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Dell’utopia situazionista o l’immaginazione al rogo

Inserito da serrilux

Dell’utopia situazionista o l’immaginazione al rogo

a Gilles Ivain, che non abbiamo mai conosciuto, se non attraverso la bellezza del suo pensiero ereticale

DICHIARAZIONE D’AMORE SULLA SOVVERSIONE NON SOSPETTA DELL’INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA A PARTIRE DAL MAGGIO ’68 DELLA MISERIA NELL’AMBIENTE POLITICO, DOTTRINARIO, MERCANTILE CONSIDERATI NEI LORO ASPETTI PIÙ RETRIVI E VIOLENTI E DI ALCUNI MEZZI PER PORVI RIMEDIO E LA RIABILITAZIONE DEL CRIMINE CONTRO LA PROSTITUZIONE DI TUTTE LE ARTI

“Sono in un ambiente privilegiato per lo studio del gruppo e delle funzioni degli individui in gruppo. La Deri­va (sul filo delle azioni, con i suoi gesti, la sua passeggiata, i suoi incontri) è esattamente per la totalità ciò che la psicanalisi (quella buona) è per il linguaggio. Lasciatevi andare sul filo delle parole, dice l’analista. Egli ascolta, fino al momento in cui denuncia o modifica (si può dire détourne) un a parola, una espressione, una definizione. La Deriva è appunto una tecnica, quasi terapeutica. Ma come l’analisi senza altre cose è quasi sempre controindicata, allo stesso modo La Deriva continua è un pericolo nella misura in cui l’individuo si inoltra troppo in là (senza basai, ma…) senza protezione e rischia Di esplodere, di dissolversi, di dissociarsi e di disintegrarsi. Ed è così la ricaduta in ciò che si dice vita corrente, o meglio dire, «la vita pietrificata». Per­ciò io adesso denuncio la propaganda della Deriva continua del Formulario. Si, continua, come il gioco di poker a Las Vegas, ma continua per un dato periodo di tempo, limitato alla domenica per alcuni, ad una settimana per un buon numero di soggetti; un mese è molto. Abbiamo toccato nel 1953-54 tre o quattro mesi di Deriva; è il limite estremo, il punto critico. È un miracolo se non siamo morti. Possediamo una cattiva salute di ferro”.

(Da una lettera di Gilles Ivain, spedita all’Internazionale Situazionista nel 1964, dall’ospedale psichiatrico. Gilles Ivain è lo pseudonimo del francese Ivan Chtcheglov, membro dell’IS, internato in manicomio nel 1959. Nel primo numero della rivista “Internazionale Situazionista”, ha pubblicato il testo, “Formulario per una ur­banistica”).

I. LA COSTRUZIONE DELLE SITUAZIONI E LA DERIVA DELL’ERESIA1

1. Dalla rivolta dei cobra al “Joli Mai” ’68. L’Internazionale Situazioni-sta è stato un movimento anomalo, un vento culturale, politico, esistenziale… che sulle strade del mondo non ha seminato soltanto tempeste ma anche fra­ternità, solidarietà e amore… là dove regnava la stupidità, la mediocrità, la schiavitù… “Parla un po’, così che possa vederti” (Socrate), diceva… posso­no parlare della miseria soltanto coloro che hanno avuto fame. La cultura, nella sua interezza, è una sequela di cadaveri in croce. Tra i senza patria dei saperi, pochi si sono inventati le parole, il plagio e la disinvoltura o il calam­bour di tutti i linguaggi del comunicare… nessuno, o quasi, sfugge alla citta­dinanza della propria mediocrità o intelligenza insorta. Un cattivo maestro che abbiamo incontrato sulla nostra strada di cani perduti senza collare: “Più della metà di coloro che, nel corso degli anni, ho ben conosciuto aveva sog­giornato, una volta o varie, nelle prigioni di diversi paesi; molti, certo, per ragioni politiche, la maggior parte tuttavia per reati o crimini di diritto comu­ne. Ho quindi conosciuto soprattutto i ribelli e i poeti… solo alcuni crimini di un genere nuovo, di cui certamente non si era potuto udire nel passato, avrebbero potuto non essere indegni di me” (Guy Debord)2. Non si tratta di svaligiare banche e ri/distribuire il denaro rubato ai poveri… né di ammaz­zare qualcuno nel nome santo di una qualche rivoluzione… gente come noi che è stata allevata nella pubblica via non immagina altra rivolta che non sia la — prossima! –… perché ci saranno sempre poeti capaci di passare dalla pagina al colpo di pugnale al cuore dell’ultimo tiranno. “Sparate sempre prima di strisciare” (Benjamin Péret, sui tetti in fiamme della Rivoluzione socia­le di Spagna). L’abolizione dell’avidità passa sul cadavere dei despoti, sem­pre. Perché nessun uomo è un’isola.

