di san Pacomio (monaco egiziano del III e IV secolo) avevano bene compreso che la vita comunitaria non ha bisogno di regole né di diffondere alcunché oltre l’amore dell’uomo per l’intera umanità… Jean-Marie Déchanet (monaco benedettino che praticava il buddismo)… nelle pagine del suo libretto, Va’ dove ti porta il cuore (1972)2 sparge i semi del principio del piacere e il principio della realtà come l’identità che si fa voce o tuono o vento e sconfigge l’ignorantaggine, l’indifferenza o il silenzio del conveniente… si apre con un versetto biblico: « Sta’ lieto, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi. Sappi però che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio ». Al di là del giudizio di Dio, che è roba da fanatici della genuflessione, per ogni forma di potere avere idee sconvenienti è il più atroce dei crimini. Ed è perfino vero! Si sa che l’edificazione della civiltà dello spettacolo poggia i propri successi non solo sullo spettacolo come rapporto sociale fra persone mediato dalle immagini, ma sulle fosse comuni… lasciarsi mettere il basto, portare la croce o canonizzare la borsa dei ladri vuol dire beatificare il lezzo dei potenti e mangiarsi con l’agnello di Dio anche la cassa delle offerte… i tempi di viva fede nel cappio del boia continuano.

Solo la rêverie dell’amore cioè d’abbandono magnifico o fantastico allo spirito androgino delle frenesie latenti che non si possono descrivere, solo vivere… può attizzare il fuoco di passioni svergognate… la poetica della rêverie è il “bisogno di mettere al femminile tutto ciò che vi è di avvolgente e di dolce al di là delle designazioni maschili dei nostri stati d’animo” (Gaston Bachelard)3, è il linguaggio dell’AnimusAnima di Nietzsche, Jung, Hillman o di una signora della strada che mi ha avviato  alla buona creanza dell’amore selvatico… che questi “sognatori di parole” traducono come dualità donna-uomo e viceversa… e il lirismo onirico che ne consegue unisce il mondo al sognatore… la rêverie dunque è un’immagine cosmica, una vita segreta che anima le cose e approda alla coscienza dell’amore come poetica della bellezza.


Sognando davanti all’amore, l’ironia scopre che l’amore è la forza del vivere all’incrocio dei venti… è la foce del profondo e il sangue della luna che fa toccare il cielo con le dita… come l’acqua, il fuoco, la terra si uniscono all’amore in una cosmogonia di rêveries oniriche che attraverso lo sguardo raggiungono o riprendono gli archetipi dell’uomo, della donna e mostrano che tutte le cose sono illuminate… ecco… l’immaginale dolente, amoroso, delicato, anche… che fuoriesce dalle figurazione di Francesca Grispello (che lei chiama “esercizi di carne”), porta in sé la feracità di un raccoglimento… di un’infanzia spesso silenziosa che è propria di godimenti concreti e non sempre condivisi nelle loro estremità, dall’accedere alla seduzione scomposta o ignorata dell’altro, dell’altra e l’autobiografia che ne consegue è una forgiatura nel dolore, come nell’amore (forse mal corrisposto), che fa del corpo un santuario o un crocevia di residui relazionali dove sono affogate le illusioni… l’amore pazzo è sempre fuori dal senso, dall’ordine, dalla misura… perché solo l’amore androgino regna! il resto è trucco.


Come nei sogni inconfessati, segreti, malinconici di una bambina, un bambino o un poeta maledetto… il corpo è innanzitutto l’ebbrezza di desideri ignorati o amati… violare i brividi di un’infanzia intramontabile significa fissare l’intuizione nell’accoglienza, per non dimenticarla… in questo senso e solo in questo senso, le autofotografie della Grispello generano tensioni, conflitti, bruciature dell’anima… l’iconologia che ne fuoriesce si fa arco e freccia tra corpo, coscienza e affettazione della realtà… quando è vissuta innanzitutto sul sangue dei giorni, la fotografia come la vita in amore acquista un’eccezionale carica di verità. L’amore è là dove non ci si aspetta e lo si aspetta sempre là dove non c’è mai o travolge il linguaggio velato del corpo… dove il coraggio androgino non suscita fratture, incrinature, violenze… ma una sorta di armonia amorosa e complicità sulla quale esonda la geminazione dell’amore pazzo. Le immagini della seduzione interrotta o maleamata della Grispello contengono i segni intimi o percorsi diseguali che attraversano spazio e tempo, defigurano l’inverso e il rovescio dell’esistere, disfano l’evidenza trasgressiva dove il privato non è più appannaggio dei prìncipi, dei re o delle dame di corte… ma si sovrappone al rituale domestico con la sregolatezza dell’insorgenza o sfida o interdizione del convenzionale… i passatori di confine detestano i clisteri di acqua benedetta e vanno in alto mare, belli e sbalorditi nelle lacrime della gratitudine di chi conosce il sesso degli angeli.

