Ciò che non mi uccide mi fortifica”.
Friedrich W. Nietzsche
Avendo scelto l’incuriosità dell’imbecille e la supponenza infausta dell’angelo, il cinema italiano continua a riprodurre facezie spettacolari o cosette che passano per film d’impegno civile… a vedere bene Ammore e malavita dei Manetti Bros, A ciambria di Jonas Carpignano, La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi, come il fascio delle commediucce d’annata… tutto si risolve nello spazio di una risata o in una lacrima falsa e ogni film rimanda a quella scabbia del consenso della quale nessuno sembra non poter fare a meno… per rinfrescare il linguaggio cinematografico bisognerebbe che i registi cessassero di filmare e lasciare il passo o lo schermo ad autori che non si degradano nelle ripetizioni o nelle stupidità che attentano alla realtà dell’esistenza… il cinema muore quando tollera verità che sono servitù e più nessuno vuole ascoltare i sussulti della coscienza contro le convenienze della merce! Un’agonia senza genio né talento è frutto di un’arte che muore di nullità… continuo a stimare più un disoccupato che s’impicca, di un (presunto) poeta vivo!
Qualche volte accade che piccoli film suscitano un qualche interesse culturale e sociale… e il pubblico accorre ordinato al richiamo della critica italiana (la più vigliacca del mondo)… e così è stato per Chiamami col tuo nome (Call Me by Your Name) di Luca Guadagnino… conosciuto per qualche filmuccio come Melissa P. (2005), Io sono l’amore (2009) o A Bigger Splash (2015), in Chiamami col tuo nome Guadagnino s’accosta al cinema di letteratura con leggerezza, fin troppa, e licenzia un’operina gradevole, pulita quanto basta, per non incappare nelle maglie del disdoro omosessuale… insomma fabbrica un film che piace alle famiglie e anche ai preti (perfino agli abatini senza coglioni del PD)… tutti d’accordo che l’amore, quale che sia, se è vissuto con grazia può essere compreso, qualche volta aiutato a nascere (basta che abbia ricevuto le stigmate della morale istituzionalizzata).
La genesi di Chiamami col tuo nome è complessa… nasce dal romanzo omonimo di André Aciman (ebreo-sefardita di origini turche, cresciuto ad Alessandria d’Egitto, esiliato a Roma, ha studiato a New York, dove vive, a Manhattan)… James Ivory, elegante regista di film calligrafi come Camera con vista ( 1985), Maurice (1987) o Quel che resta del giorno (1993), spesso premiati da critica e pubblico… scrive la sceneggiatura di Chiamami col tuo nome (Oscar 2018 per la migliore sceneggiatura non originale) e in un primo tempo doveva dirigere il film… (sarà tra i produttori con Peter Spears, Howard Rosenman, Guadagnino e altri)… Guadagnino rivede la sceneggiatura e rimuove diverse sequenze di nudi maschili… per smussare i conflitti Ivory lascia la regia a Guadagnino… il quale voleva fare un film “per famiglie” e non per gay… il regista considera il suo lavoro un omaggio ai padri che lo hanno ispirato (Jean Renoir, Jacques Rivette, Éric Rohmer, Bernardo Bertolucci e per non farsi mancare nulla anche a Maurice Pialat)… un po’ troppo per un film abbastanza ruffiano e disseminato di piacevolezze sentimentali… un po’ poco per l’esteriorità della vicenda trattata alla stregua di un fotoromanzo.
