Mimesis, 2014, pp. 90, 4, 90 euro
L’intellettuale senza patria di Emil Cioran, è un’intervista rilasciata Jason Weiss, a Parigi, nel 1983. Si apre con un’acuta presentazione di Antonio Di Gennaro. In queste poche pagine c’è tutta la tentazione di esistere e il culmine della disperazione disseminati nella filosofia del “barbaro dei Carpazi”… Cioran ci ricorda l’infanzia, gioiosa, anche, la consapevolezza meditata che “tutto è nulla”, più ancora, la riflessione sofferta sulla propria esistenza attraversata dalla noia, dalla depressione o essere giù di corda (cafard), e dalla fascinazione del suicidio come atto estremo di liberazione di una vita inconcepibile o faticosa da affrontare.
Le invettive contro il cristianesimo, l’esistenzialismo, l’università… sono salaci… i suoi maestri sono Baudelaire, Rimbaud, Pascal, Mallarmé, Dostoevskij… sconfessa Nietzsche (al quale molto somiglia) e sostiene che tutto quello che sa l’ha imparato mentre girava l’intera Francia in bicicletta e dalle prostitute che amava frequentare nelle notti inquete. È più importante frequentare un tassista, un illetterato che uno scrittore, sottolinea con giusta ironia. A ragione dice che “un libro andrebbe scritto senza pensare agli altri. Non si dovrebbe scrivere per nessuno, solo per se stessi. E non si dovrebbe mai scrivere un libro solo per scrivere un libro”. Diventare famosi è una cosa estremamente negativa. A volte la tristezza di essere capiti può portare a ricevere il premio Nobel, come è successo al suo amico Samuel Bekett.
Cioran parla delle sue malattie, dei suoi vizi, della sua insonnia… dice che per uno scrittore l’università è la morte. Sostiene che non bisognerebbe uccidersi, ma che bisognerebbe fare uso di quest’idea per sopportare la vita. Racconta delle sue letture (Emily Dickinson, Shelley, Keats, Blake, Swift, Shakespeare, Chamfort, La Rochefoucauld…) e della sua esistenza passata in povertà, ma da uomo libero… e un uomo che si rispetti ricorda, non ha patria.
Quando Weiss gli chiede se c’è un regime politico che preferisce, la risposta di Cioran (che suona un po’ falsa o di maniera) è: “Credo che il regime ideale sia un regime di sinistra senza dogmi rigidi, una sinistra libera dal fanatismo”. Una strana visione questa per il filosofo dei sillogismi dell’amarezza… l’infatuazione giovanile per Hitler sembra scomparsa… e quando sostiene che la “libertà dev’essere controllata”, sbaglia… perché la libertà non si concede ci si prende.
Il volumetto tuttavia contiene tutto il disinganno cinico di Cioran, e tra fallimenti spirituali, la perdita del silenzio e l’inconveniente di essere nati… si appoggia all’idea/paradosso che “se vogliamo conoscere la felicità nella vita, non dobbiamo fare nulla, non dobbiamo realizzare nulla, vivere e nient’altro”. Il torto di ogni filosofia, come di ogni politica, è di essere sopportabile, si legge nelle pieghe del discorso. Il linguaggio aforistico di Cioran rimanda a verità tormentate, sentenze definitive e salva solo coloro che agiscono con passione, dove follia e intelligenza si mescolano alla tragicità di una civiltà in decomposizione (che supplica un’avvenire di miseria), e oppone, da par suo, l’utopia della storia come rimedio contro l’irreparabile. S’impara ad essere felici, ma gentilmente.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 28 volte febbraio, 2014