“La fotografia è un potente mezzo d’espressione. Usata in modo appropriato ha un grande potere di migliora- mento e conoscenza; usata in modo sbagliato può accendere fuochi preoccupanti”(…). Il fotogiornalista non può che avere un punto di vista personale, ed è impossibile che sia completamente oggettivo. Onesto – sì, ogget- tivo – no (…). Sto cercando ciò che è veramente reale nel mio cuore: e quando l’avrò trovato, potrò stargli umil- mente accanto e dire: “Ecco qui, questo è ciò che sento, questa è la mia onesta interpretazione del mondo; e non è influenzata dal denaro, da inganni o pressioni – tranne la pressione della mia anima”.
Eugene W. Smith
Il cinema è la più bella favola mai raccontata… lo sanno perfino gli imbecilli da tappeto rosso che dicono di farlo… tuttavia anche un brutto film può contenere quei cinque minuti del Meraviglioso di cui parlavano i surrealisti… e basta la chiusa di Il caso Minamata, di Andrew Levitas, per mostrare che la fotografia di un maestro dei sentimenti struccati, Eugene W. Smith, è più reale della realtà! Levitas ri/produce in bella copia l’immagine di Smith — Tomoko Is Bathed by Her Mother —, scattata nella casa della famiglia Uemura nel dicembre 1971, e raccorda la maledizione di una classe di saprofiti con la dignità popolare che la svergogna!… qui Smith innalza il gesto fotografico contro i funesti demiurgi del parassitismo economico-politico (non solo) giapponese… denuncia l’incompatibilità tra profitto e diritti umani!
Per gli effetti delle contaminazioni da mercurio, Tomoko era nata deforme, cieca e sorda… quando la fotografa Smith ha quindi anni… muore nel 1977, all’età di ventuno anni. La madre Ryoko, lava/culla la figlia Tomoko nuda in una vasca, e il momento si trascolora in intimità fragile, folgorazione della grazia, atto d’amore che sconfessa la barbarie dell’utilitarismo e l’impostura della politica che ne dettano la cancellazione!… l’immagine si oppone all’odio con l’amarezza del disincanto e rende il Vero amabile fino alla ricusazione della felicità concessa…. è la seminagione dei principi egualitari dell’umano nell’uomo!
La fotografia di Smith è più vicina alla poesia che non alla preghiera… poiché dietro il linguaggio della preghiera non c’è nessuno, figuriamoci Dio… è un canto dell’inascoltato che fa della tenerezza del corpo ferito, martoriato, indifeso… un messaggero d’amore… e solo là dove avviene l’interrogazione si ha anche la resurrezione della bellezza come giustizia! Il bagno di Tomoko è un’icona della compassione, una pietà laica tra le più grandi della storia della fotografia e dell’arte!
La fotografia di Tomoko disvela gli effetti della malattia di Minamata sulla popolazione del piccolo villaggio di pescatori, afflitto dall’inquinamento da metilmercurio — da più di trent’anni — per gli sversamenti in mare dell’industria chimica Chisso Corporation —… l’avvelenamento comporta la perdita della coordinazione muscolare, danni alla vista, all’udito, difficoltà ad articolare le parole… in molti casi disordine mentale, paralisi, coma e morte… quella ragazzina ignuda, avvolta nell’abbraccio amoroso della madre, restituisce la parola Amore al profumo dei mandorli in fiore e prova che l’universo dell’indifferenza crolla con la prima parola-immagine osata… è la fotografia-simbolo di tutte le vittime dell’aggressione all’ambiente e all’uomo in tutto il mondo… disvela l’impunità padronale che fa del crimine una pratica costante del privilegio… l’esercizio dell’intolleranza può finire soltanto quando l’autoritarismo, il fanatismo e la tirannia saranno debellati con l’annientamento dei loro responsabili!