Nell’immaginale della Grispello lo sguardo espropria il reale attraverso l’eccesso e tutte le parvenze franano su universi sconnessi… infranta la simulazione ecco che esonda l’incesto (contaminato, impuro) tra fotografia ed erotica dei corpi, non dei giochi mondani… è la seduzione del manifesto e del latente o di verità nascoste che cercano d’impedire lo smottamento della disperazione: “la seduzione non è mai lineare, non porta maschere (questa è la seduzione volgare) è obliqua” (Jean Baudrillard)4… introdursi come un sogno ad occhi aperti nell’intimità di una fanciulla o di chiunque altri è alimentarsi alla fonte della grazia e della parola spogliata di tutto… l’incanto della seduzione non ha niente a che fare con il contratto sessuale ma è la dualità dei corpi che si trasformano nella delizia e nella bellezza che aboliscono o rimarginano ogni ferita.


Quando niente viene lasciato al sembrare, ogni promessa di gioia è inopportuna, come scrive Marguerite Duras nei suoi testi segreti: “Un’altra sera lo fate, come nei patti, dormire col volto fra le sue gambe aperte, contro il suo sesso, già nell’umidore del suo corpo, là dove lei si apre. Vi lascia fare”5… forse lei ride e si riaddormenta per svegliarsi poi in un racconto per immagini che non sono fotografie ma la vita… e allora è il sorriso che cancella il pianto o l’induce a ridere e piangere sull’osceno che consiste nel fatto che tutte le apparenze sono bruciate e niente (o tutto) viene lasciato al caso… il corpo è dunque configurazione materiale del desiderio e tutto si discioglie nella sublimazione dell’esistere in vertigini di bellezza accolta… la fragilità della bellezza si riscopre o si custodisce nelle magie dell’energia libidinale che è l’incarnazione del sensibile… i corpi in amore sono fatti per svelare la meraviglia che si cela negli occhi di chi conosce l’inconoscibile… e anche di chi ne annusa il profumo d’eternità.


Non ci sono né codici, né certificati in amore… le donne amate lo sanno… gli uomini meno o sono del tutto sprovveduti di fronte al corpo della donna che si fa pensiero… a vedere o confondere la possessione con l’eguaglianza… il corpo dell’uomo è il potere, quella della donna l’amore! Se agli uomini di potere leviamo il ruolo per il quale sono diventati “influenti”, quasi tutti non sono in grado nemmeno di prendere un tram o accendere una stufa come si deve o lavarsi un paio di mutande sporche… le donne o almeno certe particolari donne, sanno cogliere le rose della seduzione appagata come stato di suprema creatività… e non ci sono cazzi che tengano, o si fa parte della confraternita dei libertini (cioè dell’anarchia vitalista) o si è schierati con i prosatori della decorazione sessuale… i cortigiani della modalità, gli esaltati dell’adulazione, gli arroganti dei vizi senza virtù dei padroni, sempre pronti a strisciare per l’accesso alla pubblica ammirazione. Tutta gente che davanti a un tribunale dionisiaco sarebbero destinati all’insignificanza.
Ci sono state donne che con la loro impertinenza hanno avvelenato i dispensatori d’imbecillità (non solo religiose), Marguerite Porete, ad esempio… bruciata viva sul rogo (1°giugno 1310) perché sosteneva, a ragione, che l’amore che si fa anima si distacca da tutto e diventa la realtà del Tutto! Niente è più eretico dell’amore che profana l’amore dato, financo celebrato. Quando l’unicità dell’amore diventa vita autentica, non importa più pregare né cercare, “non fa conto di vergogna né d’onore, di povertà né di ricchezza, d’agio o di disagio, d’amore o d’odio, d’inferno né di paradiso” (Marguerite Porete)6. Lo specchio delle anime semplici della religiosa, scrittrice, teologa francese, riflette la dissidenza e il piacere in allegorie della volontà di trasmutare il corpo in Amore… l’Amore non veste né il saio della fede né l’abito dell’autoritarismo… il cammino regale dell’anima in amore è una filosofia del desiderio che rompe tutti gli argini dell’accettato… è una metafora di seduzione che esonda al godimento, anche al più estremo, e conduce a tutto tranne che alla morte sociale. Quando a Judy Garland viene chiesto perché prendeva psicofarmaci per combattere la depressione, risponde: “Ho avuto quattro mariti, ma non sono serviti, ogni volta che taglio una torta, mi ritrovo sposata con un idiota” (citazione a memoria, rubata da non so quale libro o film)… la seduzione dello specchio di sé è il luogo del disincanto, non appartiene all’ordine del reale, decostruisce senso e valori imposti… infrange la simulazione orchestrata sul pulpito della verità unica… è il velo tolto all’ipocrisia e all’inganno… e basta la visione trasversale di uno sguardo per disfare l’evidenza del mondo.

II. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e delle visioni di sangue, di dolore e specchio del sé

Le fotoscritture del corpo come anima in amore di Francesca Grispello (a partire dalla geminazione del dolore che le detta, e poco importa se sono realizzate con uno smartphone, specie quelle in bianco e nero), non hanno niente a che vedere con i selfie o autoritratti per così dire artistici… quelli indirizzati al mercimonio da galleria o calendari per camionisti o prelati senza un qualche valore… mostrano parti del corpo nudo ma non sono concettuali… semmai metaforiche, surreali, atonali all’estetismo dello spettacolare… sono una sorta di rizomario estetico/etico che si richiama al dualismo del corpo e dell’anima ferito nella carne e nello spirito… sotto un certo taglio emozionale o epico, anche… ogni fotografia è un canto d’amore che stermina l’intollerabile che disdegna e gode di tutto ciò che non comprende… si tratta di ricucire le ali degli angeli o dare voce alle bambole di pezza, ricordandosi dell’amore o di non averlo mai vissuto. Solo le farfalle riescono ad onorare la loro fragile bellezza, per questo, come le lucciole stanno sparendo… quelle che restano si bagnano senza pudore alle fonti del piacere davanti ai monelli, senza mai che i loro disamori se ne accorgono… solo i cuori magnificati degli innamorati si offrono al frullo del passero, prima di cadere a terra colpito dall’inconsistenza dei precetti, dei dogmi, dei poteri… smarriscono nelle mani che li frugano in crociate di supposti miracoli e solo la neve dei capogiri o i giochi sfrontati in amore li conducono in quel paese dove il sogno è anche la vita. Le visioni d’amore, di sangue, di dolore e specchio del sé della Grispello nascono nell’intimità e finiscono in fotografia… asciugate al filo insanguinato della vita che corre… sono di una nudità inviolabile o profanata al contempo… mani che si alzano contro il cielo, mani che figurano mutilazioni, mani che si aprono all’arcano che avanza… forse a qualcosa che nasce su qualcosa che muore… come il rinnovamento delle stagioni e della fecondità della terra che secerne singolari sudari dell’espiazione… lo sappiamo, l’amore è contenuto nel palmo di una mano ed è così prezioso e impertinente che fa del desiderio un immaginario a misura di tutti i possibili… niente è più insensato di un corpo maleamato, volgarizzato o gettato a caso nella mischia… si tratta di trasformare il corpo in un angelo senza rimpianti e fare del piacere la percezione salvifica della differenza prodiga.


Il fascino della seduzione sta nella dualità stregata o incestuosa che ciascuno ha con la propria immagine: lo specchio della seduzione come sete di vita o esaltazione dell’amore (Rainer M. Rilke), porge una lusinga mai un’illusione… infrange la paura del divieto e riverbera l’enunciazione dei corpi sganciati dal nascosto o dal mai visto né assaporato. “Viviamo nella paura, ed è così che non viviamo”. Questa frase del Budhha vuol forse dire: ci manca l’impudore di vivere come di morire. La secolarizzazione delle lacrime non è ereditaria… ogni demiurgia verbale contiene il suo rovescio e si sviluppa a spese della propria dignità… non si deve chiedere alla banalità nessuna risposta… uno scemo vale un altro -… ogni emozione evocativa è ancestrale, perfino sacrale… l’amore non aderisce che all’essere in volo, come la verità rovista nell’illusione e la sconfigge, è anche il respiro disadorno che porta alla liberazione… è l’irrompere della luce nell’opacità della vita ordinaria, l’estasi ereticale che divelte la censura della benevolenza… che è l’intolleranza, l’efferatezza e il provincialismo: abbattere tutte le segrete dello spirito, far vacillare ogni condotta, ogni dottrina e superare i propri limiti, incendiare la casamatta delle passioni libertine e libertarie… questa è il delta del nuovo o l’invito al viaggio nella filosofia dei momenti unici, diceva!… dove l’amore dell’uomo/della donna per ciò che ama è la risposta a tutto.


