“I padroni, che schiattino! All’istante! Putridi rifiuti! Tutti insieme, o uno alla volta! Ma subito! Seduta stante! Neanche un secondo di pietà! Di morte atroce o soave!
Me ne sbatto! Ah, non sto nella pelle! Soldi per salvarli, tutta quanta la razza, non cene più! Al carnaio, sciacalli! Nella fogna! Perché stare gingillarsi? Han mai rifiutato, loro, quelle belve! Un solo povero osteggio a Re Profitto? Macché!
Macché! Manco per vil cazzo!
Vi capita sott’occhio qualche posapiano?… Farlo fuori subito, a fiuto! Star lì a pensarci? L’onore? Quale onore?… Non sono neanche divertenti! Sono sempre più imbranati, Più coglioni del vero! Per farci qualche risata, bisogna metterli a capo sotto!…
Con i privilegiati, lo giuro, non farò l’occhietto umido, io, sulla loro schifa carogna!…”.
Louis-Ferdinand Céline
I. Sul cinema più brutto del mondo
Al tempo della civiltà dello spettacolo il cinema italiano è il più brutto del mondo e insieme alla critica specializzata (della quale faccio indegnamente parte), la più servile dell’industria cinematografica, si prodigano per avvezzare gli spettatori alle retoriche del neoliberismo criminale che riduce l’immaginario a merce soltanto… la fine della storia del cinema per mano del mercato è diventata parte essenziale della domesticazione dell’intera umanità. Del resto la macchina/cinema hollywoodiana è una baldracca che sin dalla nascita ha legittimato la stupidità invece dell’intelligenza… e solo poeti della disobbedienza, del dissidio o dell’inconvenienza hanno da subito inventato un linguaggio, se vogliamo un inchiostro filmico, che non riconosceva la sacralità, l’autorità e la mistica del successo dispensate dai produttori di sogni. In questo sono del tutto uguali ai glossatori della politica… impostori delle fedi… giannizzeri delle ideologie… tutta brava gente nemmeno degna di uno sputo! Al mattatoio! Alla fogna! Al cimitero a legna delle anime sporche! Tutti i pezzi di merda sono dei gran predicatori, vi si trovano a frotte nella politica, nella chiesa, nella cultura, per non parlare della grande cloaca di internet!
I rottinculo parlano il medesimo linguaggio, tutti gli sportelli di banca si assomigliano, come le svastiche e le falci e martello!… le carognate contro gli sfruttati, gli oppressi, gli ultimi… fanno parte della farsa elettorale e le belle bandiere non sono che drappi d’una tirannia finanziaria che detta ordini e guerre. Gli assassini si dipingono le facce di futuro, ai sottomessi tocca la purificazione nel letame della storia.
A margine del panorama mercatale del cinema italiano (di là di maestri come Marco Bellocchio), s’affastellano nomi celebrati e alabardieri dello scarto, della coincidenza, dell’inganno o del perverso da festival, tavole rotonde, stage, premi internazionali (Paolo Sorrentino, Gabriele Salvatores, Giuseppe Tornatore, Nanni Moretti, Gianni Amelio, Roberto Benigni, Carlo Verdone, Pupi Avati, PaoloVirzì, Gabriele Muccino, Ferzan Özpetek, Matteo Garrone…), alcuni certo di notevole preparazione tecnica, altri più inclini a cercare un linguaggio mediano che possa piacere a tutti, incontrare gli elogi velinari della critica e il consenso al botteghino… non c’è traccia qui del cinema di poesia di Pasolini, dell’ironia picaresca di Monicelli o dell’anarchia al vetriolo di Ferreri… e come Pasolini faceva dire di Fellini a Orson Welles in La ricotta (1963): Essi danzano, danzano, danzano.
Alcuni cineasti (viventi) come Luigi Faccini, Franco Piavoli, Paolo Benvenuti, Roberto Faenza, Giorgio Bechis, Antonio Capuano, Daniele Segre, Giorgio Diritti, Pietro Marcello, Alice Rohrwacher, Ciprì e Maresco, Claudio Caligari, Michelangelo Frammartino, Francesco Munzi, Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian o Niccolò Falsetti… riescono a realizzare film fuori dai consensi accademici, ecumenici o bassamente mercantili, fanno a meno della poetica ingenua, della brutta poetica o della poetica inutile e contribuiscono a bucare il muro del presente… conservano la candidezza del pane fatto in casa e il profumo del melograno, e i loro film, anche i più “piccoli”, s’attestano su un’affabulazione imperfetta, radicale, eversiva, anche… sanno che le strade regali sono sentieri per le mucche, Seamus Heaney, poeta irlandese e Premio Nobel per la letteratura, scriveva sulla rivista di critica radicale Tracce.
