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Maria Di Pietro – Sulla fotografia della vita quotidiana d’una contagiata dal Coronavirus e l’immagine contaminata di un popolo nella civiltà dello spettacolo

Inserito da serrilux

Maria Di Pietro – Sulla fotografia della vita quotidiana d’una contagiata dal Coronavirus e l’immagine contaminata di un popolo nella civiltà dello spettacolo

a Lei e Lei,
perché non hanno smarrito i baci al profumo di tiglio
e compreso che i corpi in amore hanno l’eternità dietro e davanti a sé…

« Le quattro direzioni saranno colpite dalla siccità e appariranno continuamente presagi di sventura. Le dieci azioni malvagie aumenteranno, in particolare la collera, l’avidità e la stupidità, e gli uomini non si preoccupe- ranno dei loro padri e delle loro madri più di quanto facciano i caprioli (…). Uomini devoti, nell’era della confu- sione e malvagità dopo la mia morte, il paese cadrà nella devastazione e nel disordine, gli uomini si deruberanno l’un l’altro e la popolazione sarò ridotta alla fame. A causa della fame a quel tempo molti uomini decideranno di lasciare le loro case [ per farsi monaci ]. Tali uomini si chiamano “zucche pelate”. Quando questa folla di “zuc- che pelate” vedrà qualcuno che cerca di proteggere il corretto insegnamento, lo inseguirà e lo caccerà, o addi- rittura lo ferirà o lo ucciderà. Questa è la ragione per cui io, adesso, do il permesso ai monaci che osservano i precetti di associarsi ai laici che portano spade e bastoni. E, anche se essi recano spade e bastoni, io li chiamerò uomini che osservano i precetti ».

Dal trattato, Adottare l’insegnamento corretto per la pace del paese, di Nichiren Daishonin, 1260

I. L’immagine contaminata di un popolo nella civiltà dello spettacolo

Gli eventi soggettivi più profondi sono anche i più universali, perché in essi si tocca il fondo originario dell’esistenza… dagli antichi sappiamo che le pandemie (come la peste o quelle legate ai virus, più o meno conosciuti), contengono anche un’inclinazione filosofica o pratica di sopravvivenza… e mostrano quanto sia debole o illusoria la credenza che i produttori e gli utilizzatori della scienza possano tutto contro i patimenti o l’agonia della vita, specie quando

la vita di milioni di persone è gestita da un numero ristretto di profittatori, saprofiti o poten- ziali assassini della condizione umana… e in ogni era hanno trovato sempre un seguito di “zucche pelate” o “zucche vuote” a sostegno dell’oppressione, della dominazione violenta e brutale dei loro padroni.

In questo senso l’immagine di un popolo (quello italiano intendiamo, perché qui che siamo capitati a nascere) contagiato dal Coronavirus è anche il ritratto di una contingenza cultura- le/politica che desta non poche perplessità… questa volta — e d’ora in poi — il capitalismo parassitario dovrà fare i conti non solo con le periferie del mondo che stanno chiedendo — con tutti i mezzi utili — la fine delle disuguaglianze… e prima o poi burattinai e burattini che governano in questo modo e a questo prezzo finiranno nelle fogne dalle quali sono venuti… ma da adesso in avanti saranno costretti a fare, e noi con loro, attenzione all’imprevisto, al- l’inconcepibile, al disastro ambientale nel quale è precipitato il pianeta e del quale sono i primi responsabili. Dopo la desertificazione, l’incendio delle foreste pluviali, lo sfruttamento massivo delle risorse minerarie della Terra, le guerre, la fame, la sete, i neocolonialismi, la sovrapproduzione di merci… arrivano le epidemie planetarie, ora un virus, domani altri virus che si spanderanno nel genere umano con così tanta tragedia, terrore e impotenza che nem- meno le carneficine dei conflitti armati hanno mai procurato nelle folle, sempre serventi alle bandiere, agli ideali, alle fedi… si uccide e si viene uccisi perché una minoranza di arricchiti possa essere sempre più ricca e la maggioranza d’impoveriti, sempre più povera.