L’iconografia  del  corpo  nudo,  annerito,  disincarnato  della  Grespiello…  come  nei frammenti di luce sulle gambe, sulla schiena, sul seno, sul volto aperto forse sul futuro e su di sé… grondano di una sensualità privata… di una sessualità indiretta… di un’inclinazione al dolore del quale prendersi cura… un’apocalisse dei sentimenti struccati che chiede la fine della sofferenza… il corpo racchiude le risposte, quand’anche le interrogazioni non sono altro che oscure preghiere di assoluzione… solo la bellezza, la complicità e il piacere aiutano a comprendere l’odore della vita. “Godi e fa’ godere, senza far del male né a te né a nessuno: credo che in questo consiste tutta la morale” (Chamfort, diceva). E allora al fondo di questo rizomario del dolore c’è anche un grande sì alla vita… il sangue del reale merita ogni attenzione… e il corpo è come l’athanor degli alchimisti… è qui che il piacere di sé e dell’altro si trascolorano nel piacere come misura di tutte le cose… e là dove le fiumane del miele dei padri scivolano sulle cosce nude e invetrate di nuovi respiri strappati all’infelicità, il corpo nobilita il sensibile e il reale: “Feritemi, traditemi, ma assicuratemi soltanto l’amore; perché l’intero giorno e l’intera notte, lontana da lui e accanto a lui, dappertutto e sempre, quella è la mia gravità, e le mele (che sono già mature nel mio giardino) cadono soltanto verso la gravità” (Elizabeth Smart)7, o forse è la vita, eterna puttana,  che può offrirmi un avvenire d’assassini o un petalo di biancospino che sanguina ancora al cospetto dell’amore infiorito al rosso dei tramonti.

Il corpo ignudato della Grispello e quello di tutti i corpi svelati nella seduzione del vero riacquistano la delicatezza, la dolcezza, la tenerezza e il licenzioso, l’erotico, lo svergognato inzuppano il cuscino dei sogni, e i giochi dell’edonismo o le esultazioni del ludico riportano all’Altro di sé… niente è osceno nella frenesia dell’amore senza confini… perché il desiderio abita il fondo della vita e ne conosce i segreti… ecco allora che quelle immagini-corpo ammaccate d’amarezza rappresentano anche l’indicibile e là dove il morire sembrava l’ultima possibilità di chiamarsi fuori dalla vivenza ludra, si conquista l’oltrepassamento della soglia o del rito: “Rito del fuoco, rito della porta, rito dell’accendere, rito del cogliere, rito del legare, rito dello spandere il nettare” (Michel Onfray)8, che sono i riti della penetrazione dell’eros indiano (o della spiritualità genealogica dei Veda) sparsi sulle belle risate dei corpi amati… e nessuno non potrà mai sapere nulla delle architetture erotiche, a meno di essere un iniziato o un suppliziato al piacere… sta qui l’insurrezione erotica della costruzione misterica del diverso o del bracconiere di allegrezza… è la trasgressione riuscita che uccide la volgarità e i luoghi comuni… è la gnosi del godimento che apre ferite e le rimargina con la saliva dell’inconsapevole! Si tratta di strappare la benda agli occhi della cattiveria e far marcire i tabù, i totem e le buone maniere in tutto ciò che ricusa il piacere… la sede del desiderio non si trova nel cazzo o nella fica, ma nella testa spazzata da ogni dannazione, decenza valoriale o evangelica: così come gli scemi non possono che generare scemi, i dotti, i potenti, gli stolti… non possono generare corpi o pensatori sovversivi.


Le immagini-corpo della Grispello enunciano una sofferenza in contrapposizione al piacere del desiderio… figurano nel loro rovescio i baci foglianti di sale e di miele, le tenerezze della carne, le voluttà condivise… e come in un sudario sanguinante di dolore annunciano la bianchezza improfanata dell’innocenza… come  la fame, la sete, i desideri, la sessualità, le pulsioni di vita a venire, la loro lettura in profondità trafiggono ogni peccato e ciò che resta dell’amore arde di nuove invettive contro duemila anni di sottomissione… nessuno può insegnare a nessuno se non ciò che già albeggia nella propria coscienza… le luci, le ombre, i neri, i pezzi di corpo della Grispello allora si buttano fuori dall’amore che non sa piangere… dalla compiacenza in uso del corpo uomo-donna… e occorre dunque andare alla risorgenza dell’amore e cantare la canzone che ogni ogni tempo fu cantata, diceva… quando il vento pettinava i capelli dietro i salici piangenti delle fanciulle in fiore… e la rugiada colava lungo i corpi danzanti che si offrivano ai cavalieri che fecero l’impresa… ecco è lì che le fotografie della Grispello sono affidate al fiume dell’inconoscenza, s’abbandonano sul fiume della vita e scendono al mare della storia… il passato sembrano dire brucia ancora sotto le ceneri del dolore ma la possibilità di vivere strappa le spine dalle biografie e sono proprio in questi istanti scippati al purgatorio dell’aggressività che si coglie la parola d’amore che cela l’umano.


