di Michel Onfray, Fazi Editore, 2008, pp. 249, Euro 17, 50
La politica del ribelle. Trattato di resistenza e insubordinazione, di Michel Onfray, è un libro di grande bellezza autoriale. Onfray è un filosofo anomalo, libertario, solitario e un demolitore accanito del pensiero accademico. Sostenuto da una polemica feroce contro ogni forma di potere costituito, il francese esprime qui l’elogio della sovversione non sospetta ed elabora una strategia della disobbedienza di notevole attualità storica.
Onfray scaglia i suoi strali velenosi contro i valori imposti, non dimentica nemmeno di demistificare le menzogne delle sinistre e gli inganni delle destre. Lavora sul desiderio della rivolta dell’individuo sganciato da tutti i legami di partito e mostra che la violenza delle democrazie dello spettacolo va smascherata e delegittimata nella sua dimensione autoritaria. Gli uomini godono per qualsiasi merce… perfino di consegnarsi alla garrota delle divinità mediatiche nascenti.
Per Onfray ogni autorità è intollerabile, ogni dipendenza insostenibile, ogni sottomissione impossibile e intreccia i percorsi della sua filosofia radicale con il romanzo autobiografico che la accorda. Educare alla libertà, per il filosofo francese, significa riscoprire “l’esistenza di un arcipelago di ribelli e di irriducibili, un continente di resistenti e di combattenti chiamati anarchici. Stirner fu il mio viatico, Bakunin un lampo che attraversò la mia esistenza”. In tempi dove dare voce alle proprie idee è diventato una rarità o un accidente, esprimere il dissenso aperto contro i codici dominanti, non è cosa da poco.
A ciò che resta della sinistra europea dice che non esiste peggior schiavitù del modellare le proprie idee e quella della propria storia agli imperativi dell’economia multinazionale, dei costruttori di Auschwitz, dei gulag sovietici e cinesi, responsabili di novelle catastrofi. L’uomo, per Onfray, si definisce in rapporto all’istituzione che lo autorizza a fervente sostenitore del consenso o alla passione della propria ribellione che inaugura nuove stagioni dell’immaginario liberato. La politica libertaria alla quale aspira è quella di “ribaltare le prospettive: sottomettere l’economico al politico, ma anche porre la politica al servizio dell’etica”. Insomma mettere fine alla cupidigia dell’impero mercantile vissuto come simulacro e dare inizio alla ridistribuzione dei beni comuni all’intera umanità.
La politica del ribelle di Onfray recupera il pensiero libertario della Comune, le lotte generazionali del ’68, l’insurrezione popolare delle guerriglie latino-americane, la morale in azione della disobbedienza civile… lo fa abbattendo i dogmi ideologici, gli altari religiosi, i miti guerrafondai del neocolonilismo consumerista e del terrorismo delle Borse internazionali. Disvela la connivenza dei media con i centri di potere e deride la politica dei governi occidentali, legati a doppio filo con i mercanti di armi. I popoli della terra, dice più volte Onfray (riattualizzando Carl von Clausewitz di Della guerra, e Sun Tzu di L’arte della guerra), sono sottomessi all’economia e la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi.
8 volte dicembre 2008