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Quando (2023) di Walter Veltroni

Inserito da serrilux

Quando (2023) di Walter Veltroni

“Contro l’ingiustizia non posso ammettere una rivolta parziale, ma solo un rivolta eterna, perché eterna è la miseria dell’umanità”
E.M. Cioran

Ancora oggi stiamo di più un disadattato che s’impicca, di un comunista come Veltroni vivo!… erede di un apparato di partito che ha fatto della genealogia della menzogna i propri successi… tutta gente che si è fatta passare come benefattrice dell’umanità e nel tanfo dei poteri poi ha arraffato, contraffatto, corrotto tutto ciò che era possibile, fino a tradire la memoria storica della Resistenza e le speranze di un profondo cambiamento della società… mallevadori di un’idea di comunismoanalfabeta…i moderni “commissari del popolo” al seguito della gazzettiera col sorriso da iena Elly, favorevole financo all’invio delle armi in Ucraina, esprimono in formato grande, una politica del cretinismo ad uso delle scimmie.

Pier Paolo Pasolini vedeva nel Partito Comunista Italiano quello che non c’era o forse era solo nei cuori e nelle lotte dei lavoratori: “Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico”. Ma il poeta dice anche: “Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone (…) Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui”. Per quel cantaschifezze da spiaggia, Jovanotti — “la parola comunista in Italia la associo a quella correttezza, a quella faccia, a quelle parole, a quell’onestà, e quindi continua a essere nei miei ricordi una parola bella” —. Nei sommari di decomposizione della sinistraalcavialei gemiti delle vittime si accompagnano agli scranni conquistati in parlamento e lì rovistano nei privilegi come ratti su cumuli di spazzatura.

La storia del comunismo al potere, non solo quello sovietico o cinese, s’intende… ma anche quella del Pci, il più grande partito comunista europeo che si è dissolto (sempre troppo tardi) con la caduta del muro di Berlino nel 1989… è una sfilata di falsi assoluti, una successione di miti innalzati a dei pretesti, un avvilimento dello spirito dinanzi alla criminalizzazione di tutte le devianze, strappi, insurrezioni, dalla guerra di Resistenza fino al nostro tempo. La complicità con le repressioni dei carri armati rossi della rivolta di Budapest nel ’56 o la “primavera di Praga” nel ’68, ne confermano la cecità politica. L’Amnistia Togliatti (1946) infatti segna l’apogeo del colpo di spugna sui delitti fascisti… oltre 5000 fascisti beneficiarono di amnistia o indulto… fra i tanti c’erano anche i fedelissimi di Mussolini, Dino Grandi, Renato Ricci, Luigi Federzoni, Julio Valerio Borghese o i componenti della famigerata Banda Koch (torturatori di partigiani), che furono scarcerati invece di essere giudicati per crimini contro l’umanità.

Il Veltroni-pensiero ci ha sempre fatto inorridire, non solo quando faceva il comunista con la livrea ma ancora di più quando si è messo a fare l’intellettuale di sinistra buono per tutte le stagioni della politica italiana… i suoi discorsi nei salotti televisivi, libri o film sono un prontuario di imbecillità che decantano una tolleranza d’accatto e il suo proselitismo verso gli ultimi, gli sfruttati, gli oppressi, rivela a ogni giro di frase, il fondo pietoso dell’entusiasmo di un clown da circo di periferia. La furbizia dei fanatici, delle canaglie e dei cialtroni si recluta tra i martiri, gli eroi e i persecutori… in ognuno di loro si cela un boia e quando raggiunge una tribuna… c’è un po’ più male nel mondo.