Dire l’indicibile è rigenerare un’antica originaria bellezza e la presa d’atto o il bolo ‘bolo di un limite da violare. Il bolo è comunità autonoma, immaginata senza restrizioni autoritarie, formali o creative. L’autore di bolo ‘bolo, p.m. (Hans Widmer), si chiede: « Un altro mondo è possibile?… l’autore di questo libro divenuto ormai un classico diffuso e tradotto in numerose lingue (francese, inglese, portoghese, spagnolo, turco, ebraico, arabo, ecc.) – sostiene di sì. E che può essere realizzato non in un lontano futuro, ma ora, mentre godiamo ancora di buona salute. bolo’bolo racconta di un’utopia, ma non è utopico, anzi. Propone una accattivante alternativa al capitalismo e all’economia, presentando una serie di esperienze, di progetti di sovversione e soprattutto di costruzione, di nuovi percorsi (non attuabili con la politica) che non si basano su una teoria particolare, ma che si possono sviluppare solo con la contemporanea paralisi ed eliminazione del controllo della Macchina-Lavoro Planetaria.
Esperienze, progetti e avvenimenti che possono essere (e probabilmente in parte già sono) attuati, basta volerlo. Siamo realisti, facciamo – finalmente – il possibile!». [ Per le teste curiose e i cuori impetuosi rimandiamo a bolo ‘bolo, Edizioni L’Affranchi, 1987 o immodestamente al nostro Zero in condotta. Manuale eversivo per un cinema del quotidiano. Materiali per un film da scrivere, Edizioni L’Affranchi, 1992 ].
Il bolo ‘bolo del cinema di resistenza al presente fornisce una sorta di attrito, rielaborazione, dell’uso o il riuso dell’immaginario e si ramifica in diramazioni impervie… grida per emergere e non cade nella maledizione del sistema che molti dicono di mordere e invece lo leccano! Si tratta di non possedere né essere posseduti dalla cultura dominante o di partito e fare d’ogni linguaggio del comunicare una scrittura illegittima… liberarsi dalla coercizione dell’utile e dall’assemblaggio categoriale a favore dell’interrogazione dell’esistenza. Decontestualizzare i rituali della macchina/cinema è la ragione del cinema differenzialista o bolo ‘bolo, se non anche la natura ultima (forse prima?) del cinema stesso!
Ricordiamolo: “l’indifferenza politica e la politica professionalizzata si sostengono l’un l’altra” (Henri Lefebvre) e sulle folate dell’entusiasmo, dell’ottimismo e dell’ossequio sono stati commessi i peggiori delitti della storia… già nel 1974 Pasolini sui piombi del Corriere della Sera scriveva: “La cultura produce dei codici; i codici producono il comportamento; il comportamento è un linguaggio; e in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume un decisiva importanza” nella mutazione antropologia delle persone… e il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo.
Il cinema, la televisione, la fotografia, la carta stampata, internet sono, appunto, dispositivi del potere che contengono l’ostia, la lama, il vocabolario e modellano la percezione degli utenti secondo i saprofiti della finanza, gli stessi che producono guerre, contaminano governi e mercati… insieme agli idioti della politica e agli stolti della sottomissione legittimano una cultura della dimenticanza e fanno dell’archeologia della violenza le prossime fosse comuni.
II. Di Margini
Nel portolano del “cinema indipendente” italiano… s’affastellano opere mutevoli, poliedriche, a volte abrasive… tuttavia non è facile imbattersi in film che gettano nuova luce sui fasti dell’immaginale mercantile… sovente si vedono commedie pretestuose, realismi fantasticati, poetiche dell’eversione dolcificata e l’elogio dell’imperfezione non è che la scusante estetica che impedisce di cogliere pienamente la verità della rivelazione… sono film facilmente decifrabili nei significati della rappresentazione e non vanno oltre le formulazioni scolastiche o dissennate architetture filmiche che annunciano le prossime conversioni alla maculazione dei saperi imperanti, ideologici o brutalmente utilitaristi che hanno già svuotato la realtà del soffio creativo del dissidio… seguono il comandamento più immarcescibile di Elohin (Dio): “Mangia pura da ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai” o, tuttalpiù, diventerai un intellettuale, un politico o un assassino, che hanno tutti la medesima radice di frivole certezze… il medesimo esercizio di ascesi verso i settarismi di ogni potere.
