“La percezione di sé o la coscienza di sé sono la consapevolezza del corpo nella sua risposta viva o spontanea. Il
sé è il corpo, che comprende la mente; è il corpo che reagisce indipendentemente dall’io. Quindi, io sono più
cosciente di me stesso quando sono affamato, stanco, assonnato o eccitato o quando sento dolore o piacere”.
Alexander Lowen
I. Ad Auschwitz Dio c’è entrato già morto!
(è resuscitato a Wall Street! per farsi una fotografia, forse…)
La sacralizzazione del consenso obbliga anche la propria ombra all’obbedienza… il profitto è l’unico valore che si dispiega all’interno di linguaggi e comportamenti… gli idoli semplificati e i cortigiani devoti dell’industria dello spettacolo — fotografia, cinema, televisione, telefonia, carta stampata —… intrattengono, plasmano, modificano corpi e sogni, ma non raccontano l’uomo né come sta al mondo! ne fanno solo un cliente o un imbecille elettorale al seguito di tutti i criminali (nemmeno di bell’aspetto) che albergano nella politica, nella finanza, nella chiesa… ad Auschwitz Dio c’è entrato già morto! è resuscitato a Wall Street! (per farsi una fotografia, forse…) in mezzo a un branco di bravacci che hanno fatto il miracolo e scritto la Genesi del capitalismo parassitario! Le guerre, i mercati, le nuove tecnologie hanno permesso di materializzare la preghiera giudaico-cristiana e una cricca di minorati mentali dicono cosa è giusto e cosa è sbagliato! I popoli guardano frastornati e impauriti la defigurazione della loro dignità. Se una rivolta vince, i ribelli sono promossi ad eroi, se perde, sono retrocessi a terroristi!
Il compito dell’industria fotografica, da sempre, è quello di non aver niente da dire e tutto da proclamare!… a circuitale il fanatismo, l’ebetismo e il cretinismo… ci pensano le riviste di moda, quelle illustrate, i telegiornali, i premi internazionali, le università, i centri commerciali… i consumatori cambiano fotocamera come si cambia di partito!… il senso innato del trasformismo/collaborazionismo degli italiani, brava gente un cazzo… ha alimentato i cattomonarchici, catto-fascismi, catto-comunismi e prodotto la classe di deficienti che alberga in parlamento… sarebbe meglio strozzare un bambino nella culla che pensare possa un giorno diventare fotografo! Non si deve mai essere d’accordo con l’industria culturale, neanche quando ha ragione! Non sono i titoli che fanno un uomo o un artista! poiché l’intelligenza non ha bisogno di titoli!… ma bisogna essere indifferenti quanto citrulli per aderire alla fotografia e non attentare alla sua menzogna.
L’idolatria della fotografia mercatale è un pensiero che si spande, come si dice dello sterco di vacca quando si allarga (annotava Cioran)… i fotografi (specie i meno dotati) hanno completamente assorbito l’idea della propria opera a tal punto di pensare che parlare di tecnica, apprendimento, devozione… siano la maggior prerogativa per fare fotografie… morire senza conseguire nessuna fama, forse questa è la grazia suprema! L’iconografia dell’inganno vuole la rappresentazione della realtà, mai la sua verità!… la fotografia che vale è un haiku dell’anima liberata, non la sua frode! Per elevare il “tono” dell’immagine, senza perdere il contatto con cosa ha davanti, non bisogna scegliere la parte dalla quale stare, ma quella contro cui stare!
La fotografia è un istinto inappagato che diffida dell’adulazione quanto delle necessità… il vaneggiamento dei professionisti è il medesimo di quelli che fanno fotografie a qualsiasi cosa e dicono, questa è arte! Siamo fermamente convinti che un paio di mesi nelle miniere di sale della Sicilia li ritemprerebbe nello spirito (se ne avessero almeno uno nel culo)! Possiamo perdonare un atto banditesco, mai un fotografo che fa del fatalismo la miseria delle miserie e la chiama “bellezza”! Si dovrebbe fotografare come se la fotografia non esistesse, come se si fosse il primo fotografo che si è messo il “ferro” sulla spalla, alla maniera dei partigiani, e ha detto la mia parola è no! I grandi fotografi colgono nelle immagini, quello che i cuochi di taverna di porto riescono a mettere nelle minestre, i sentimenti!
