Questo trattato-pamphlet sulla fotografia al tempo della civiltà dello spettacolo, è stato scritto secondo il linguaggio della critica radicale situazionista e, più ancora, alla maniera dei libelli libertari (disseminati da sempre in margine alla letteratura “colta”)… è affabulato nella sfrontatezza del calembour (gioco di parole che si scrivono in maniera identica o simile ma hanno significato diverso), usato nei bassifondi della malavita parigina e già nel ‘400 da François Villon… poeta maledetto di La ballata degli impiccati (pubblicata a stampa nel 1489), composta in carcere (forse) in attesa della sua esecuzione. Il poeta fu poi graziato e scomparve in esilio (morì di fame sul ciglio di una strada, dicono). Ne manteniamo anche le ripetizioni, le invettive e le sommatorie di volgarità… confermiamo inoltre le insolenze, i motti di spirito, il witz (storiella ebraica), non tanto per il gusto estetico di scrivere a un certo grado di qualità, quanto per confermare un idioletto che non porta a produrre grandi tirature dei nostri lavori o a passare del tutto inosservati a quanti fanno professione di scrivere e di leggere, e vanno dunque cercati dove si trovano… il loro destino ci lascia indifferenti o il contrario, specie quando capitano in mani migliori delle nostre. Anche il rasoio di Guglielmo di Ockham non è estraneo alle nostre dissertazioni… specie nell’accezione che per spiegare il singolare è sufficiente ed esaustivo ricorrere a elementi in tutto e per tutto singolari. “Dobbiamo abbandonare ogni modello, e studiare le nostre possibilità” , Edgar Allan Poe, diceva… affilare meglio i propri ferri e passarli sulla spalla destra quando non ci si arrende.