Qualche volta accade che un piccolo film su una provincia toscana (per niente provinciale), riesca a solleticare l’intelligenza dello spettatore e attraverso i sorrisi trasversali dei protagonisti ci faccia conoscere lo stupore, la meraviglia e la gioia dell’utopia come eco di un sogno mai perduto, quello della meglio gioventù.
Si tratta di Margini (2022), primo lungometraggio di Niccolò Falsetti… definito talvolta una commedia punk, altre volte una commedia dove si ride davvero che ha il sapore amaro della realtà?! Vero niente. Margini è un cameo poetico che sfugge sia alla commedia, sia alla realtà giovanilista che impera nel confortorio estetizzante, nonché misero, di molti film-maker all’ingrosso… è una ricercazione o un’escavazione della memoria secondo gli stilemi narrativi della commedia dell’arte… c’è la realtà (approssimativa) del diario di bordo, gli untori della politica, i palafrenieri della cultura e ci sono i guitti… ragazzi piuttosto pasoliniani (attualizzati) che portano una ventata di freschezza scenica sul boccascena di un’epoca consumerista che sarà stata tutto, tranne che intelligente.
Falsetti è sceneggiatore e regista… nato e cresciuto a Grosseto… alla 79° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia Margini ha ricevuto un premio importante, quello del pubblico… l’autore scrive di sé: “Dal 2010 lavoro come autore e regista sia in autonomia che all’interno di ZERO, un collettivo di autori e filmmakers che negli anni ha realizzato documentari, cortometraggi, campagne virali, progetti crossmediali, serie web e più di un centinaio fra contenuti brandizzati e pubblicità. Con ZERO ho pubblicato per Mondadori il romanzo Forse Cercavi e il racconto Checkpoint contenuto nella raccolta Reflusso Crossmediale edito per L’Erudita.
Come regista ho avuto fatto tanti tipi di esperienze in campo cinematografico e pubblicitario e ho scritto e diretto videoclip per Levante, il Muro del Canto, Lucio Leoni, Danomay.
A volte gli amici dei Jackal mi chiamano a Napoli e mi concedono di dirigere alcuni dei loro super script e negli ultimi anni ho anche avuto l’opportunità di lavorare come regista di seconda unità con i miei fratelli maggiori, i Manetti bros., sia sulla trilogia di Diabolik che sulla serie TV L’ispettore Coliandro insieme a Milena Cocozza. Sempre con i Manetti ho realizzato in co-regia videoclip per Manuel Agnelli e Max Pezzali, Nek e Francesco Renga.
Dal 2005 ad oggi non ho mai smesso di essere un membro dei PEGS, il gruppo streetpunk in cui suono con i miei più cari amici”. Sbrigate le faccende biografiche è bene passare al film del regista grossetano.
Margini racconta la storia di tre giovani punk di Grosseto che nel 2008 cercano di organizzare nella propria città il concerto di una band street punk americana, The Defense. Il loro gruppo si chiama Wait for Nothing e girano per feste de l’Unità e sagre… Michele (Francesco Turbanti), disoccupato, è sposato con Margherita (Silvia D’Amico), cassiera al supermercato e hanno una figlia che ama la musica, Alice (Aurora Malianni)… Edoardo (Emanuele Linfatti) lavora nella Sala Eden (discoteca) gestita dal compagno della madre, Adriano Melis (Nicola Rignanese)… Iacopo (Matteo Creatini), di famiglia borghese, studia violoncello ed è in attesa di essere chiamato per suonare con Daniel Barenboim, direttore musicale di L’Orchestre de Paris.
I tre giovani cercano la collaborazione del Comune per reperire una sala, l’attrezzatura e dare ospitalità ai musicisti americani… l’assessora è del tutto disinteressata all’evento e destina le risorse economiche alla rievocazione storica dell’Assedio di Ludovico il Bavaro. Anche il padrone della Sala Eden rifiuta di sostenere il concerto… ai giovani punk non resta che adattare una stanzona della Circoscrizione Pace e allestire il debutto dei The Defense.