Il commercio delle idee determina anche il commercio degli uomini. Quando è forse il film più brutto mai apparso nella messe di stupidità del cinema italiano… il “come eravamo” che affonda tra la nostalgia è il patetico parrocchiale. Nel 1984, al funerale di Enrico Berlinguer, il “santo del Compromesso Storico”, l’asta di una bandiera rossa (con tanto di falce e martello) colpisce alla testa Giovanni (Neri Marcorè) e finisce in coma… trent’anni dopo, quando si risveglia in un ospedale cattolico, sotto lo sguardo protettivo della suora che si è presa cura di lui per tutto il tempo, Giulia (Valeria Solarino), trova una realtà piuttosto cambiata… è crollato il muro di Berlino, il totalitarismo dell’Unione Sovietica si è dissolto nel totalitarismo di un nuovo despota, l’euro si è ingoiato la lira e i suoi cantautori preferiti non ci sono più… in ospedale trova anche l’affetto e la comprensione di Leo (Fabrizio Ciavoni), un ragazzo con problemi di mutismo selettivo… la sua ex fidanzata, Flavia (Olivia Corsini), si è sposata con il suo amico Tommaso (Gian Marco Tognazzi)… quando vanno a trovare Giovanni in ospedale gli dicono che il padre della figlia è lui… Fine.

Le arlecchinate della critica italiana (e le cretinerie avvalorate dai social network) avvolgono il film di Veltroni nell’armatura dei buoni sentimenti… qualcuno ha scritto che Quando è l’autobiografia collettiva di una nazione, altri il racconto miracolistico di un ragazzo comunista che torna a vivere ancora sostenuto dai vecchi valori del partito… noi abbiamo visto nel film il corpo desiderante di un’ideologia del sacro che educava le masse al raggiungimento della società comunista con la derelizione politica che sradicava dovunque la libertà di pensiero! I palafrenieri del Pci sono sempre stati molto attivi e pronti a sopprimere le dissidenze, emarginare o denunciare i sovversivi. Anche in questo sono del tutto uguali alle pulci ammaestrate del PD (la cloaca più illuminata della politica moderna).

Quando Giovanni si sveglia dal coma canta l’Internazionale… qui il comico si mescola al ridicolo… Veltroni passa in parata le bandiere rosse dei comizi del Pci, i biscotti Saiwa, il biliardino, il jukebox, il giradischi, la fine del Pci, i tablet, i mondiali di calcio, le feste dell’Unità degli anni ’70, la tessera del Pci col l’effige di Palmiro Togliatti, la prima pagina de L’Unità con la scritta a caratteri cubitali, Addio Enrico… c’è perfino la vera voce del brigatista rosso Valerio Morucci che dà indicazioni per il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro… i camei sono molti… un procace presentatrice della televisione (Elena di Cioccio), un cameriere esuberante (Stefano Fresi), il Mago Forest (Michele Foresta)… si alternano in siparietti che allietano lo sguardo attonito degli spettatori fino alla disperazione o alla noia.

Il Giovanni ridestato, in preda ad asfissia dell’intelligenza, sproloquia frasi del tipo: “Era una comunità di persone che sentiva di avere tutti gli stessi valori. Gli stessi sentimenti. L’ideologia era sbagliata, ma gli ideali no. E le persone erano oneste, giuste, belle. Al funerale di Berlinguer piangevano tutti, forse perché avevano capito che allora tutto sarebbe cambiato. Che quel funerale non era solo a un uomo cui volevamo tutti bene. Ma era la fine di un’avventura umana che la Storia aveva superato”. La stanchezza persistente del film sprofonda in un universo di sbadigli.

Le prescrizioni del “buon comunista” di Veltroni restano legate a una partitocrazia che ha molto a che fare con il potere personale e molto poco con l’interesse generale e il bene pubblico. Sotto i vessilli del grande baldacchino del Pci, il regista rivendica la rispettabilità, la coerenza, la fede verso il comitato centrale, ma non si capisce come un qualsiasi regime che proibisce la libertà di parola, di espressione e controlli la circolazione delle idee, possa mai concepire che le ricchezze di una nazione restino nelle mani di pochi e la miseria imposta al maggior numero. Per cambiare le cose, migliorarle, ridurre le ingiustizie non servono le parate elettorali, ma la rivolta al presente e progettare la ripartizione delle ricchezze in un numero maggiore di teste.

