“In un mondo che aspira all’Impero […] consiste nel mobilitare la scuola, i media, la cultura e il Web per fare propa- ganda; consiste nell’utilizzare le scoperte scientifica per meglio asservire le masse; consiste nel controllare l’opposizio- ne per essere sicuri che, al momento opportuno, non riuscirà a opporsi veramente; consiste nel nascondere il vero po- tere e nello sviare altrove l’attenzione facendo credere che la democrazia rappresentativa sia davvero in grado di per- mettere il libero esercizio del potere sovrano; consiste infine nel governare senza popolo, contro il popolo e nonostante il popolo, assieme alle classi dirigenti: assieme ai giornalisti e ai politici, assieme agli economisti e ai sociologi, assieme ai sindacalisti, ai pubblicitari e agli esperti di comunicazione, assieme ai tecnici e ai burocrati. Non ci hanno contato?… Non sono tanto sicuro di voler essere progressista. E credo nemmeno l’asino Beniamino della Fattoria degli animali lo fosse…”.
Michel Onfray
Il cinema italiano, preso nel fascio dei sui lavori… è il riflesso piuttosto opaco, quando non è stupido, di una cultura della benevolenza o della soggezione o del servaggio (naturalmente ben prezzolata), infilzata ai precetti/ganci di qualsiasi ideologia… poco importa sia di destra o di sinistra (raspano nella medesima latrina)… tutta gente che si smedaglia tra loro e per avere un posto in parlamento, strozzerebbero la propria madre con le budella dei propri figli!… le violenze fatte sotto il sole io le ho vedute tutte — ecco le lacrime degli oppressi e nessuno che li consoli, e il male simmetrico degli oppressori che nessuno castiga —, diceva Qohélet (l‘Ecclesiaste), colui che prende la parola.
Nella civiltà dello spettacolo, il bordello a cielo aperto della politica è il massino contenitore di stupidità mai visto sulla faccia della terra… stupidità e potere sono sinonimi, come il fucile e l’aspersorio… secondo Le leggi fondamentali della stupidità umana, scoperte dall’emerito prof. Carlo M. Cipolla (un libro fra i pochi da rubare ovunque si presenti l’occasione) — tra burocrati, generali, politici, capi di stato, uomini di chiesa, intellettuali, operai, financo negli acchiappatori di farfalle col retino… si ritrova un’aurea molto alta di individui fondamentalmente stupidi, la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente cresciuta dalla posizione di potere che occuparono (od occupano) —… ecco perché tutti gli stupidi finiscono in politica!La quasi totalità dei film prodotti e realizzati nell’italietta destrorsa che cinguetta allegramente con la “sinistra in fricassea”, del tutto priva di stile, tutta protesa a non perdere il culo sugli scranni del potere (con quella ragazzotta sul ponte di comando che ride come i pappagalli ammaestrati sulla gruccia, per compiacere, divertire, distrarre, consolare sulle imposture del suo partito)… è una filmografia collaborazionista che impoverisce non solo la lingua del cinema, abolisce la verità, propaganda l’imbecillità, aspira al successo mondano e sopprime la storia, specie quando dice di farla… critici, storici, glossatori, festival, scuole di cinema… riproducono il linguaggio degli affari… che è il linguaggio della polizia del pensiero, del politicamente indotto, della costruzione dell’opinione pubblica e attraverso le veline della produzione, premiazioni pilotate, esaltazione di film come prodotti da centro commerciale… assicurano l’uccisione dell’intelligenza e l’omologazione culturale che celebrano il significante sulla morte del significato… e non c’è esperto che non si rivolga ai giovani… ma “questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali” (Pier Paolo Pasolini)… Il Mercato è la matrice di ogni realtà e al tempo stesso è anche il mortaio dove si pesta ogni verità, quindi ogni falsità… solo quello che il Mercato dice, è vero… i discorsi ufficiali, i proclami dei partiti, le mistificazioni delle chiese… sono l’enunciazione del pensiero dominante e contengono anche la degradazione e il tanfo della sua caduta.Chiesa, patria, famiglia, lavoro non sono mai tramontati nelle scacchiere politiche e per tenere meglio il popolo sotto il loro giogo, hanno creato uno scenario di terrore permanente attraverso guerre, attentati, colonialismi efferati… il capitalismo saprofita (in bella comunanza col capitalismo “comunista” russo o cinese)… esercita un vasto controllo sui sistemi economici, politici, sociali e culturali… le tirannie finanziarie incidono sulle linee politiche dei governi, sui vassalli dei partiti, sconvolgono la geopolitica del pianeta… terrorismi e servizi segreti delle nazioni più potenti ballano nelle segrete di tutti i poteri e i mezzi d’informazione di massa possono dissertare su tutto, ma proprio su tutto!… basta che non facciano sul serio… il lavoro rende liberi a Wall Street, come ad Auschwitz… darei tutte le sedi delle Borse internazionali con i loro cortigiani e allibratori, in cambio del sorriso di un bambino salvato da una barcaccia del mare.Di Vermiglio. Il cinema italiano non è solo quello che si piega alla dittatura del mercato… certo… ci sono autori come Giorgio Diritti, Pietro Marcello, Alice Rohrwacher, Michelangelo Frammartino, Maura Delpiero (senza dimenticare Marco Bellocchio)… che sradicano la pianificazione del pensiero utilitarista e nelle loro opere situano la derelizione politica fuori dalla poesia (o del tutto dentro), su altri versanti della verità… Vermiglio è il film con il quale la Delpiero ha vinto il Leone d’argento alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2024 (poi selezionato per rappresentare l’Italia ai Premi Oscar del 2025)… siccome non siamo sensibili a leoni, orsi, palme, grolle, vele o statue dorate dello zio Oscar… distribuiti secondo convenzioni produttive, quasi sempre, poetiche, quasi mai… non ci piacciono i tappeti rossi nemmeno nei bagni di Giorgio Armani… figuriamoci alle feste del cinema, dove gli attori fanno i grulli davanti a un pubblico più grullo di loro… ma ogni tanto pare che le conventicole dei giurati (forse in stato di totale ebbrezza occasionale) riescono a individuare un film degno d’essere riconosciuto come merita. Si tratta di Vermiglio, appunto. La trama è esile ma profonda. Nel 1944, Pietro, un soldato siciliano che ha disertato, arriva in un paese arroccato sulle montagne del Trentino, Vermiglio… il ragazzo turba la quotidianità dell’insegnante della scuola elementare e della sua famiglia… Lucia, la maggiore delle sue figlie (Ada e Flavia), s’innamora di Pietro e si sposano. Alla fine della guerra Pietro torna in Sicilia e Lucia partorisce un bambino. Il giornale riporta che Pietro era già sposato con una donna siciliana e l‘ha ucciso per averla tradita (l’omicidio non si vede e questo non è male). Lucia va a lavorare in città e affida il piccolo all’orfanotrofio.