Michele non va a un colloquio di lavoro e sottrae i soldi alla moglie per acquistare i biglietti d’aereo del gruppo americano… Iacopo riceve la chiamata per il tour di Barenboim proprio nel giorno del concerto e prende il treno per la Francia… Michele ed Edoardo cercano di rubare l’impianto della Sala Eden… finiscono per spaccare il locale e vengono portati in questura. Melis non sporge denuncia e al mattino i ragazzi sono liberati… la madre di Edoardo lo manda via da casa ma con la strumentazione per il concerto dei The Defense… che riscontra una grande partecipazione di pubblico… il giorno dopo sulla prima pagina de Il Tirreno si legge: « Concerto punk sconvolge la città. Due grossetani denunciati ». Il film si chiude con Michele ed Edoardo che girano in auto per Grosseto e cantano in maniera sguaiata e ironica, Se bruciasse la città di Massimo Ranieri.
Il soggetto di Margini è una sorta di “autobiografia” di Falsetti e Turbanti — che firmano la sceneggiatura con Tommaso Renzoni —… i momenti personali del regista e dell’attore (amici sin dalle scuole elementari e membri fondatori del gruppo punk Pegs) sono rievocati nei dialoghi asciutti, veri, mai declamati in orpelli gergali, conferiscono al film un’autenticità insolita per il cinema italiano. La fotografia di Alessandro Veridiani contiene quel che di trasandato che riporta di colpo agli anni ’80… l’inizio di una sbornia dei costumi dalla quale nessuno più è riuscito a riprendersi. Il montaggio di Stefano De Marco e Roberto Di Tanna è nervoso quanto basta e in una sorta di ventaglio visivo delle sequenze, collega molte delle notevoli inquadrature del regista con la verità senza giustificazioni di un tempo mai perduto.
I volti/corpi di Margini sono un vero e proprio sillabario di semplicità e franchezza figurativa… Francesco Turbanti, Emanuele Linfatti, Matteo Creatini, Valentina Carnelutti, Nicola Rignanese, Paolo Basso… riescono a restituire la leggerezza della realtà e i risvolti, anche dolorosi, di un mondo giovanile di provincia che fanno “rumore” dove gli altri impongono il silenzio. Poiché ogni passione realizzata non è che un inizio che fa scandalo, l’amore per la vita vince su tutte le contraddizioni. Il desiderio desacralizza il rituale e qualche volta anche il cinema riesce a mostrare il sudario d’un nuovo soggettario come fonte d’eterna comunanza libertaria.
Il manifesto di Margini è stato disegnato da Zero Calcare e proprio non ci sembra un capolavoro. E poi che importa, di capolavori si può anche morire, diceva quel saggio (o era un bandito?) che lo impiccarono per attività sovversive contro il Consiglio dei Ministri… da una parte la libertà, dall’altra i ceppi… diffida di ciò che viene detto con chiarezza, perché la chiarezza altro non è che l’altro versante accogliente dell’ombra o della garrotta, annotava.
La colonna sonora del film è una vera e propria narrazione metafilmica, parallela all’attorialità… suonata o ascoltata allo stereo, ripercorre parte della scena hardcore punk italiana e attraverso i brani dei — Negazione, Klaxon, Gli ultimi, Colonna Infame Shinhead, Rappresaglia, Anti You, La Crisi, Coloss, Kina, Nabat, Pegs, Payback (The Defense) — riporta alla vitalità della controcultura punk esplosa a Bologna nel 1977… una seminagione di sonorità alternative che troveranno in un gruppo tra i più radicali, i RAF PUNK (Rebel Anarchist Fraction), fondato nel 1979 da Jumpy Velena (Helena Velena), l’epicentro di un linguaggio musicale dissacratorio nel quale una generazione d’inadempienti diceva che nei cieli della vita quotidiana non c’era più nulla da leggere, ascoltare, vedere… ma tutto era da disfare, da reinventare: “Se sei solo a sognare, non è altro che un sogno. Se sognate in parecchi, è l’inizio della realtà” (Canto popolare brasiliano). La libertà, come l’amore, la fraternità o l’amicizia, non si concedono, ci si prendono.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 13 volte agosto, 2023