“Fare il cinema è una cosa facile, basta saper mettere la macchina al posto giusto…”.
Roberto Rossellini
Il cinema come baraccone d’illusioni e speranze tradite…. è una specie di delirio di grandezza, una sorta di megalomania da festival, un prodotto consumato da platee dell’immaginario digitalizzato allevate nelle serie televisive, talk show, masterchef o format d’eguale imbecillità… insieme agli strumenti di comunicazione di massa (fotografia, carta stampata, telefonia, internet…) è al fondo dell’organizzazione della civiltà spettacolare… banche, partiti, governi, chiese, mafie… costituiscono il ballo in maschera di tutto ciò che esiste come corpo sociale… dagli scranni del consenso elettorale i “rappresentanti del popolo” comunicano ordini, fanno affari criminali, centralizzano il potere e alla politica-spettacolo>fanno seguire la giustizia-spettacolo… le future generazioni sono sottomesse alle leggi saprofite dei mercati globali e il vissuto quotidiano e la quasi totalità dei comportamenti è integrata nella ragione mercantile come falsificazione del mondo. “Un finanziere canta, un avvocato diventa informatore della polizia, un fornaio espone le sue preferenze letterarie, un attore governa, un cuoco disserta sui tempi di cottura come momenti essenziali della storia universale” (Guy Debord)… il made in italy ella moda veste tutti e firma perfino le ciabatte dei migranti affogati nel Mediterraneo… è ormai possibile fare un film o preparare un atto terroristico su larga scala e diventare in qualche modo famosi… almeno quanto basta per avere un servizio speciale nei telegiornali… insomma tutto quanto lo spettacolo permette è anche tutto ciò impedisce: lo spettacolo organizza magistralmente l’ignoranza di ciò che succede e, al contempo, lavora alla costruzione del dominio spettacolare che la nega.
Il film di Stefano Sollima, Soldado, è un esempio della messa al bando della storia del cinema d’impegno civile, sostituita con l’idiozia architettata dai funzionari mediali… si presume semplicemente che gli spettatori ignorino tutto di ciò che appare sullo schermo o non meritino nulla, nemmeno un’oncia di verità… sappiamo bene che la storia del terrorismo, della droga, del colonialismo, delle migrazioni, delle crisi bancarie, delle mafie, delle guerre è scritta dagli Stati… e la modernizzazione della repressione passa dai servizi segreti e professionisti del genocidio… i politici stanno al gioco e fanno intrallazzi con tutti… gli artisti, come sempre, sono al servizio dei potenti e s’inginocchiano sul sagrato dell’entusiasmo o del mercimonio più becero… l’uso intensivo dello spettacolo avvolge l’intera esistenza dell’umanità e anche la logica dialettica dei conflitti… il capitalismo parassitario impera e le banalità ripetute all’infinito nei mass-media diventano realtà… nel frattempo, i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri più impoveriti. Quando la democrazia non si usa, marcisce.
Di Soldado. Traffico di droga e di esseri umani s’intrecciano sul confine tra Messico e Stati Uniti… ci sono anche terroristi islamici (nati negli Stati Uniti) che minacciano da vicino il “grande paese”… un attentato-suicida in un supermercato a Kansas City provoca la reazione del governo americano… l’agente della Cia, Matt Graver (Josh Brolin), viene introdotto illegalmente in Messico per suscitare una guerra tra i “cartelli della droga”… nella squadra speciale c’è anche Alejandro Gillick (Benicio del Toro), un specie di sicario che ha sete di vendetta (gli hanno sterminato la famiglia)… Graver, Gillick e la squadra di soldati che sanno uccidere come sputare, rapiscono la figlia di un “capo mafioso”, Isabel Reyes (Isabela Moner)… sparatorie, polizie corrotte, assassini eloquenti e molto altro ancora si mescolano in questo action movie (dicono quelli che parlano bene)… il sangue scorre e la seriosità imperturbabile degli interpreti sdogana il film in convenzioni e cliché abituali al cinema di genere… campi medi, riprese fatte con i droni, lunghe sequenze nel deserto, mitragliatrici, veicoli corazzati, convogli militari, toni d’apocalisse e diverse cadute sentimentali (specie nel rapporto tra Alejandro e la ragazzina)… dipingono Soldado in scenari accattivanti e questo western moderno, enfatizzato quanto basta, sembra solleticare non poco critica e pubblico… ciò che resta sullo schermo è tuttavia un’operazione commerciale che lusinga il potere costituito e là dove condanna, nello stesso tempo protegge o assolve.
