di Angelo Quattrocchi, Interno 4, pp. 160, € 10, 00
Il libro di Angelo Quattrocchi, per gli amici (quali siamo stati) Baby Face, E quel maggio fu rivoluzione (la ri- stampa di un testo al quale tornare sempre, per com- prendere i giorni del dissenso, quando i movimenti gio- vanili si opposero ai fucili e ai gas lacrimogeni e spacca- rono il mondo in due, oppressi e oppressori)… è il rac- conto del Maggio francese (e delle vampate di rivolta sociale che si portò dietro)… forte, sincero, condiviso che Quattrocchi ha redatto sul campo… non è solo una cronologia dei fatti — quando le giovani generazioni dettero l’assalto al potere, non per possederlo ma per meglio distruggerlo —… è la vera e propria storia di una rivoluzione della gioia che abbe luogo a Parigi nel Mag- gio 1968.
Il linguaggio di E quel maggio fu rivoluzione ha molto a che fare con i testi ereticali/sovversivi dell’Internazio- nale Situazionista… Quattrocchi correda lo scritto con manifesti, locandine, volantini che in quei giorni inon- darono non solo la Francia ma l’intera Europa… riporta le scritte murali ormai incancellabili nell’immaginario
della controcultura planetaria — “Siate realisti, chiedete l’impossibile!”, “Coloro che fanno la rivoluzione a metà si scavano la tomba da soli!”, “Io prendo i miei desideri per realtà perché credo nella realtà dei miei desideri!”… e la più bella di tutte (saccheggiata e détournata da un curato di Campagna, comunista e anar- chico del ‘700, Jean Meslier): “Quando l’ultimo dei capitalisti sarà impiccato con le budella dell’ultimo ri- formista, allora, e solo allora, l’umanità sarà liberata” —. Il libro restituisce lo spirito di un tempo dove so- gnare era anche vivere e un intero popolo non voleva più solo il pane ma anche le rose (e con tutti i mezzi necessari alzava il tiro contro i simulacri della società dello spettacolo e rendeva la vergogna ancora più ver- gognosa). Va detto: in quell’anno anche i vini e le marmellate vennero più buoni, e niente sarà più come prima.
La cronaca del vissuto quotidiano di Quattrocchi è prodiga di fatti, azioni, personaggi che fecero l’impre- sa… anche la caduta delle lotte del Maggio è descritta con passione e compassione per ciò che si andava a perdere… tuttavia al fondo delle parole, delle invettive, della costruzione delle situazioni… si raccoglie una vitalità traboccante, la critica radicale della domesticazione sociale, e al di là dei supposti miti ideologici (mai del tutto incanalati nei partiti), ciò che resta negli occhi del lettore attento è l’ascesi di una edificazione, di un’insurrezione o di una spaccatura contro la dossologia borghese e la partitocrazia dominante… gli incen- sieri dei sindacati, i palafrenieri della politica, i giannizzeri delle polizie, i saltimbanchi dei saperi e gli im- piumati delle chiese — abili nell’arte di apparire, della maschera e della finzione, almeno per una volta, cono
sceranno il battesimo del bello, del giusto e del bene comune… i loro tremori svelavano un’epoca che sarà stata tutto tranne che intelligente.
Le metafore scritturali di E quel maggio fu rivoluzione, riportano alla bella individualità amorosa che acce- deva alla libertà attraverso il ludico, il gioco, la festa… e ovunque si chiedeva l’ora di ricreazione prolungata che andava a infrangere il tempo dei pubblici orologi… i padri tornavano a parlare (o scontrarsi) con i figli e ciascuno faceva della propria vita un’opera d’arte… Quattrocchi sottolinea che l’onda lunga del dissenso chiedeva l’impossibile per ottenere non solo il possibile ma il pensabile e la felicità, il piacere e perfino il fallimento erano legati alla rivoluzione sociale di domani.
E quel maggio fu rivoluzione è una cartografia veridica di ciò che accadde in quella primavera di bellezza e anche lucciole brillavano nei pugni chiusi degli insorti del desiderio… la libertà prendeva forma e consisten- za nel momento del suo sorgere e ciascuno doveva scegliere, cancellare, distruggere o incidere nella germi- nazione di un evento storico irripetibile… Quattrocchi padroneggia uno stile da pamphlettista mirabile… frammenta, divide, esplode e scolpisce, frase dopo frase, il viatico di un comportamento collettivo che anda- va rivoluzionando lo statuto della società, liberandola dagli schemi e dalle costrizioni… dà forma a una mate- ria, a un’etica del rovesciamento di prospettiva di un mondo rovesciato, più ancora, dice che non c’è rivolu- zione senza un’idea che la sostenga e che la faccia debuttare sul sagrato della storia.
Il libro di Quattrocchi è come la partitura delle canzoni di gesta, dove la spontaneità, la differenza, la creati- vità prendono il posto mitologico della società dei consumi e lo sostituiscono con le lacrime, il sorriso e lo stupore di aver compreso che non ci possono essere rinascimenti senza rivoluzioni. La Comune degli stu- denti e degli operai del ’68 ha fatto una breccia (direbbe Edgar Morin) nei recinti degli amministratori di morali, di valori e di codici… il focolaio attivo della rivolta per la conquista della democrazia partecipata, di- retta o dei consigli — annota Quattrocchi — portava gente di ogni strato sociale sulle barricate e lì ciascuno diveniva il piccolo Gavroche de I miserabili di Victor Hugo (un ragazzo di strada che viene ucciso a fianco degli insorti).
E quel maggio fu rivoluzione è, appunto, il diario di un’intera generazione che aspirava ad assumere la storia reale al posto della menzogna legiferata, a distruggere tutte le gerarchie e castigare i cortigiani d’ogni ca- sta… “Tutto il potere all’immaginazione”, gridavano con le bandiere rosse e nere al vento… volevano dare all’intellighenzia politica e padronale la sorte che meritavano, affogarli nelle cloache da dove erano venuti. Certo, è stata una rivoluzione perduta… o forse solo rimandata… “Torneremo”, scrivevano sui monumenti delle università e sui mattoni delle fabbriche… se Marx voleva cambiare il mondo, i ragazzi del ’68 volevano cambiare la vita quotidiana (come Rimbaud), hanno perso, è vero, ma avevano ragione.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 19 volte giugno 2018