La fotografia del disinganno dell’austriaca Lisette Model (Elise Amelie Felicie Stern), naturalizzata statunitense… è una sorta di dialogo fra lei e ciò che ha di fronte… una poetica formativa che si fonda sulla visione radicale, diretta, abrasiva della realtà… un percorso culturale in cerca di una civiltà del rinnovamento, più libera, più umana! Il linguaggio fotografico della Model si raccorda con le pagine di vita quotidiana che coglie sui marciapiedi delle città… racconta anche la natura e le demarcazioni di ordinamenti sociali e culturali che determinano i destini delle persone… una scrittura fotografica usata nell’interesse di tutta la comunità, piuttosto che in quello di classi o gruppi che fanno della sociocrazia (violenza, burocrazia, autoritarismo, sfruttamento) le basi del loro impero! Non c’è niente di più ignobile della compiacenza — non solo — in fotografia!
Liberiamoci delle notizie biografiche quanto prima… Lisette Model nasce bene, a Vienna, nel 1901… in una famiglia ebraica… il padre è un medico italo-austriaco e la madre francese, cattolica… viene battezzata nella fede della madre… riceve un’educazione alto-borghese… professori privati le insegnano italiano e tedesco… a 19 anni inizia a studiare musica con Arnold Schönberg… alla morte del padre (1924), insieme alla madre e alla sorella Olga, va a Parigi per studiare canto… s’interessa alle arti visive e prende a dipingere sotto la guida di André Lhote (tra gli studenti c’è anche Henri Cartier-Bresson)… frequenta gruppi radicali che contrastano la classe borghese dalla quale proviene… il fratello maggiore rilascerà un’intervista piuttosto confusa (mai accertata), dice che Lisette è stata molestata dal padre… dal 1926 al 1933 si sottopone a psicoanalisi… non sarà mai esplicita sulla sua infanzia, non amava le interviste né pubblicazioni che riguardavano troppo la sua vita personale… di passaggio in Italia acquista una fotocamera e un ingranditore e con l’aiuto di Olga s’inizia alla fotografia!
Quando il caporale Adolf Hitler afferra il potere (1933) e prende la decisione di liquidare gli ebrei d’Europa… la Model va a Nizza dalla madre e nel ’34 inizia a fotografare sulla Promenade des Anglais… la stessa del film di Jean Vigo, À propos de Nice (1930), un feroce attacco alla borghesia del tempo, contrapposta alla vivacità e sensualità popolare che ne denuncia l’insensatezza! La ritrattistica della Model è ravvicinata, spesso scippata con grazia clandestina… specie delle classi privilegiate… le composizioni sono ottenute con tagli dei negativi in camera oscura… procedimento che ci fa rabbrividire, poiché pensiamo a quanto diceva, a ragione, Henri Cartier-Bresson, e che seguiamo alla lettera… e cioè che il rispetto estetico-etico di una fotografia sta nello stampare l’intero fotogramma, così come viene preso dalla fotocamera! L’accezione costruttiva della Model ne conferma l’idea di fondo, però… l’uso del formato quadrato (2 pollici e 1/4) permetteva d’allargare l’immagine ed eliminare il superfluo già pensato in fase di ripresa. Una vocazione non s’inventa, né si fabbrica… si dissemina nel lirismo dell’inquietudine che la contiene!
Nel 1937 Lisette sposa il pittore ebreo Evsa Model e nel ’38 vanno a New York. Qui fotografa ricchi, poveri, artisti, diseredati… è membro della New York Photo League (una cooperativa di fotografi che si occupava di lotte sociali), pubblica per la stampa di sinistra (anche su riviste “alimentari” come Harper’s Bazar, certo)… durante la “caccia alle streghe” del senatore McCarthy, la Model fu interrogata dalla Commissione per le attività antiamericane per-ché sospettata d’avere collegamenti (che non c’erano) col Partito Comunista… l’FBI cercò di reclutarla come informatrice (che rigettò con sdegno) e il suo nome venne inserito nella lista di controllo della sicurezza nazionale! Nessuno le dava più lavoro… fuori da ogni dogmatismo accademico riuscì a dare lezioni private nel seminterrato dove viveva con Evsa… tuttavia non tollerava studenti senza dedizioni né compassioni per capire che la fotografia del disinganno (o del dialogo) è nel cuore della vita di ogni uomo o popolo libero! Il mondo esiste per cadere in una fotografia!
La fotografia del disinganno è una poetica dell’inattuale che disconosce la spocchia dei vincitori e la mansuetudine dei vinti… e già nelle prime fotografie della Model, quelle sulla Promenade des Anglais… i ricchi sono scippati alla loro realtà… signori, signore e perfino i cani, seduti davanti ai grandi Hotel di Nizza, sono fotografati nei loro residui di carità… in una beatitudine derivata dal possesso e comunque inchiodati a infinite solitudini che la ricchezza deterge o maschera… la Model sembra dire — i ricchi passano, la loro miseria dell’umano resta a memoria degli uomini in rivolta —! Le immagini della giovane fotografa (i corpi, i volti, le mani, le posture), recitano un falso sublime, alla meglio una carriera!… e donne, uomini e cani (sempre e comunque al guinzaglio)… hanno i medesimi “musi” sciocchi e protervi insieme… figurine di un album di degenerati di certezze, da scollare! Non c’è niente di più umiliante d’essere capiti!