Di Il caso Minamata. Il film racconta gli ultimi anni di uno dei fotografi più radicali dell’immaginario bastonato… Eugene W. Smith, detto Gene… autore di reportage e libri importanti, da studiare su cosa non si deve fare con la scrittura fotografica… tra questi, appunto, Minamata, firmato con la moglie giapponese, Aileen. — Consigliamo di rubare l’edizione inglese con la copertina rigida, poiché con il costo del libro, usato, 297 Euro, si potrebbe tentare di fare un fotoracconto clandestino sull’incidenza dei tumori tra i lavoratori dell’ex-Ilva di Taranto… se poi vogliamo allargare la ricerca sull’inquinamento dell’aria, dell’acqua e delle conseguenti malattie cancerogene di Genova, Marghera o Piombino… si dovrebbe sottrarre l’edizione inglese, con copertina cartonata, nuovo, al costo di 1.928, peso 1.94 kg., alla biblioteca di corte (del resto, le regine dell’impero britannico hanno sempre avuto un certo peso sulla soppressione delle libertà e l’innalzamento delle forche, appese a un lampione delle periferie londinesi avrebbero fatto certo una bella figura) —.
Un’annotazione a margine. Nella fabbrica dell’acciaio di Taranto si registra il 500% di casi di cancro in più rispetto alla media della popolazione della città… si apprende dall’ultima stima pubblicata nel 2018 dall’Osservatorio nazionale amianto (Ona), e in cronaca di La Stampa del 27 aprile 2019, si legge: “Un quadro preoccupante, quello relativo a Taranto in particolare, confermato pure dall’ultimo rapporto Sentieri dell’Istituto superiore di sanità, che prende in esame i dati relativi a 45 siti di interesse nazionale e regionale per le bonifiche, inclusa Taranto. Chi vive nei siti contaminati, rileva il Rapporto, ha infatti un rischio di morte più alto del 4-5% rispetto alla popolazione generale. E questo, in un periodo di 8 anni, si è tradotto in un eccesso di mortalità pari a 11.992 persone, di cui 5.285 per tumori e 3.632 per malattie dell’apparato cardiocircolatorio. E vivere in siti contaminati comporta anche un aumento di tumori maligni del 9% nella fascia di età tra 0 a 24 anni”.
La psicologia delle tenebre di politici, sindacalisti, operai intimoriti dalla scomparsa del lavoro… argina le giuste battaglie per la salvaguardia della salute dei lavoratori e quando non si affronta a muso duro l’origine del male, si passa al disinteresse che ne affossa le ragioni e si scende a patti col silenzio… anche gli alti rischi di tumore al polmone diventano accettabili e intanto i piani di sviluppo della Arcelor Mittal prevedono di giungere alla produzione di acciaio di 8 milioni di tonnellate nel 2023… i politici, i padroni, i cortigiani d’ogni miseria, vengono assassinati sempre troppo tardi, questa è la loro grande fortuna!
Per le lacrime esulcerate di Minamata, tutto avviene cosi: Nel 1971, il fotografo americano Eugene Smith (conosciuto oltre che per i suoi irregolari reportage sulla seconda guerra mondiale pubblicati dalla rivista «Life», anche per un carattere libertario che sfugge a tutte le regole della mondanità intellettuale), viene contattato dalla traduttrice Aileen Mioko e messo a conoscenza dei casi di contagio da mercurio nel villaggio di pescatori di Minamata. Smith ne parla al direttore di «Life», Bob Hayes, e dopo contrasti e invettive riesce a farsi inviare a Minamata… attraverso Aileen e altri attivisti che lottano contro l’arroganza della Chisso, s’accosta alla vita quotidiana dei pescatori… tra una sbornia e l’altra documenta le malformazioni e malattie genetiche causate dai rifiuti industriali… l’amministratore delegato della
multinazionale tenta di corrompere Smith… ma non lo piega di fronte alla rivendicazione della libertà e della giustizia che sono al fondo del suo lavoro… si affianca alle proteste popolari e viene osteggiato dagli armigeri della Chisso e dalla polizia… gli bruciano la camera oscura… la mafia giapponese lo picchia a sangue all’interno della fabbrica ma riesce a far pubblicare le fotografie su «Life» e portare la tragedia di Minamata all’attenzione dei media nel mondo.