Aciman aveva ambientato la storia in Liguria, Guadagnino la sposta nella campagna di Crema. Tutto si svolge nelle vacanze estive di una famiglia ebrea… in una bella villa… ogni anno il padre (un archeologo) del diciassettenne Elio, è solito ospitare uno studente straniero che lavora alla tesi di dottorato. In quell’estate del 1983 è la volta del ventiquattrenne ebreo americano Oliver… bello, intelligente, esuberante… porta riflessioni e turbamenti nel ragazzo che ama i libri, la musica e fare l’amore con una ragazza spigliata… l’iniziazione all’amore omosessuale di Elio si sviluppa fra baci castigati e abbracci sofferti… c’è perfino una scena dove Elio si masturba con una pesca (?) e qui si sfiora il ridicolo… c’è inoltre la comprensione del padre e della madre di Elio per l’inclinazione (la fascinazione) del figlio verso Oliver (e viceversa), non manca nemmeno la confessione finale del padre che dice al figlio di non aver avuto la sua fortuna in amore… tutto insomma è sistemato con particolare levigatezza discorsiva perché il film possa essere proiettato anche nei cinema parrocchiali o nelle case del popolo (e venduto bene anche per i programmi in prima serata delle televisioni). Guadagnino ha avuto ragione… Chiamami col tuo nome è piaciuto a tutti… perfino a Pedro Almodóvar, Paul Thomas Anderson e questo ci dispiace, a Xavier Dolan, uno dei migliori registi del nostro tempo… ha incassato molto e certo farà vendere molti dvd… peccato che tutto il film non è che un prontuario di superficialità imbarazzante… realizzato finemente per la realtà (richiesta) del mercato.
Il soggetto di Chiamami col tuo nome è di Guadagnino e Walter Fasano, tratto, come si è detto, dal romanzo di Aciman e dal quale Ivory ha scritto la sceneggiatura, ampiamente amputata dal regista… Guadagnino infatti si sofferma sulla famiglia del ragazzo… indulgente, comprensiva, aperta… una sorta di intelligenza dispensata alla gioventù cremonese che ride, canta, balla e quando è possibile fa l’amore con gaiezza. Timothée Chalamet interpreta Elio con naturalezza, senza tuttavia avere lo spessore e l’emozione passionale di un debutto o di una scoperta… l’amore con Oliver è cartolinesco e a un certo grado di banalità tutto ciò che passa sullo schermo diventa osceno. Armie Hammer figura un Oliver da campo da tennis… atletico, pulito, silenzioso… abbraccia il ragazzo senza voluttà, etereo come la pubblicità dei popcorn… quasi in odore di santità… naturalmente, prima di sposarsi telefonerà a Elio e gli dirà che è stata un’estate indimenticabile.
Puttanaccia la miseria… canaccio d’un dio… madonnaccia inzuppata nel catrame… che cazzo ci fanno questi due in un film sull’omosessualità giovanile?… fanno il bagno in un lavatoio, vanno in bicicletta, leggono, ascoltano musica… e l’amore? la passione? la profanazione del conforme? niente! tutto è relegato all’ingenuità di Elio e alle riflessioni da convento di Oliver… i genitori del ragazzo sembrano usciti da una sinagoga incantata dove il giusto (vivere l’omosessualità sotto ogni ignudamento) è dispiegato in supplementi d’esistenza e la seduzione (generata dal desiderio di amare ed essere amati, non importa da chi e come) è una sorta d’aureola culturale borghese lasciata ai bordi di un paradiso fittizio. Davanti a un atto d’amore autentico, anche gli angeli sarebbero assolti, perché vivrebbero i loro amori al massimo dell’indecenza.
Il cameo della coppia gay (lo scrittore André Aciman e il produttore Peter Spears) che partecipa a una cena, suscita una gradevole visione… significa l’apertura, tutta intellettuale, dei genitori di Elio per la diversità… gli invitati sono quasi una caricatura, ricchi, intellettuali, importanti, certo, tuttavia nella loro brevità figurale rientrano nella casistica-gay di Il vizietto (1978), un film di Édouard Molinaro, che vede gli omosessuali come “checche” e non come persone speciali… vi è una teologia patinata che induce ad accettare nel mondo qualsiasi cosa, ma che non è abbastanza autentica da accettare il mondo che rifiuta la volgarità permessa… l’educazione all’ipocrisia poggia su duemila anni di sermoni e di codici che hanno edulcorato l’innocenza del divenire o il sovvertimento del buon costume… famiglia, patria, contratto sociale sono il forcipe della libertà, della dignità e dell’identità… la diversità è il flusso di un’ebollizione e la sua sovranità (in ogni campo del sapere) è il bene più prezioso, l’alienazione il vizio più celebrato. Bastano gli gnostici licenziosi, i fratelli e sorelle del libero spirito a dispensare e vivere i principi del dissidio… ed è qui che franano i valori e le regole della coscienza ordinaria.