Negli anni ’40 la Model draga l’immaginario di New York… i suoi lavori sono pubblicati su diverse riviste (PM’s Weekly o US Camera) e le serie Reflections e Running Legs sono un vero e proprio attacco alla società dell’opulenza che avanza… inizia a lavorare per Harper’s Bazar e lo farà a lungo (le sue immagini appariranno anche in Look o Ladies’Home Journal)… quella che in molti ritengono sia una delle fotografie più riuscite (?), Coney Island Bather, ci è sempre apparsa poco più di una signora grassa che gioca sulla spiaggia con una fotografa… tuttavia i suoi reportage vennero sempre meno utilizzati da Harper’s Bazar… A Note on Blindness e Pagan Rome furono le ultime cose pubblicate lì… invero, piuttosto “normali”. I baci della Model sono implicativi… sembra che l’uomo mangi la donna e lei si faccia mangiare con trasporto (ma anche il contrario), in un’osmosi amorosa senza peccato… l’amore è analfabeta! non cerca le parole né può essere spiegato con immagini che lo feriscono! L’amore è il Te e Me che diventano il piacere di universi inconosciuti!… l’amore non chiama a raccolta l’ingiustizia della vita, ma la bellezza che essa può offrire!… i corpi in amore hanno sete di conoscenza e senza conoscere fanno del godimento il principio e la fine dell’edonismo libertino e libertario… coniugano il bello col bene comune e inventano una creazione di valori senza istruzioni per l’uso!… tutta la bruttezza dell’uomo nasce dal fatto che ha cessato di essere angelo!
La Model è stata docente alla New School for Social Research (dal 1951 alla sua scomparsa)… dove insegnava anche Berenice Abbott… l’amicizia con Ansel Adams (fotografo di grande valore paesaggistico, quanto di evidenti limitazioni nella ritrattistica), le fu molto di aiuto per non morire di fame… ai suoi alunni diceva che la fotografia era un’esplorazione del mondo, non una replica di ciò che si presenta davanti al fotografo. L’incisione soggettiva è tutto, l’oggettività niente! Dai suoi corsi sono usciti fotografi (anche controversi) come Eva Rubinstein, Larry Fink, Charles Pratt, ma è stata la sua studentessa più fuorigioco, Diane Arbus, a fotografare la bellezza del disinganno come nessuno mai! Le fotografie superflue rendono superflua la vita! Fotografare significa imparare a morire o a vivere fuori da ogni speranza che non sia una verità dalla quale nessuno dipende! Una fotografia deve provocare una lesione nell’animo del fotografo, del fotografato e del lettore… né esultanza né desolazione… ma qualcosa d’ingiusto, di brutto o di forzato che chiede solo di finire! Così la Model, su come fare-fotografia: “Spara dall’intestino”.
Dopo diverse raccolte di mostre, collezioni in musei e gallerie internazionali… la pubblicazione del libro, Lisette Model: Photographs (1979), prefazione di Berenice Abbott… è stata una vera e propria frattura culturale all’interno dell’editoria, almeno quanto The Americans (1958) di Robert Frank o New York (1954-1955) di William Klein… senza raggiungere subito le stessa notorietà o esclusività… le cinquantadue fotografie realizzate tra il 1937 e il 1970 che appaiono nel volume, l’affrancano a maestri ineguagliati dell’umanità dolente (Lewis W. Hine, August Sander, Diane Arbus o Eugene W. Smith)… immagini che non temevano d’essere illeggibili (almeno a una prima lettura), anzi vi aspiravano!… la Model ebbe giusti riconoscimenti e sostegni economici (come il Guggenheim Fellowship) per fotografare gli invisibili negli Stati Uniti, Svizzera, Italia, Francia… i reumatismi alle mani non le impedirono di fotografare né insegnare la memoria dei corpi e la coltivazione del pensiero che fa di un fotografo un poeta in utopia… si tratta d’afferrare o comprendere il significato della vita vissuta attraverso l’interrogazione della condizione umana! La Model — come i magnifici randagi della fotografia — aveva troppi difetti per non avere del genio! Muore a New York il 30 marzo 1983… ci ha lasciato in sorte un immaginale libertario che sottende — tutto è possibile, poiché niente è vero! —.