Il caso Minamata è tratto dal libro di Aileen Mioko Smith e Eugene W. Smith… per scrivere la sceneggiatura, invero abbastanza esile, se non elementare, ci sono volute quattro persone, David Kessler, Andrew Levitas, Jason Forman, Stephen Deuters… i dialoghi sono intessuti di frasi fatte o a effetto… la narrazione resta a metà tra il romanzato e la biografia… le riprese si sono svolte in Giappone, Serbia e Montenegro (?), e si avverte poco la graziosità, la spiritualità e il temperamento giapponesi legati alla paesaggistica… la fotografia di Benoît Delhomme alterna l’essenzialità negli interni a un certo impoverimento figurativo negli esterni… insieme alla lentezza del montaggio di Nathan Nugent, depositano il film in una lettura piuttosto televisiva. La musica di Ryūichi Sakamoto esprime una forza poetica/introspettiva che restituisce la profondità del Vero al senso di sofferenza della storia. L’attorialità generale si dipana sui crinali della semplificazione, salvo Johnny Depp, qui fin troppo misurato… in qualche modo restituisce l’anima randagia di Smith o introietta l’influenza dello splendido corsaro della fotografia e la ricuce in posture, atteggiamenti, sguardi che riflettono l’amorevolezza dell’uomo che non vuole avere un destino fuorché la fraternità che la sua fotografia detta… un evangelista senza profeti, un poeta smarrito, senza aura né la saccenza del ruffiano… un testimone di epoche indiscrete che non chiede supplementi all’avvenire degli oppressi, degli sfruttati, degli esclusi… un bracconiere di sogni che ha fatto della fotografia l’arte di vivere tra liberi e uguali.
Il regista non ha sussulti emotivi, se non nell’inserimento di brani documentari nell’architettura filmica e si riscatta quando s’accosta alla riservatezza gentilizia delle persone contaminate, specie la grande inquadratura finale che vale l’intero film. E nei titoli di coda ci lascia in sorte, e non è poco, queste parole: “Nella primavera del 1973, la Chisso Corporation accettò di rimborsare per intero le spese mediche e di sostentamento per le vittime della malattia di Minamata. La somma complessiva più elevata mai imposta da un tribunale giapponese. A fronte della iniziale soddisfazione della popolazione, né la Chisso né il governo giapponese hanno rispettato l’essenza finanziaria e morale di questo accordo.
Nel 2013 il primo ministro giapponese dichiarò che il Giappone aveva risolto il problema dell’inquinamento da mercurio, negando l’esistenza di decine di migliaia di vittime che continuano a soffrire ancora oggi.
La rivista “Life” pubblicò il suo ultimo numero settimanale il 29 dicembre del 1972. Il “bagno di Tomoko” è considerata una delle immagini più importanti della storia del fotogiornalismo.
Gene e Alileen si sposarono il 28 agosto 1971, in Giappone. Gene morì il 15 ottobre 1978 come conseguenza indiretta delle ferite riportate alla fabbrica. Le fotografie di Minamata furono le ultime che scattò. Aileen è rimasta fondamentalmente legata alle attività della comunità di Minamata ed è impegnata nella sua lotta all’inquinamento ambientale ancora oggi”.
Eugene W. Smith non è mai passato dalla strada al salotto… la macchina fotografica era un prolungamento della sua vita o viceversa… la mancanza d’illusioni, un sarcasmo spudorato o l’impudore di un moralista trasversale a tutte le morali, sono al fondo dei suoi eccessi caratteriali… Smith è vissuto sempre ai margini dell’esistenza, ha sabotato la fotografia in nome della fotografia e non si è intonato mai con la pletora narcisista dell’incensamento fotografico, nemmeno quando ha frequentato la Magnum… la fotografia libertaria di Smith si mostra come un’autopsia della società spettacolare, guerrafondaia, incagnaglita nel profitto soltanto… una fotoscrittura che proclama sovrana l’intelligenza di dire no! alla desolazione della crudeltà, cattiveria, perfidia, genuflessione intellettuale… le sue immagini non hanno bisogno di troppe spiegazioni… sono contro la gerarchia dei partiti, delle dottrine e delle fazioni… figurano la brillantezza della sovversione non sospetta dell’ingiusto al di sopra ogni cosa, sempre… un eretico dell’eresia che non riesce a credere a nessun genere di “nobiltà d’animo”, se non in quella degli sconfitti, dei violati, degli ultimi… quando muore lascia in eredità ai figli appena 18 dollari e un patrimonio culturale/politico senza pari all’intera umanità.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 25 volte settembre, 2021