di André e Raphaël Glucksmann, Piemme, 2008, pp. 239, Euro 13, 50
Sessantotto. Dialogo tra un padre e un figlio su una stagione mai finita, scritto da uno dei protagonisti del Maggio parigino, André Glucksmann, insieme a suo figlio Raphaël, non è, come può sembrare, una celebrazione dei movimenti generazionali che esplosero in quell’anno e dettero vita a una visione dell’esistenza più giusta e più umana per tutti. Il ’68, non dimentichiamolo, è stato l’esplosione di una festa libertaria planetaria che ha modificato gli usi, i costumi sociali e politici ai quattro angoli del mondo. E dopo quella richiesta di felicità prolungata nulla è stato più come prima. Si è trattato di una rivoluzione antiautoritaria che ha messo le genti… di fronte a una delle crisi più profonde che la civiltà abbia mai conosciuto.
Il libro è costruito in quattro atti. Il primo è un dialogo tra padre e figlio sul Sessantotto; il secondo è uno scritto di Raphaël Glucksmann che ritorna su molte dimenticanze di quel Maggio straordinario; il terzo è un testo di André Glucksmann sulle rivoluzioni e controrivoluzioni filosofiche e il quarto atto è un elogio della sovversione permanente di Glucksmann figlio. I “figli gioiosi del Sessantotto” — scrive Raphaël Glucksmann — cantavano “Viviamo senza tempi morti, godiamo senza limiti” e ricorda che quei ragazzi denunciavano le ingiustizie e le mancanze della vecchia società che decretavano “oscena”.
Il padre, André, gioca d’ironia. Afferma che sotto i sampietrini c’era Stendhal e le “giornate del Maggio” avevano radici profonde… milioni di persone si dichiaravano pronte a spegnere il sole dello sfruttamento per accendere le primavere di bellezza dell’avvenire. L’insurrezione spontanea e l’inferno provocato dei ragazzi del Maggio era lastricato di buone intenzioni. Il “tempo dell’osare” si sostituiva al “regno della mercanzia”. Alla strategia del lavaggio del cervello, bisognava opporre il “socratico ritorno a se stessi” (André Glucksmann). Non era Victor Hugo che diceva, “come gli incendi illuminano tutta la città, così le rivoluzioni illuminano il genere umano”?. Il testo di André Glucksmann è illuminante, severo, anche, con certe conflittualità di “bassa intensità”, e si affranca senza riserve ai giorni irripetibili di un’adolescenza adorabile.
Il libro si chiude con l’“Elogio della sovversione permanente”, di Raphaël Glucksmann, che lascia libero corso allo stupore e si apre su questa citazione di Olga Kuzmenko, una rivoluzionaria russa del ’17, quando guardando le finestre illuminate del Palazzo d’Inverno, disse: “È la fine del loro mondo, e l’inizio del nostro”. La storia poi andò diversamente. Gli strali metaforici di Glucksmann figlio invadano la fantasia e non risparmiano nessuno. Né la “vecchia società” né il “nuovo ordine” sociale. La lettera a Nicolas Sarkozy è bella quanto irriverente e consegna al presidente queste parole: “Corri in fretta, compagno presidente, il vecchio mondo è dietro di te”. L’elogio al Maggio ’68 è forte e nelle sue metafore sembra di sentire ancora il profumo delle ciliegie al tempo dell’amore.
Piombino, nove volte settembre 2008