II. Sulla fotografia del disinganno
La fotografia del disinganno della Model è allocata nei maggiori musei internazionali, collezioni private, fondazioni… senza per questo aver fatto abdicazioni alla sua coscienza liberta-ria! Quando fotografa le persone riflesse nelle vetrine della città, tra manichini, ombre e luci che scontornano i figuranti… o i piedi della folla o cantanti da bar e uomini e donne aggrappati alle loro fragili sopravvivenze… ci sembra di fare un salto fuori della fotografia e abbracciare la vita per quella che è… una sommatoria di definizioni oltraggiate, incatenate non tanto nell’insignificanza, quanto nel diritto di cittadinanza a qualunque gradino sociale appartengano… le inquadrature della Model sono forti, spurie d’ogni estetismo, sovrane e distanti da un qualsiasi giudizio morale… si coglie il respiro e la potenza del momento, anche costruito… non importa… si capisce che la verità è nella sofferenza quanto nella superficialità… la fotografa non confonde la condizione degli sfruttati né quella dei privilegiati… l’incrocia in una fabula dell’assurdo che sprigiona tanto la pietà quanto la collera!
Le fotoscritture della quotidianità della Model non hanno seguiti… poiché sostengono che è impossibile amare ciò che non si è mai veramente amato! Quelle prese nelle strade di New York, figurano un sommario di demolizione del perbenismo… non si tratta solo di alcolizzati, disperati, impoveriti… ma anche di frammenti di vita dove ciò che accade è anche la fotografia del vero (o viceversa)… le “grandi donne” raffigurate dalla Model, in modo particolare, sono di una forza espressiva che supera i corpi avvolti in enormi sottane e cappotti, hanno addosso un’aura di feconda franchezza e dicono, la vita non è irreale, è l’impronta di una realtà ingiustificabile! Il peccato è vivere in questo modo e a questo prezzo! I fotografi dell’euforia calcolata cercano il consenso e spiegano nei minimi dettagli il perché di una fotografia (per fortuna ci sono artisti incapaci d’avere un simile cattivo gusto)… accompagnano la loro nullaggine in certezze istupidite di progresso, senza mai conoscere la vivacità sovversiva, ludica, creativa del talento che rifiuta i marcitoi dell’alienazione adeguata alla ricchezza che la genera! Non bisogna prefiggersi di fare fotografie da mercato, ma dire l’essenziale per il quale non si debba arrossire d’imbarazzo fino alla fine della propria esistenza.
La filosofia libertaria della Model non è di facile classificazione… sovente è inchiodata nel l’approssimazione della street fotography… ma la fotografia, quando è grande, è una! e una soltanto!… i generi servono solo per affondarla nella lingua del mercimonio! Le inquadrature sbilenche, i neri profondi, i bianchi stellari… imperlati di unicità emozionali… vedono l’essere umano come fine e mai come mezzo… invitano a pensare che la giustizia non è separabile dalla bellezza, è un modo di fare bene le cose, come un impagliatore di sedie, un carbonaio o un muratore… rifuggire dall’arroganza, l’imitazione, il dispregio che si accompagnano alle codificazioni sociali… ciò che è bello è naturalmente giusto… poiché la fotografia non è solo una ricerca linguistica, ma proprio in quanto ricerca linguistica, è una visione filosofica… che non rispetta barriere né emula gli dèi… è un desiderio originario, archetipico, che si prende la precedenza su tutto e lo porta a sé come valore assoluto di bellezza e giustizia! Un ritorno dunque alle fonti/forme antiche o inattuali o ereticali che vedevano nel bene assoluto la bellezza dell’intera comunità. Il grido di Georg Büchner — “Pace alle capanne! Guerra ai palazzi!” — non è mai tramontato sulle lacrime degli schiavi!… e quando cade in fotografia vuol dire che si è capito!
L’umanità ammaccata della Model si rispecchia non solo nella povertà più estrema, ma anche e col medesimo sguardo venato d’azzurrata malinconia, nell’aridità sfacciata delle classi più alte… i corpi, gli atteggiamenti, le emozioni ignudati dalla fotocamera della Model, che a sua volta s’ignuda di fronte ai limiti della felicità… sembrano ascoltare il silenzio della povertà e l’accidia moderna che lo determina… a riguardo Pier Paolo Pasolini diceva (da qualche parte): “Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui”. Tutto vero. L’Ecclesiaste (nel senso di predicatore) della solitudine non ha niente di sacro, è un buco nell’evi-denza che produce vuoto, spavento, rabbia… e l’eternità del dolore è un marciume inestinguibile se non c’è la furia dell’umano che lo rovescia!