“C’è una correlazione evidente tra il Coronavirus e il collasso del capitalismo mondiale. Allo stesso tempo, appare non meno evidente che ciò che ricopre e sommerge l’epidemia del Co- ronavirus è una peste emotiva, una paura nevrastenica, un panico che insieme dissimula le carenze terapeutiche e perpetua il male sconvolgendo il paziente. Durante le grandi pestilen- ze del passato, le popolazioni facevano penitenza e gridavano la loro colpa flagellandosi. I manager della disumanizzazione mondiale non hanno forse interesse a persuadere i popoli che non vi è scampo alla sorte miserabile che è loro riservata ? Che non resta loro che la fla- gellazione della servitù volontaria ? La formidabile macchina dei media non fa che rinverdire la vecchia menzogna del decreto celeste, impenetrabile, ineluttabile laddove il folle denaro ha soppiantato gli Dei sanguinari e capricciosi del passato” (Raoul Vaneigem, 17 marzo 2020, in Sicilia Libertaria, Numero fantasma di aprile 2020). Tutto vero. Il capitalismo è una violenza accettata, la politica è la sua imposizione e conferisce il lasciapassare a tutte le distru- zioni dell’imperio economico.

L’immagine di un popolo nella società spettacolare del Coronavirus ha qualcosa di sbalorditi- vo… la paura di essere contagiati è vera, l’infeudamento della paura e il controllo sociale che ne deriva, forse anticipa altri tipi di custodie collettive… quando si comincia col mettere la museruola a tanti, si annuncia anche la centralità del potere… di lì a poco si riaprono luoghi di detenzione per sovversivi e gli inerti indossano la camicia nera, grigia o rossa del potere in carica… forse non sarà proprio così e il nostro scetticismo verso i governanti di qualsiasi na- zione è condizionato da condotte etiche di gente che dovrebbe essere espulsa anche dai cessi del parlamento appena apre bocca… tuttavia ci pare che questi esperti della barbarie conti- nuano a propagare la cretinizzazione popolare che li sostiene… gli affari non si fermano e gli affaristi neanche… le guerre continuano, i migranti affogano, le banche prosperano, il riscal- damento globale s’innalza a livelli preoccupanti (gli operai vanno a fare in culo tra malattie professionali, tumori o altri agenti patogeni)… lo sconquasso del virus che avanza contiene una comica finale, tutti dicono: “Niente sarà come prima!”. Noi lo speriamo e pensiamo inol- tre che si metta fine a tutte le sorveglianze, discipline, punizioni, perché dove niente è acqui- sto e tutto comincia di nuovo, forse c’è anche la possibilità di fare della disobbedienza civile il primo passo verso l’insurrezione della vita quotidiana.

Così mentre il virus miete vittime senza guardare ai ceti… le Borse alzano i dividendi (o li fanno fluttuare come vogliono per meglio determinare l’orientamento dell’economia politica e la sudditanza delle genti)… i telegiornali fanno vedere che si stampano i soldi e tutti ne avranno secondo i bisogni… l’intera “società civile” resta relegata a casa a parlare con il nu- mero dei morti, dei contaminati e dei salvati sul divano… i senzatetto salgono sugli alberi e quando muoiono sporcano tutti i giardini (un vero disastro per i cani). Gli artisti dello Show business (il mondo degli affari che alimenta quello dello spettacolo)… calciatori, attori, regi- sti, cantanti, presentatori, scrittori e intere famiglie di ammiratori… fanno i loro show alle finestre e sui social-network… i bambini dipingono arcobaleni sulle lenzuola e scrivono “An- drà tutto bene”. Niente di male… del resto questo è un Paese dove ha sempre trionfato la soggezione a un qualsiasi Mito, Tiranno o Simulacro, affinché soltanto la Favola della felicità sussista.

