di Roberta De Monticelli, Raffaello Cortina Editore, 2011. Pp- 156, Euro 13,50
La questione civile di Roberta De Monticelli, è un libro coraggioso, ironico, salace… tratta di comportamenti, moralità, interpretazioni della cosa pubblica a dire poco “incivili”, perpetuati dall’intera casta della politica contro le necessità quotidiane del bene comune. La De Monticelli maneggia con cura (e grazia) Kant, Weil, don Milani, Bobbio, Hillman, Camus, Mancuso, Leopardi, Platone, Cicerone, Canetti, Arendt… assembla riflessioni, citazioni, invettive profonde nei riguardi di chi amministra il potere in Italia e attraverso privilegi personali calpesta i diritti più elementari dei cittadini. “Ci sono momenti — sostiene a ragione la De Monticelli — in cui l’azione, la resistenza o addirittura la rivolta vengono vissute come esigenza morale: tipicamente è quello che avviene oggi nei casi di disobbedienza civile”. Tutto vero. Disagio sociale e sofferenza morale non possono essere arginati per sempre… morale, diritto e anche le religioni si rinnovano a partire dal risveglio della coscienza personale e collettiva, come fondamento essenziale dell’esistenza sociale condivisa.
Il libro della De Monticelli gratta la coscienza dei contemporanei ripercorrendo le riflessioni di “maestri di civiltà” e fa piazza pulita di tutte le ipocrisie intellettuali/politiche che riproducono il sonno della ragione… i richiami a una società libera e giusta sono copiosi e dice alle giovani generazioni (i “sovrani di domani”) che i servi contenti sono sempre a servizio di padroni banali. Le anime morte della politica, sostiene in più parti, sono la rappresentanza di loro stessi e non dei bisogni del popolo (che li ha votati), profittatori che hanno prodotto un sistema di relazioni di scambio fra poteri pubblici e interessi privati.
Lo sdegno contenuto nel libro della De Monticelli è di quelli profondi e investe la cultura dell’osceno e l’indifferenza generale che sono al fondo non solo della politica ma anche nella stratificazione sociale di un’intera nazione. Ripercorrendo le analisi sulla bellezza dei Greci, di Camus, di Hillman, specialmente… la De Monticelli scrive che “i governi passano, le devastazioni restano”. Le amministrazioni criminose di ogni sponda politica sono responsabili di scempi ecologici inammissibili e la pianificazione urbanistica si è trascolorata in speculazione edilizia selvaggia. La dissipazione della bellezza nasce in parlamento e finisce in ogni anfratto della cosa pubblica.
Il brutto e l’osceno che la De Monticelli disvela, sono parte di una sottocultura consortile del mercato e tra l’indifferenza di molti passa dalle bestialità del familismo televisivo alla rapina organizzata del bestiario istituzionale… “La nostra epoca [scrive Albert Camus, citato dall’autrice] ha nutrito la propria disperazione nella bruttezza e nelle convulsioni… Noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci per difenderla hanno preso le armi”. Altra statura civile, si vede.
La questione civile è uno testo asciutto, lucido, irriverente quanto basta a dissipare tutte le truccherie sul “buon governo”… si avventa contro la criminosa svendita di legalità in cambio di consenso e mostra che il Paese degli abusi e dei soprusi ha perso ogni forma di decoro… una nazione dove la giustizia è assente, trasforma i cittadini in spettatori o complici in qualcosa che moto assomiglia alla barbarie. Una società per essere giusta deve essere anche bella, scrive la De Monticelli, ed eguaglianza, reciprocità, equità… sono gli “arnesi” con i quali scardinare la fenomenologia del brutto e dell’ingiusto… la bellezza è la forma visibile della giustizia e una società brutta non può essere giusta… l’elogio della bellezza e della giustizia della De Monticelli è illuminante… occorre restituire ai cittadini il “dovuto” — dice con la leggerezza di una filosofia del vero, sovente trascurata nei luoghi accademici — e dare a ciascuno ciò che gli è “dovuto” significa restituire bellezza e giustizia all’intero tessuto sociale.
Il libro della De Monticelli sottolinea che l’interesse del più forte diventa legge e non c’è poi molta differenza tra crimine comune e affari sporchi della politica. Le brutalità dei prepotenti però debbono essere combattute e il buon uso dell’indignazione che emerge dalle piazze rivendica l’utilità generale e il diritto di avere diritti… i cittadini devono esercitare la loro sovranità o sono schiavi… il bene della collettività è superiore al bene individuale e la vita armoniosa è più importante di quella delle parti… si tratta di lottare insieme per la giustizia e per la libertà di tutti gli uomini, le donne, mostrare che morale e politica possono essere rifondate… la bellezza, la verità, la giustizia… abitano nel cuore dell’umanità e quando i più lo scopriranno, l’indignazione si riverserà fuori, nel mondo, e nascerà ancora una novella primavera di bellezza.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 20 volte febbraio 2012