Per chiudere, come anche per aprire… la ricusazione del dolore è una genesi materica, libertina, libertaria, erotica, non una fantasticheria astuta… è la via per eccellenza che conduce in terre liberate… santi, briganti, eretici o i fratelli e sorelle del libero spirito sono stati bruciati, impalati, sgozzati o hanno ingoiato il piombo fuso… non hanno mai visto nulla di sconveniente nel libero amore, nel furto, nella prostituzione e perfino nelle estorsioni quando il diritto di avere diritti veniva calpestato… la sola parola che perseguivano con tenacia era: libertà! L’iconoclastia che praticavano poggiava sull’idea del tutto utopica, non per questo minore alle dottrine e ideologie dominanti… il sangue versato d’una persona giusta o degna di rispetto valeva quanto il sangue di cristo, di un re o di un papa… l’immoralità è nei regolamenti, nelle legislazioni e nelle morali… beato è chi si rende beato per se stesso e nei modi che vuole… non c’è paradiso né inferno, la ricerca della felicità è la sola vera religione.


Insomma… il corpo è l’atlante su cui s’imprimono le ideologie, le filosofie, le culture e le concezioni del mondo… si tratta di praticare la libertà del corpo come liberazione di tutti i postulati che lo imprigionano nel non vissuto quotidiano… tutto ciò che il corpo desidera è anche il sacramento per ottenerlo… fratello, sorella, ama chi vuoi amare, colpisci chi ti vuole colpire, non avere nessuna colpa da confessare… l’impudore dell’amore è la sola misura del vero, del buono e della riconciliazione con le periferie della Terra… la persona libera è il creatore dei propri meriti… non c’è altra strada più onorevole per conquistare la felicità, se non quella che da libero corso a tutte le passioni… lo diceva l’asino Platero (forse): poiché sono le immagini che ci legano al mondo, non ci si può staccare da tutto questo senza aver in precedenza infranto l’ignoranza, il servaggio e la falsità… la sacralità della sessualità sta nel vestito che si alza la dea dell’oscenità Baubo e offre il sesso allo sconcerto di uomini e donne… Baubo parlava con ciò che aveva tra le cosce… la vagina era la sua bocca… vedeva con i capezzoli irti (nella bocca di chi li succhiava)… Baubo è la cantadora della fertilità dissacrata… i lupi delle praterie sono i prediletti di questa dea sporcacciona… la morale ultima è non avere nessuna morale perché nel sacro, nell’osceno, nel sessuale c’è sempre una risata in attesa dell’istintivo, dell’appassionato, del femminile che irrompe nella sessualità della gioia.

“Ecco perché gli uomini scivolano contro le donne, e si strofinano con quello sguardo negli occhi che dice: ‘Ho un tale prurito’. Sai, quel cazzo universale prude sempre da quella prima volta che è corso via” 9. Il disonore dell’amore è la rassegnazione diventata obbligatoria, la dignità spezzata nell’ostia, la bellezza violata nella brutalità dei doveri… afferrare la felicità della sessualità liberata significa sconfiggere gli artifici della conoscenza, accompagnare le belle parole sempre tramontate con un sorriso o uno sputo… l’impudenza più ereticale è fare della propria vita un’opera d’arte.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 25 volte gennaio 2020

1 Paul H.D. d’Holbach , Piccolo trattato di ateismo, il Melangolo, 2014

2 Jean-Marie Déchanet, Va’ dove ti porta il cuore, Edizioni Cittadella, 1973 (da non confondere con il romanzetto di furbo mercantaggio di Susanna Tamaro che ne conserva il titolo).

3 Gaston Bachelard, La poetica della rêverie, Edizioni Dedalo, 1973

4 Jean Baudrillard, La seduzione, SE, 1997

5 Marguerite Duras, Testi segreti, Feltrinelli, 1987

6 Margherita Porete, Lo specchio delle anime semplici, San Paolo, 2010

7 Elizabeth Smart, Sulle fiumane della Grand Central Station mi sono seduta e ho pianto, SE, 2001

8 Michel Onfray, La cura dei piaceri. Costrezione erotica solare, Ponte alle grazie, 2009

9 Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Frassinelli, 1993

Manifesto per una fotografia dei diritti umani resistenza sociale, disobbedienza civile e poetica dell’immagine

Manifesto diritti umani