Il ballo in maschera di tutti con tutti si ripercuote di città in città, l’allegria (un po’ smorzata nell’edulcorato o nel mesto d’occasione) sborda dai media e anche le pubblicità s’ammantano di “solidarietà” (?!)… i giornalisti raccontano il virus con dedizione e impegno, certo… ri- portano con fedeltà quello che dicono le veline della Protezione civile e del governo e dichia- rano lo stato di guerra… usano parole come prima linea, trincea, attacco al cuore del virus… fanno vedere contagiati ingabbiati nei lettini, bare, barelle, ospedali… i più impertinenti rea- lizzano una qualche inchiesta sulla realtà incerta o celata della pandemia… qualcuno s’accor- ge che dottori, infermieri, vecchietti relegati in “case di riposo” (una sorta di segregazione organizzata secondo schemi non sempre leciti o addirittura criminali) o gruppi familiari con- tagiati che sono ormai allo stremo… non hanno bisogno solo di mascherine, guanti o tute di carta, ma soprattutto di un’attenzione o di una prevenzione sociale un po’ più illuminata… la Confindustria chiede il proseguo del lavoro (si può tradurre anche in continuazione dello sfruttamento) e un’intera nazione al confino non sa più a che santi (o padroni) rivolgersi (nessuno fa più l’amore e nemmeno le seghe)… l’intero assetto conviviale si riduce a portare a spasso il cane, farsi degli stupidi video e le catene della disciplina si stringono sempre più attorno ai corpi, alle idee, al futuro… il separato combatte il virus, è vero… e il virus esonda nell’umore temporaneo di speranza solo dopo un certo numero di morti… il virus diviene il più grande di tutti gli spettacoli (solo la bomba atomica di Hiroshima e il crollo delle torri ge- melle di New York hanno avuto un simile risguardo mediatico) e ciascuno s’inventa inferni o paradisi inconcepibili. La paura nasconde le nostre ferite: c’insegna come sanguinare di na- scosto. I resti di dignità li lasciamo alla storia dei vinti, scritta sempre dai pennivendoli dei vincitori.

Va detto. Millenni d’impoverimento della natura umana e della Terra, la reggenza (devastante) del capitalismo finanziario e la cialtronerie degli schiamazzatori della politica, dell’im- prenditoria e delle collusioni mafiose (con a presso i tecnici/paravento dei governi), hanno sprofondato interi popoli in nuove schiavitù e decretato la fine del pianeta. Se lo stato delle cose continua ad essere quello della civiltà violata, separata, negata, omologata alla comuni- tà illusoria della produttività… le epidemie saranno cicliche e faranno parte della disumaniz- zazione del mondo. Perfino il Papa, in un attimo di strana lucidità — peraltro mai apparsa suo suo viso, nemmeno quando confessava il dittatore argentino Videla —, si è accorto che i pove- ri sono tanti e i ricchi pochi… allora si è rivolto al suo Signore (?!) e gli ha detto d’intervenire in favore dei contagiati dal virus… il Signore ha subito mandato turbe di angeli sulla Terra e per bocca dell’uomo vestito di bianco sul trono della chiesa di Roma, ha detto: “A chi à sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha!”. La cosa notevole nell’epoca del virus è che ciascuno non fa distinzione tra il credere o non credere alla salvezza eterna, meglio un tozzo di pane in terra che salire al cielo con i ladroni, alcuni dicono… del resto tutte le “fedi” (avere l’assoluta convinzione nella verità e giustezza in qualcuno che dice di fare quello che non fa, se non a favore dei propri privilegi) sono un’invenzione dell’uomo, come i campi di stermi- nio. Chi le appoggia è un assassino, chi ci crede è scemo.

I funesti demiurghi della politica sono facili alla dimenticanza quanto al plotone di esecuzio- ne… sono sempre stati portatori del peggio e non si vede come questa volta che hanno a che fare con un nemico invisibile, possano d’improvviso diventare sollevatori di tante povertà o insicurezze… siccome “l’intelligenza va avanti solo se ha la pazienza di girare in tondo, cioè di approfondire” (E.M. Cioran), non si capisce come questi gestori di scranni riescano a tro- vare sacche di saggezza da qualche parte?… tuttalpiù sono capaci di approfittare un po’ meno, dati i tempi, però sarà certo molto difficile scardinarli dai loro errori, orrori e rapine d’alto bordo… gli idioti non si uccidono generalmente mai, sembra che resistono anche ai virus… per decenza dovremmo essere noi ad aiutarli a scomparire.