I fotografi del disinganno non rimettono in discussione la fotografia nella sua interezza, ma il cattivo uso che ne fanno molti… invitano a rivoluzionare prima la propria vita e solo dopo la società. La psicanalisi americana andrà a scavare nel profondo degli effetti nevrotici della repressione sociale e gli studi di Wilhelm Reich, Erich Fromm, Herbert Marcuse, Alexander Lowen o James Hillman… mostreranno (su registri espressivi differenti, certo) che il linguaggio del corpo dice più di quello che sa!… la paura a vivere o la dimostrazione di potenza che defluisce nella società spettacolare… chiedono la resa o la perdita d’identità delle folle e lo svuotamento dei sentimenti, delle passioni, del gioire riproduce il fallimento della volontà… il godimento, il piacere, l’amore di sé e per l’altro/l’altra… risveglia la soggettività e nella verità del corpo, della parola, del sentire, ne cerca lo scopo… ed è a tutto questo che la serie Running Legs della Model pare ammiccare… le gambe, le scarpe, la frettolosità dei passanti in movimento, quasi sfocati o appena mossi… intrecciati a “forme” occasionali, ci fanno pensare a un’intelligenza collettiva confiscata… a una sessualità compressa… a una vita dannosa… il carattere plastico, dinamico, vivente delle fotografie della Model… sono libere associazioni, interpretazioni simboliche e financo autoanalisi della folla… che altro?… né sociologia, né reportage, né cronaca… non esprimono nemmeno l’estetizzazione concettuale dell’immagine… cara ad artisti/fotografi che non hanno nulla da dire e così “dicono” che la “loro” fotografia è la “bellezza raggiunta”! Il narcisismo degli stolti è più pericoloso delle camere a gas dei nazisti! Lo sterminio dell’intelligenza che ne consegue fa dell’utile idiota un esempio della reale psicopatologia della nostra epoca.
Il vestibolario dell’anomia della serie Reflections è un diario di bordo del diniego… gli specchi—vetrate di New York tracciano una critica radicale e un gesto d’insubordinazione verso l’ordine universale di una demenza accettata come necessaria. Le ombre, i chiaroscuri, i soggetti che fuoriescono da una mistica del consumo, dove il terribile oscilla tra l’estasi del conforme e l’orrore del vacuo… si leggono in associazioni visive libere, surreali, disorganiche al fotografico d’avanguardia quanto al fotografico da salotto… mani riflesse sulla metropoli, borghesi con bastone, cappello e giornale accostati a un manichino di donna seminuda o la fotografa che riprende se stessa in un riquadro, dove mette una signora in nero e una ragazzina col vestito a quadri e i guanti neri che guarda in macchina quasi incuriosita… sortiscono un carattere, una forza, una temperanza di scelte, decisioni, risoluzioni creative liberate nel silenzio del poeta, mai nel clamore della magnificenza d’artista… la Model decifra deserti interiori e slittamenti silenti, consustanziali a ogni vivenza, che scardinano certezze imperdonabili… le figurazioni dei soggetti si sdoppiano in una farmacopea di segni uniformati all’ambiente e tutto sembra portare alla lettura di una società che ingoia se stessa, già!… un’afflizione della bellezza deturpata dall’incapacità di capirsi e di capire la grossolana impostura della civiltà dello spettacolo!
La fotografia non significa altro che un mezzo, una tecnica per comunicare che la fraternità, l’uguaglianza, l’accoglienza si arrestano davanti all’indifferenza dei potenti e dei loro servitori… l’indifferenza è difficile da perdonare e la Model non intende perdonarla! Come Bartleby, lo scrivano di Wall Street di Herman Melville, si rifiuta di eseguire gli ordini impartiti… rivendica il silenzio contro tutte le pressioni dell’utilitarismo e la sua resistenza si esplica nella frase: “Preferirei di no”! La Model la fa finita con la vergogna intellettuale, non solo fotografica, piegata alle seduzioni degli aggettivi!… la sua fotografia esige la possibilità di un limite da sorpassare… l’idea che il disagio della disparità sia opera della merda vestita Armani, prelude a rancori affinati che fanno a brandelli convinzioni e credenze… lo stile sorvegliato le permette di maneggiare la fotografia senza bisogno d’essere aggiornati… cercare non tanto la “verità”, quanto la realtà (o viceversa)! Nessun grande fotografo ha mai usato mezzi termini!
Se gli angeli si mettessero a fotografare, la vita sarebbe sopportabile persino in una fogna!
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 9 volte febbraio 2021