Chiamami col tuo nome è lungo132 minuti… un’eternità di luoghi comuni e pratiche di eleganza che aspirano all’ottimismo prolungato… anime belle appiccicate all’educazione estetica dei “giusti”… una famiglia di virtuosi che rendono buono ciò che scivola verso verso il mediocre, invece d’incendiare di verità sofferte o il meraviglioso nel canto di un incontro d’amore… nemmeno Giovanni della Croce è stato tanto mellifluo in fatto di cose amorose: « Per cui l’anima non può essere posseduta dall’unione divina, finché non si sia dispogliata dell’amore delle cose create ». Insomma, è attraverso il superamento degli argini che si accede al centro dell’esistenza e il fuoco del vero avanza sempre sotto la pelle del reale. L’amore si rivela e prende forma nel momento del suo sorgere e il piacere è tutto quanto serve sapere per vivere l’unicità della bellezza ingovernata.
La macchina da presa di Guadagnino indugia sui corpi, paesaggi, frammenti di vita provinciale… mescola lunghe inquadrature a sguardi estenuanti, cerca uno stile ma non trova che la maniera o il lessico di una modalità di buona condotta che molto piace al box-office… gli atteggiamenti diventano forme, ma non c’è materia senza un’idea che la restituisce alla vita o al sogno. Della sceneggiatura di Ivory non sappiamo quanto è rimasto… s’intuisce però una certa strutturazione per blocchi, una costruzione di situazioni (care a Ivory) che giocano comunque un ruolo creativo d’insieme… momenti ludici che la teatralità del montaggio (Walter Fasano) rimanda a emozioni che non riescono a brillare… non c’è dissipazione o dismisuradionisiaca e solo nel dispendio l’artista si fa uomo o viceversa.
La fotografia del thailandese Sayombhu Mukdeeprom non ricorda per nulla quella (straordinaria) che ha elaborato nel film di Apichatpong “Joe” Weerasethakul, Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (Palma d’Oro a Cannes 2010)… in Chiamami col tuo nome Mukdeeprom lavora sulla dolcificazione visuale e quello che fuoriesce dalla schermo implica una familiarità compiaciuta o intonata col mercato… e questo vale anche per la musica di Sufjan Stevens (di origine persiana), in modo particolare per la canzone Mystery of Love (candidata al premio Oscar)… il sentimentalismo gronda ovunque e non ci può essere principio di realtà da nessuna parte se non c’è il principio del piacere che non riconosce gli assunti legiferati dell’ordine sociale.
Chiamami col tuo nome riesce comunque a raggiungere con efficacia il suo scopo… quello di una temporanea magnificenza che s’accorda al successo che ne consegue… l’ebbrezza di un’iniziazione d’amore (non importa quale sesso abbia) o figura il diavolo in corpo o cade nella magnanimità della tolleranza (non voglio essere tollerato ma compreso, Pier Paolo Pasolini, diceva)… l’amore è turbolenza, preminenza dell’istante… vampata incontrollata della sessualità liberata… non importa chi ami o quale sesso abbia… ciò che vale è l’epifania dello stupore che condanna tutto ciò che lo subordina al sagrato dell’indifferenza o della segregazione. Un amore che si contiene resta nell’obbedienza ed è inaccettabile perché non raggiunge il pieno godimento di sé… ogni amore traboccante di autenticità e di bellezza non conosce né colpa né assoluzione… infrange il presente e s’affaccia all’avvenire di una società davvero più giusta, davvero più umana.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 16 volte giugno 2018