La scienza (sovente a fianco del più armato o quantomeno non canta le lacrime degli uomini ma delle loro armi e merci), a forza di subordinare la salute della popolazioni alle leggi del profitto, ha trasformato uomini e animali in esperimenti di mutazione antropologica (Pier Paolo Pasolini, diceva) e con la conseguente distruzione della natura siamo entrati in un ciclo di distruzione dell’umanità… i deserti avanzano, i ghiacci si sciolgono, le catastrofi aumenta- no… l’urbanizzazione delle grandi città provoca l’immiserimento di milioni di persone… guerre e terrorismi sono diretti o allevati dai “servizi segreti” e mercanti d’armi (prodotte dalle grandi nazioni “civili” e dai regimi comunisti)… i soldi hanno il colore del sangue e se vengono ammazzate migliaia di persone che importa? La miseria dei poveri non conta, i pro- fitti dei ricchi sì. I linguaggi del “valore d’uso” dominanti sono “chiacchere” ben assestate nel cervello dei dominati, ma solo dai creatori di bellezza, verità, giustizia e del bene comune può venire la necessità di un cambiamento sociale: solo dalla liquidazione pura e semplice degli dèi può rinascere una civiltà.

II. Sulla fotografia della vita quotidiana d’una contagiata dal Coronavirus

La fotografia quando è grande, o quando è stupida, figura il ritratto di un’epoca… a tutti gli effetti è una religione d’affezione — al servizio degli interessi imperanti, ben remunerati, o basta anche un passaggio in televisione o fare il testimonial di qualche calendario di auto o di caffè (le donnette nude e false più dei trattati internazionali sulla pace dei governi, piacciano molto e sembra che abbiano un affetto d’imbecillità di notevole ristorno dei prodotti) —. L’annientamento degli smarriti, dei probi o degli entusiasti passa da una divinità, una dottri- na o da una credenza all’altra… gli ingannati confondono il percorso identitario con l’apoteo- si della merce e nemmeno s’accorgono che i soli maestri da ascoltare sono quelli che si fanno allievi di qualcosa di più grande, di una visione più larga della vita e infondono il fuoco inte- riore di resistenza sociale che porta alla coscienza di sé e al divenire liberato degli individui… è nei momenti di estremo dolore (rovesciato in ascolto, comprensione, condivisione) che si continua a vivere… passare dalla passività all’azione che sconfigge la paura e acquisisce la saggezza inconosciuta dell’amore universale.

Maria Di Pietro è una fotografa che si è chiamata fuori da tutte le cordate della fotografia mercatale… le sue immagini si affrancano a schegge dell’emarginazione sociale e restituisco- no la verità alla verità… le fotografie dei rom, dei bassifondi napoletani e perfino di vecchi treni ammucchiati in piazzali che li relegano a “pezzi da museo” o li fanno morire nella rug- gine (come a dimenticare queste “carcasse” che hanno trasportato sogni, speranze, migra- zioni forzate), riflettono una prospettiva altra dell’esistere… a un passo dalla vita come dalla morte… ma non è il ricordo che Maria porta sulla scena dell’immaginario, è la memoria stori- ca che disvela come destino inesorabile di un tempo in cui il razionale, il conveniente, l’in- gannevole, l’esuberanza, la collera… vincono sulla presenza della realtà e la divorano per in- staurare una concezione alienata della conoscenza… che è la gradazione accettata del potere sull’uomo/la donna, nel distacco da tutto ciò che è giusto, buono, bello… ma solo se alla fo- tografia spuntano le ali dell’inedito si può pensare che allontanarsi da questo mondo significa comprenderlo! E l’inedito è il sentimento della propria finitudine creativa/sovversiva che diventa storia.