Il film è brutto e molto… non succede nulla o quasi… dopo alcune riprese in Africa, Colombia, Messico, Stati Uniti (Texas)… tutto si svolge in un hangar militare o nel deserto… c’è il giovane ragazzo che vuole diventare un sicario, la ragazzina che rimane simpatica a tutti, perfino agli squali della Cia… i messicani cattivi che sfruttano la fiumana dei migranti e li trasportano come bestiame oltre il confine americano… i politici e i generali che decidono le sorti dei popoli con armamenti ad alta tecnologia… uno spettacolo avvincente insomma… due ore di cazzate, nemmeno ben articolate, che fanno rimpiangere di avere comprato il biglietto. Soldado è il sequel di Sicario (2015) di Denis Villeneuve, altro film largamente sopravvalutato… ancora interpretato da Benicio del Toro, Josh Brolin e Jeffrey T. Donovan… anche lo sceneggiatore è il medesimo, Taylor Sheridan, autore di un buon lavoro sui nativi americani nello Wyoming, I segreti di Wind River(2017)… qui Sheridan è a corto di idee e rimpasta la cronaca con le esigenze spettacolari della saga televisiva… c’è perfino Benicio del Toro che dopo aver preso una pistolettata in faccia risorge e va a dare una lezione da killer al ragazzo gli ha sparato. Mi convinco sempre più che la fabbrica delle illusioni (Hollywood) abbia ucciso il cinema.
La regia di Sollima è anonima, specie quando sullo schermo ci sono Brolin e del Toro… i dialoghi sono infarciti di luoghi comuni e tutti parlano come se fossero usciti dal gabinetto di un dentista… il testone di Brolin poi pendola tra l’indifferenza e la consunzione del personaggio… del Toro fa il duro-buono… ma gli riesce male… sembra quasi addormentato, anche quando spara sulla polizia messicana corrotta. La piccola Isabela Moner è la sola che desta una qualche curiosità… il pericolo per tutti non è il terrorismo, bensì il vuoto di conoscenza… la mistica del potere non vuole bravacci che pensano ma sgherri che obbediscono… se mancano però di cervello, non sono esenti di furore! L’efficenza dei “corpi speciali” non si discute… a che pro frequentare la democrazia, quando basta un fucile mitragliatore a far intravedere di che pasta è fatta la politica. Le ideologie, i partiti, la finanza richiedono servitù mercantili e il cinema è il servo perfetto per la domesticazione sociale.
La fotografia di Dariusz Wolski (quello di Pirati dei Caraibi …) è un casellario di cupe visioni, cartoline postali che esortano a scegliere tra la contemplazione del falso e la propaganda televisiva… insomma un avvelenamento degli sguardi spostati in una dosata violenza che fa rimpiangere, non poco, le pistole fumanti di Humphrey Bogart di La foresta pietrificata (1936) o Una pallottola per Roy (1941). Almeno qui si ricordava che ogni forma di violenza è sempre il prodotto di un sistema che ha fallito. Il montaggio di Matthew Newman è funzionale all’architettura del film… si preoccupa d’impressionare il pubblico e sottolinea con facile premonizione i momenti di violenza con quelli più distesi… ad esempio le sequenze di Gillick e Isabel nella casa del sordomuto che li ospita?! (ricorda un po’ il film di Clint Eastwood, Un mondo perfetto, ma lì c’era Kevin Costner, interprete di un’altra statura e Eastwood è regista di notevoli pregi liberal, quanto il contrario). La musica della violoncellista islandese, Hildur Guðnadóttir, è forse la cosa migliore di Soldado … non c’entra niente col film ma si fa ascoltare, e non occorre essere colti per capire la musica e la vita… solo le cose essenziali sono più vicine alla realtà.
Quando non si ha niente da dire si mostra ciò che vuole il mercato… la verità è altrove… il cinema degli “effetti speciali”, delle serie televisive, dei “tappeti rossi”… è molto peggio di quanto si creda… produttori, registi, attori, critici e tutto il caravanserraglio che ne consegue… sono dei criminali in potenza, è più che certo, e lo sanno bene… figurano categorie morali spesso grottesche e nel fanatismo dell’entusiasmo allevano sentimenti d’odio o d’indifferenza… anche il “lieto fine” è una filosofia del fatalismo, è un delitto di ottimismo e suggerisce le farmacopee dell’estasi. “La civiltà che produce simili film è prossima alla fine” (E.M. Cioran). La vita non si trova al cinema o nei libri, ma nella strada, che è sempre al di là della storia. Il cinema mercantile è un dispositivo di coercizione dell’immaginale, una mascalzonata, nemmeno ben fatta, contrabbandata come forma di saggezza… si va al cinema non per vivere ma per meglio morire d’inedia. Ciò che è veramente straordinario nel cinema, è che basta un’inquadratura per comprendere le fascinazioni e furberie di specialisti della demenza accettata… il cinema è morto! e chi se ne frega! meglio uscire nella strada e giocare a calci con un barattolo e prendere per la coda la luna! Il falso, l’arbitrario, il fatale trionfano ovunque nel mondo, e sono l’anticamera (politica, dottrinaria, economica) di una catastrofe esemplare.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 30 volte ottobre, 2018