2. Nella società dello spettacolo, la vita quotidiana è una tragedia che finisce in farsa. Il sistema dell’apparenza e del colpo in canna si è sostituito alla bellezza sapienziale dell’uomo autentico… che è l’aristocratico che sa bere il Martini con l’oliva senza il mignolo alzato e senza sporcarsi la cravat­ta o il maestro carbonaio che beve il vino rosso dal fiasco senza bagnare un’oncia di polvere da sparo utile per accendere il fuoco nella notte (girando in tondo…). Già nel ‘400 il vescovo Basilio di Cesare diceva: “Il ricco è un ladro o un erede di un ladro”. San Basilio considerava ricchi gli uomini che nella sua epoca vivevano nell’ozio e nell’arroganza… egli chiamava ladroni non chi assaliva e rubava… ma chi sfruttava e vessava l’altro. Pertanto non è possibile slegare la libertà personale dalla libertà sociale.

3. L’Internazionale Situazionista sorge il 28 luglio 1957 a Cosio d’Arro­scia (Imperia). I disertori dell’ordine mercantile che ne gettano le fondamenta (tra un’alzata di vino e invettive iconoclaste sull’arte, la politica e gli scribi delle sante scritture) sono Giuseppe Pinot-Gallizio, Piero Simondo, Elena Ver­rone, Michele Bernstein, Guy Debord, Asger Jorn, Walter Olmo, Rulph Rumney, si dice. L’I.S. è stata la fucina di alcuni gruppi d’avanguardia (Co­bra, Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista, l’Internaziona­le Lettrista, il Comitato Psicogeografico…) e i loro volantini, opuscoli, libri, film, espressioni artistiche, interventi sull’urbanistica… sono materiali che esprimono una filosofia della vita quotidiana “presa al volo”, dove la verità (politica, culturale, comunitaria) era rivoluzionaria perché nessuno l’adorava come verità unica. L’amore per il grande banditismo cementava le loro idee con le loro opere.

4. La – critica radicale — dei Situazionisti si sottraeva alla logica artistica e progettuale della cultura mercantile… le abrasioni buttate contro l’insieme del sapere mondano, la dissoluzione dei valori correnti, la decostruzione del prestabilito… divenivano i grimaldelli della libera creatività individuale e pon­ti da at/traversare per andare a raggiungere quelle spiagge dell’utopia co­perte dall’asfalto della post/modernità e dalle ghigliottine seducenti delle ideologie e dei simulacri. Il “Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sul­la condizione dell’organizzazione e dell’azione della tendenza situazionista internazionale” di Guy Debord (1957), getta le basi teoriche dell’azione si­tuazionista e i punti centrali sono il superamento dell’arte borghese, il sabo­taggio dell’industria culturale e la rivoluzione comunicazionale delle classi (non solo) proletarie legate ai partiti, ai sindacati, ai dogmi di famiglia, lavo­ro e stato. Sulla scia ereticale dell’Anarchismo di fine ‘800 o del Surrealismo degli anni ’30 o del Lettrismo degli anni ’50… i Situazionisti affrontavano la vita corrente mettendo insieme l’arte/espressione con la politica/esistenza. I modi di comportamento sociale erano anche interventi urbanistici, ecologici, poetici… la fotografia, il cinema, i fumetti, la pittura… tutto veniva détourna­to, violato, disgelato… per tornare a risplendere nei percorsi di altre realtà, scoprire nuovi territori — piste dei sogni – dove l’immaginazione andava a prendere il potere, non per possederlo ma per distruggerlo… metterlo al ro­go. Le democrazie dello spettacolo devono la loro prosperità al genocidio.

5. I Situazionisti hanno preso i loro sogni per la realtà… non avevano paura di disvelare il mondo nuovo a morsi, perché lo portavano dentro i loro cuori… nel Maggio rosso, il loro slogan migliore è stato — “Presto! —, quello più efficace — “Con le budella dell’ultimo prete impiccheremo l’ultimo padro­ne!” —. L’evoluzione delle “classi pericolose” verranno dopo… mai più le giovani generazioni saranno belle così! Quella sbornia di libertà è d’amore tra le genti ci accompagnerà per tutta la vita. Nessuna speranza, nessuna paura… aveva inciso sul suo coltello il Caravaggio. Sapeva che le stelle sono i diamanti dei poveri e soltanto i grandi poeti sono liberi.