Maria è stata contaminata dal Coronavirus… non ha fatto drammi… ha affrontato la paura in- sieme a qualche amica/o che la amano per la donna particolare che è… ha perso l’olfatto e il gusto, ma non l’orgoglio della fotocamera che accede alla fierezza… così ha fotografato la sua vita da confinata in casa… le sue iconografie diventano immagini-parole del familiare e am- mantate dalla malinconia dolce di un’anima inquieta, mai persa, ha costruito una fenomeno- logia dell’esilio che conduce a una poetica dei segni o quanto meno alla grazia di un surreale che diventa altro da ciò che vive (o viceversa). La sofferenza personale si trascolora in soffe- renza sociale e anche il senso d’abbandono che talvolta sopraggiunge dalle istanze istituzio- nali — fatti salvi medici, infermieri, volontari, familiari che non si tirano indietro da scelte co- raggiose —… dalle sue fotografie emerge non tanto una sorta d’accusa (anche giusta) contro apparati sprovvisti di un reale senso dell’umano, ma la circostanza individuale/comunitaria in cui tutto è ingiustificato e niente è risolto. Contraddizioni e inconseguenze organizzative lasciano le persone in uno stato di trasognamento che non raggiunge le necessità primarie dei contagiati né dei prossimi al contagio… si muore o si vive all’ombra del culto dell’inutile e dell’artificio… i funzionari della desolazione sono gli stessi che dicono di combatterla… qual- cosa non torna… il cane addomesticato preferisce la zuppa e il collare alla libertà, il lupo dei boschi mangia quando va bene la caccia ma non rinuncia alla sua libertà. Il virus è una malat- tia globale perché globale è la dissipazione del pianeta e del genere umano piegati (sottomes- si) all’ideologia totalitaria del profitto: più essa è forte, più afferma la trasformazione polizie- sca della percezione in sudditanza. L’economia mercantile è il volere d’una classe dominante che ha sostituito la realtà con la violenza, il controllo, la sorveglianza tecnologica e si porta dietro anche i sintomi necrofili della propria caduta.

La cartografia immaginale (che è la sostanza dell’immaginario) di Maria è essenziale, austera, scevra d’ogni orpello estetizzante — una finestra aperta sul muro di una casa, i suoi piedi che sbucano da sotto il lenzuolo, il lavandino con i saponi, l’obiettivo della fotocamera accanto a un flacone medico, un piatto di pasta su una sedia, la mano che mostra una scatola di farmaci, i sacchi della spazzatura, una tazza vuota, un giradischi e la mascherina, il televisore spento con dietro un’immagine di Man Ray, muri ripresi dalla finestra, anche di notte, una molletta sul filo dove si stendono i panni, lo smartphone con la chiamata alla mamma, la schermata delle raccomandazioni per le persone in isolamento domiciliare per il Covid-19 e quella di Luis Sepúlveda, il computer con la mela su una coperta marrone (e, più ravvicinata, l’imma- gine di un uccellino fatto con la carta che sembra volare via dalla stanza), alcuni libri sul bordo del letto (La voce a te dovuta di Pedro Salinas, Sacre scritture, Il cinema sovversivo di un autore che ci è sconosciuto) — figurano una filosofia di vita e anche nella costrizione dicono che possiamo affrontare qualsiasi cosa e cercare di sbaragliare qualsiasi timore, quando con noi portiamo i nostri amori.

Ci sono altre immagini significative che affrontano il dolore e si avvicinano a una certa sereni- tà solo per aver esaurito la credibilità nei flagellatori che detengono il lutto pubblico — un’a- mica della fotografa che lavora al computer sul divano, la mano dell’infermiere con la sacca del tampone, i risultati delle analisi e una sorta di autoritratto senza volto, dove Maria stringe il pugno al cuore tra la compassione e la risorgenza —… questa specialmente, gronda tanto di speranza quanto d’indignazione… le origini delle grandi sciagure pubbliche e private s’af- frontano, sembra dire Maria, con la coscienza di sé che non inganna ma, anzi, diffida di tutto quanto si richiama alle stigmate della benevolenza e s’accorda con quanti denunciano i mia- smi della riabilitazione sociale, senza credere all’ossessione astratta di questo progresso.

L’affabulazione dell’inadatto o non addomesticato fuoriesce da un comportamento, un modo d’essere, un dire e fare che evidenziano un carattere, un temperamento, una risposta nuda insomma che invera le manifestazioni del potere o dei suoi crolli… la fotografia qui travalica il l’individuale e si mette dalla parte dei più deboli anziché da quella delle forze che ne schiac- ciano la fantasia e perfino la vita… la volontà di potenza di Nietzsche s’incontra col pensiero libertario che riporta la bella individualità fuori dai sarcofagi del redditizio (anche elettorale) d’una pestilenza… affronta gli uscieri dell’indifferenza, le fumosità ministeriali, le rigidità dei protocolli, i discorsi presidenziali col ghigno (non solo fotografico) dell’ironia, dell’umori- smo e del cinismo, anche. L’artista (autentico) reagisce al franamento delle masse verso i bas- sifondi della politica, della finanza, delle mafie, perché proprio lì trionfano i raggiri, gli in- ganni, le corruttele e i conformismi d’ogni epoca.