Quandoè la rivisitazione, molto provinciale, di Ildormiglione(1973) di Woody Allen e dello splendido e irriverente Good bye Lenin! (2003) di Wolfgang Becker… ma qui l’ironia insorge contro l’intimidazione, la violenza, la soggezione… nel film di Veltroni non c’è senso della struttura filmica… la narrazione è appoggiata a micro-storiette da commedia e i dialoghi interminabili, approssimativi, pretestuosi, esondano nel caricaturale: “Fino adesso ti ho protetto dalla storia, ma sei diventato un ometto”, dice suor Giulia. “Il mondo è cambiato in meglio o in peggio?”, chiede Giovanni. “Solo tu ce lo puoi dire”, chiosa suor Giulia. “Berlusconi è diventato prima presidente del Milan e poi del consiglio” “Meglio se non mi svegliavo”. “Qui c’era la libreria Rinascita” “Ora c’è un supermercato”. “La rinascita delle cotolette”. Per Veltroni il Partito è la matrice di ogni realtà e anche la lavanderia di ogni verità. La secrezione di una realtà fittizia non c’è… c’è l’occultamento della verità, facendo finta di non sapere che l’educazione delle coscienze a un mito, un profeta o un despota, è alla base di ogni dispostismo.

Il soggetto di Quando è tratto dall’omonimo romanzetto di Veltroni… la sceneggiatura stesa con Simone Lenzi, Doriana Leondeff, assembla più luoghi comuni e indecenze di un Tribunale Speciale sulle attività sovversive… i colori della fotografia (Davide Manca) sono scialbi quanto le fiction Rai richiedono… il montaggio (Mirko Platania) non perviene a nessuna costruzione emotiva… il tappeto musicale è degno di un talk-show da prima serata… invade tutto il film. Si canta dappertutto, anche in macchina. Un classico della mancanza di idee. Gli attori sembrano le figurine ordinate di un collezionista di stereotipi… Marcorè fa lo stralunato senza crederci, la Solarino è una suora che ride sempre… specie quando non occorre. Ciavoni scivola ogni qualvolta che appare nel patetismo d’occasione… la Corsini ripropone il clichè della fidanzatina in salsa comunista e il marito (Tognazzi) rispolvera la mansuetudine del sottoprodotto di un’amicizia politica. La dolce ingenuità di Giovanni perviene cosi a uno stato prossimo di idiozia.

La macchina da presa di Veltroni sembra cercare l’idea e vaga di stanza in stanza, di ambiente in ambiente, dai personaggi principali a quelli secondari in una sorta di ricucitura sull’insipienza… è il cinema secondo Veltroni, il più inutile mai visto, che fa dell’immaginario veltroniano l’acquasantiera dell’amarcord comunista, del tutto estraneo ai conflitti della storia. Sembra asserire che non si fugge dalle proprie stigmate… confermare, involontariamente, che in ogni ideologia, fede o dottrina, la miseria della vita sociale non è che il pallido rilesso di un’infinita miseria interiore… l’esacerbazione di una mancanza d’identità, di spontaneità e d’amore.

Quando è il crogiolo estetico-morale dell’eterno presente di una tirannia dei sentimenti truccati, incapace di liberarsi dalle simbologie comuniste che privano la nascita di un’esistenza autonoma, libertaria, propria solo a chi possiede la coscienza dell’eternità e prende a calci in culo la pietà, la consolazione e l’obbedienza. L’uomo libertario dichiara tutti gli ideali inutili, le credenze imbecillità, l’arte una menzogna prolungata e la politica istituzionale una gogna che pratica indisturbata la legge del capestro! Le vere confessioni non si scrivono con le lacrime (Agostino, Rousseau, il curato di campagna Meslier o l’anarchico Émile Henry, insegnano), ma con il fuoco interiore che si trascolora in incendio… e nei bagliori della notte, girando in tondo, ciascuno diviene fratello dell’altro per andare incontro all’aurora della società libertaria che viene.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 31 volte maggio, 2023

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