6. L’attività artistica e politica dell’Internazionale Situazionista va oltre le intenzionalità del “gruppo” stesso. Le idee, i lavori, le utopie… dei Situazio­nisti sono sparsi ovunque qualcuno voglia esprimere una critica radicale del presente… la pratica artistica e progettuale dei Situazionisti nasce dal rifiuto del mercantilizio, della logica capitalistica o borghese della fruizione dell’ar­te, della comunicazione, della creatività… come mitologie di un mondo edul­corato e accordato ai valori dominanti. Vi sono mattini commoventi ma diffici­li, quelli che annunciano le barricate della prossima rivoluzione… li facciamo nostri come un’eterna sbronza… in un mondo unificato non ci si può che esi­liare o fare baldoria. “Sapete cosa c’è, adesso seppelliscono i cattolici nei cimiteri protestanti, quelli vivi, naturalmente” (da Il lungo giorno finisce, 1992, di Terence Davies). Per non dimenticare: nei padroni d’ogni risma, si celano anime di schiavi.

7. Nel “Rapporto sulle situazioni…” Debord assembla le tracce eversive dell’I.S. e dissemina ovunque il cianuro della libertà nel concetto espresso bene dal nostro irmão di strada, fra’ Marcelo Barros: “la libertà non si dà. Si conquista”. La Teologia d’ogni liberazione è tutta qui. Le invettive di Debord le ritroviamo nella critica della vita quotidiana di Henri Lefebvre, nella filoso­fia radicale di Jean-Paul Sartre, nella rivolta individuale di Albert Camus, nel­la scoperta del negativo della “scuola di Francoforte” (Theodor W. Adorno, Herbert Marcuse, Max Horkheimer)… più ancora è la lezione di vita che di­vampa negli scritti di D.A.F. De Sade, Charles Fourier, Joseph Proudhon, Walter Benjamin e nel pensiero libertario d’ogni tempo. La “rivolta situazioni-sta” non è mai stata una rivoluzione culturale, politica, economica soltanto… l’insorgenza situazionista è stata una fusione tra arte e politica… l’esplosione di un flusso esperienziale e di aggregazione di “nuovi soggetti sociali”… la loro politica era “sporcarsi le mani” con gli operai che si sollevavano contro i loro oppressori e insieme ai giovani, ai “quasi adatti”, al popolo insorto… andavano a sognare quell’utopia possibile (dell’amore dell’uomo per gli altri uomini) che era già (non solo allora) nelle teste di molti. Si trattava di non fare prigionieri, perché poi bisognava dare loro non solo il pane ma anche la libertà e le rose. La pietà non è rivoluzionaria, diceva. Rivendicare se stessi, significa combattere per il diritto di far rispettare i più elementari diritti del-l’uomo. Sotto ogni cielo.

8. A partire dalla devalorizzazione dell’arte, della politica, della fede… i Situazionisti disseminavano i loro veleni libertari contro il fascio dai saperi stabiliti. La decostruzione di ogni forma di comunicazione audiovisuale era l’inizio di “qualcosa” che stava morendo e di “altro” che nasceva dalle sue ceneri o dai suoi morti al limitare del bosco. La “pittura industriale” di Pinot-Gallizio, la “guida psicogeografica di Parigi” o il “cinema détournato” di Debord, i quadri “fuori gioco” di Jorn, la “pratica del rovesciamento di pro­spettiva di un mondo rovesciato” di Vaneigem, l’ “urbanismo unitario” di Co­stant… anticiparono il grande scoppio e/o la grande festa del ’68 e segna­rono anche il passaggio dalle armi della critica alla critica delle armi con la dialettica musicale del sampietrino. Gianfranco Sanguinetti (con lo pseudoni­mo di Censor) scriveva “Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia” e più tardi “Del terrorismo e dello stato. La teoria e la pratica del terrorismo per la prima volta divulgate”. La concezione poliziesca della storia era rappresentata come la forma più estrema di alienazione poli­tica e ogni forma di terrorismo non era che il proseguimento della politica con altri mezzi. Di contro, Pinot-Gallizio vendeva la sua pittura a metri… De­bord invitava a vivere dentro una gioia prolungata e nei percorsi di un quoti­diano ludico (la dérive) che smascherava la società dello spettacolo… Jorn modificava l’insignificante, il pseudoartistico, il kitsch della società di massa attraverso il grottesco… Vaneigem disgelava le “banalità di base” dell’ordi­nario sul piano inclinato della rivoluzione dell’intelligenza e nel détournement di tutti i linguaggi… Costant propose un’“urbanistica sociale” che prevedeva altri modi abitare, di lavorare, di comunicare dell’insieme sociale… al fondo della loro arte di sovversione non sospetta della società tutta, mostravano che ogni uomo che abbia il senso profondo dei piaceri e che viva secondo i suoi desideri, non può che lavorare (come una talpa rossa e nera) alla rovina di una simile epoca. Le rovine non ci fanno pura, perché noi erediteremo la terra, diceva (Buenaventura Durruti). Si tira un aforisma come si spara in bocca a un dittatore (sempre troppo tardi). La violenza non c’entra, c’entra la resa dei conti. È la libertà a riscattare la storia. Il ribelle senza la grazia è come Voltaire senza la penna d’oca o il boia di Londra senza la sugna per ungere il collo degli impiccati… il fascino del potere è un vizio, la rivolta del-l’intelligenza è una passione senza freni che libera l’esistenza degli oppressi nell’utopia del quotidiano.