Le fotoscritture del contagio di Maria… affrontano il virus come malattia da sgominare, certo con farmaci o arnesi utili a debellarla, più di ogni cosa però è la tempra personale che non si fa avvolgere o ripugna l’accettazione della sconfitta… così, ecco… l’immaginario di Maria s’addossa alla fotografia che non gratifica il concettuale, che non celebra momenti eclatanti, che non resta incatenata all’oggettualità simbolica… si adopera ad una costruzione di situa- zioni (in opposizione al funzionalismo razionalista), alla finitezza dello stile, al rifiuto dei san- tini della confessione in pubblico… la fotografia si assume qui il diritto a vivere e definisce in primo luogo la devianza che non riconosce nessun obbligo, alcuna legge né altre imposizio-

ni, segue solo le proprie radici culturali/politiche per combattere l’insapienza o l’inadegua- tezza o la sprovvedutezza del corpo politico, del potere che s’impone solo grazie al consenso di coloro sui quali viene esercitato. La fotografia così fatta, potrà anche essere emarginata o silenziata o vilipesa, espulsa dalla galleristica del virus (e la Rete è già sommersa d’inutilità abissali)… ma nessuno potrà impedire che la sua radicalità visuale tracimi idee e valori inne- stati nella contestazione di una società del fanatismo, indissociabile dai limiti utilitaristi e dai massacri del neocapitalismo.

Ludismo, libertà, senso dei piaceri sono intrecciati nel fare-fotografia sull’orlo del privato, dove lo spavento è rigettato nell’elevazione della solitudine (come una ferita aperta nel cuore dei giorni) che riporta al calore di un abbraccio a venire… Maria costruisce un’estetica dell’e- silio sull’estetica della contaminazione… la privazione fisica che subisce la capovolge in sguardi della rinascita… fa di un’estetizzazione del virus la destituzione del dolore… si riap- propria in qualche modo del suo corpo, ricorre all’emozione del suo amore che le sta accan- to, lì, a un tiro di bacio… e sui registri del magico sostituisce la fotografia che ha cessato di resistere con quella che resisterà… aderisce alla passione d’amore per la vita che la abita e là dove l’afflizione devasta tutto al suo passaggio, si appropria del desiderio liberato da tutti i casellari dello spettacolare integrato (che s’insinua financo nei flagelli collettivi)… svuota i tormenti della malattia in percorsi di fraternità (attraverso lo specchio/autobiografia della fotografia), per esortare a differire da tutte le feticizzazioni dello Stato (cioè nidificare il dis- sidio e contrastare il momento presente con la vitalità creativa di un altro sapere). Scongiura- re la vergogna dell’intollerabile significa farsi carico delle colpevolezze (sempre impunite) dei possessori di concetti e gerarchie valoriali pianificate che determinano la servitù volonta- ria dei molti — che è l’alienazione dei popoli per mano del fucile, dell’aspersorio e del voca- bolario di una minoranza di variopinti potentati —… e dare inizio allo smantellamento del principio di autorità come unica ragione. La fotografia della risorgenza dunque è un lin- guaggio dell’inattuale e s’accosta a un’altra realtà, quella dove la libertà, la giustizia e il ri- spetto dei diritti umani non sono ridotti a nulla o poco più… il divenire rivoluzionario di una società di liberi e uguali è nella capacità abiurare l’edificio sociale, fino a dissolverlo, e fare della propria vita un’opera d’arte.

 

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, ventidue volte aprile 2020

 

Iconografie nella società spettacolare del contagio
di Maria Di Pietro

Manifesto per una fotografia dei diritti umani resistenza sociale, disobbedienza civile e poetica dell’immagine

Manifesto diritti umani