Di là dalle esultazioni ufficiali, sempre molto elaborate, fino alla compiacenza sperticata che sfiora il parossismo, tanto da dire che il film “affonda le sue radici nel cinema sospeso nel tempo (e ricco di afflato metafisico di Ermanno Olmi” (Elsa Ungari)… ora, che l’austerità cinematografica di Olmi sia alla base di film come quelli di Diritti e Delpero, non si discute… su “afflato metafisico”, boh!… quello che sappiamo è che quando la cultura alza il tiro su sé stessa, è sempre il popolo a pagarne il prezzo.Vermiglio è un lavoro complesso… non è il colore rosso-vivo del titolo che si vede nel film o forse è proprio rosso-vivo il filo antropologico/figurativo che racconta la realtà contadina e al contempo la condizione femminile di quei giorni… i corpi parlano… la sessualità circola nel film in cerca di una qualche liberazione… e sono soprattutto le donne che infrangono l’immutatezza culturale del paese… attraverso la forza indomita di Lucia (Martina Scrinzi), l’innocenza del divenire di Flavia (Anna Thaler), la ribellione istintiva di Virgina, la “pazza” (Carlotta Gamba), poche sequenze di rara bellezza espressiva, e anche la sottomissione di Ada (Rachele Potrich) al volere del padre, Cesare (Tommaso Ragno), un’interpretazione rigorosa ed eccezionale, al limite del teatrale… si sversano nella critica del patriarcato e contro la stupidità della guerra… mostrano che il cinema, quando è grande, ha la capacità d’illuminare la vita autentica.
La sceneggiatura della Delpero è vigorosa… dialoghi asciutti, anche metaforici, s’intrecciano a una figurazione essenziale, a una bellezza selvatica poco trattata sullo schermo… nelle facce dei bambini, delle donne, degli uomini di montagna si riconosce non solo la fatica ordinaria ma anche la leggerezza delle feste, l’inclusione dei corpi con i luoghi, la solitudine amara della riflessione… qui si fanno figli come nelle conigliaie… vanno in guerra a morire per un re, un duce o una patria che nemmeno conoscono e tornano o morti o disadattati… ma in tutto s’avverte il soffio vitale di una comunità… perfino il prete sembra custodire i segreti della gente senza infastidire troppo Dio.La fotografia Michail Vladimirovič Kričman è singolare, potente, quasi documentaria… gli esterni sono lavorati sui bianchi, i verdi, i grigi… gli interni sui marroni, i neri, i rossi bruciati… avvolti nella sapienza autoriale di Kričman, che avevamo già visto ne Il segreto (2016) di Jim Sheridan… il montaggio alternato di Dermot Diskin e le musiche curate da Matteo Franceschini, insieme alle scevre inquadrature di attori e comprimari, conferiscono al film una freschezza affabulativa che aderisce a qualcosa di più grande… Vermiglio non è solo un film che riporta a un mondo perduto… tutt’altro… è il quadro di una situazione sociale dove la donna rigetta la vita all’insegna del servilismo e rivendica tutto intero, il diritto di avere diritti.
Ci sembra importante sottolineare il personaggio di Pietro (Giuseppe De Domenico)… a giusta ragione, la Delpero lo tiene sovente in secondo piano… sono i rapporti del padre con Lucia, le sorelle, il figlio avvinazzato e le relazioni sociali con i suoi alunni e gli abitanti del paese, il fulcro nodale del film… la loro raffigurazione contiene miseria e dignità e aderisce al presente senza smentire la realtà che li avvolge… l’autenticità del dialetto (tradotto con sottotitoli pregnanti) collega il linguaggio con la verità storica. Occorre dire anche che il ritorno di Pietro alla sua terra è un po’ approssimativo… ancora più inefficace, se non sbagliata, è la scesa in Sicilia di Lucia… il viaggio per mare, Lucia seduta sulla panchina, affranta, mentre dei ragazzetti giocano nella piazzetta e la corona che depone sulla tomba di Pietro… ci sembrano momenti che interrompono l’architettura poetica del film… capiamo le esigenze produttive, certo… pensiamo tuttavia, e per quello che vale, che questa piccola stonatura illustrativa, vada a incrinare una delle opere di più belle del cinema italiano di quest’inizio di secolo.
Pino Bertelli, dal vicolo dei gatti in amore, 16 volte ottobre, 2024