9. Il grande botto del ’68 esplose ai quattro venti della terra e fece tre­mare alle fondamenta l’impero… la decadenza generale, che era al servizio di vecchie e nuove servitù era smascherata… siccome siamo fatti della stoffa o del piombo di cui sono fatti i nostri sogni… le cadute del Palazzo erano au­spicate e le “strategie del ragno” lavoravano in clandestinità nei sotterranei dei parlamenti… per accedere alla fine del tempo degli equivoci… si diceva… le giovani generazioni resero la vergogna più vergognosa e la denunciarono pubblicamente… la critica dell’ideologia divenne la premessa di ogni critica e come ogni volta che i popoli si sono assunti il rischio di cambiare lo stato del­le cose, la memoria globale della storia è cambiata. Da qualche parte la ric­chezza critica, radicale, libertaria dell’Internazionale Situazionista ha attec­chito, ma non è ancora una foresta di torce quella che brucia il disordine domestico della creatività, senza amarlo mai.

10. La società dello spettacolo si fonda sulla menzogna… già nel ‘700 l’abate Augustin Barruel, studiava le congiure degli illuminati di Baviera e nel­le loro carte segrete scopriva fini e trame: “Noi dobbiamo aprire tutte le sor­genti delle cognizioni, sollevare i talenti oppressi, innalzare gli uomini dei ge­nio dalla polvere, in cui giacciono, impadronirci dell’educazione della gio­ventù, formare una lega indissolubile fra le migliori teste… Favorire le rivolu­zioni, rovesciare tutto, scacciare la forza con la forza e la tirannia con la ti­rannia”… i miscredenti, gli atei, i ribelli a tutto… hanno la nostra simpatia, perché sono loro che nella storia hanno messo a nudo le menzogne e i casti­ghi di coloro che si approfittavano della gente comune e dei pavidi… sono loro che hanno denunciato l’ineguaglianza sociale e chiesto di essere o tutti poveri o tutti ricchi… sono loro che ci hanno invitato a legge la vita con i no­stri occhi e pensare con la propria testa… la proprietà privata delle idee è sempre stata un furto e la schiavitù dell’uomo la sua legittimazione. Si tratta di dare a Cesare quello che è di Cesare… ventitrè pugnalate e un secchio di sangue. I Situazionisti hanno rubato, détournato, rovesciato i disegni degli specialisti dello spettacolo integrato, minato alla radice la democrazia spet­tacolare e decretato che ovunque regni lo spettacolo, sono erette anche le sue forche. La critica sociale della civiltà dell’apparenza è ora al vaglio di nuove cospirazioni e l’assassinio dei suoi miti non è più irrefutabile… i con­giurati sono sempre più numerosi e una nuova generazione di uomini plane­tari si affaccia ai bordi dell’esistenza per mettere fine all’idiozia culturale e fare dell’imbecillità istituzionale un cumulo di rovine. Un mondo che non pre­vede nessuna E-utopia (il buon-posto), non vale niente.

Gran Ducato di Utopia, dal vicolo dei gatti in amore, settantasette volte sette dell’anno che non c’è.

1Questo testo è tratto da una conferenza sull’Internazionale Situazionista che abbiamo tenuto (in una ex-caserma di pompieri) per l’università di Mannheim (Germania) nel 1994.
2Guy Debord, Panegirico, Tomo primo, Castelvecchi.

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